Saggio
La nuova finanza bancaria*
Sido Bonfatti, Ordinario di diritto commerciale nell’Università di Modena e Reggio Emilia
14 Dicembre 2021
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Sommario:
3 . “Finanza bancaria” e gestione dell’impresa
5 . L’equa rideterminazione delle condizioni del contratto
6 . L’incentivo della esenzione da revocatoria
7 . L’incentivo della “esimente” penale
II . Le forme della “finanza bancaria”
1 . La “Nuova finanza” per l’impresa versante in una situazione di “crisi”
III . La “finanza bancaria” ordinaria
Sezione I . La finanza bancaria derivante dalla esecuzione di contratti pendenti
1 . Il divieto di “revoca degli affidamenti bancari” (pendenti)
2 . La prosecuzione dell’esecuzione dei contratti bancari di credito pendenti
3 . La “esenzione” da revocatoria per la finanza bancaria “ordinaria”
Sezione II . La finanza bancaria derivante dalla concessione di nuove erogazioni
1 . “Nuova finanza” e gestione dell’impresa
IV . La “finanza bancaria” straordinaria (e i “pagamenti”)
2 . La disciplina dei “pagamenti”
V . I finanziamenti prededucibili
1 . La prededuzione nella “Composizione negoziata” della crisi d’impresa
2 . I presupposti della prededuzione dei “finanziamenti”
All’interno di questi occorrerà poi distinguere la disciplina che investe gli atti di ordinaria amministrazione (con specifico riguardo, per quel che interessa in questa sede, ai contratti bancari – ovvero “parabancari” – di credito); da quella che investe gli atti di straordinaria amministrazione (sempre in ambito bancario o “parabancario”), nonché i pagamenti [1].
E’ vero che, a determinate condizioni, a seguito dell’apertura del procedimento di “Composizione negoziata” si producono (o, più frequentemente, si possono produrre) taluni effetti che sono propri (anche) delle “procedure concorsuali” (la esenzione dalla revocatoria; la prededucibilità dei crediti derivanti da determinati finanziamenti; la operatività di certe “misure protettive”): ma non si ritiene che ciò possa fondare la tesi della attribuibilità all’istituto della natura di “procedura concorsuale”, in presenza di caratteristiche che sono estranee agli istituti (fallimento; concordato preventivo; L.C.A.; liquidazione giudiziale del CCII prossimo venturo), ai quali tale natura è indiscutibilmente attribuibile. Basti considerare:
a) la mancanza di controlli sugli atti di straordinaria amministrazione, sui pagamenti di debiti pregressi, sulla costituzione di garanzie “preferenziali” (tali atti sono assolutamente legittimi ed opponibili, e la possibile assoggettabilità ad azione revocatoria – art. 12, co. 3 – è del tutto fisiologica);
(i) il divieto del pagamento dei debiti pregressi (sempre consentito, anche in presenza di “misure protettive”: cfr. art. 6, co. 1);
Con riguardo alla “finanza bancaria” l’affermazione del principio generale sopra enunciato comporta, con particolare riferimento ai contratti bancari di credito in corso:
(i) la compensabilità dei crediti per anticipazioni erogate prima dell’apertura del procedimento con il debito da retrocessione conseguente al successivo incasso dei crediti anticipati, senza condizioni – per esempio nel contesto delle linee di credito “ant./sbf.” -;
Si deve pertanto concludere che nulla osti a:
(i) la prosecuzione dell’esecuzione dei contratti di finanziamento in corso, allorché gli atti di esecuzione degli stessi possano ritenersi rientrare nella “gestione ordinaria” dell’impresa (come sarà per lo più, se non altro per la circostanza di continuare a dare esecuzione ad un contratto concluso in epoca antecedente all’apertura del procedimento: e come sarà comunque, per es., per tutti i contratti di credito cc.dd. “di smobilizzo” di crediti commerciali – ant/sbf; anticipo fatture; sconto; eccetera, che rientrano nella “gestione ordinaria”, di carattere finanziario, dell’impresa -): ciò anche se gli atti di esecuzione in questione rivestono la natura di “finanziamenti”, con la sola eccezione dell’ipotesi nella quale il finanziatore aspiri alla collocabilità in prededuzione dei relativi crediti, per la quale è dettata una disciplina speciale – art. 10 -[6].
Le “misure protettive” possono comprendere (e, di norma, saranno proprio rappresentate da) il divieto di promuovere azioni esecutive o cautelari in conseguenza del mancato pagamento dei debiti pregressi. In tal caso non si produrrà soltanto questo effetto “protettivo”, ma si produrrà anche l’effetto “inibitorio” di impedire alla controparte sia di risolvere il contratto (ovvero anticiparne la scadenza; o ancora modificarlo in danno dell’imprenditore), sia di sospendere o rifiutare l’adempimento delle prestazioni poste a suo carico dal contratto stesso.
L’effetto della disposizione sulla “finanza bancaria” è principalmente condizionato dall’accertamento del perimetro di applicabilità della norma: perimetro circoscritto ai “contratti pendenti”.
È nota la discussione che investe i cc.dd. contratti bancari “autoliquidanti”: che per la giurisprudenza (della Corte di Cassazione) non sarebbero qualificabili “contratti pendenti” [7]: mentre per altre opinioni -e, soprattutto, per il CCII prossimo venturo (cfr. art. 97, co. 14, CCII), come appositamente introdotto dal decreto legislativo “correttivo” n. 147/2020) – sono qualificabili tali.
L’opinione preferibile, in termini generali, è forse la seconda, se non altro alla luce del (diverso) orientamento della Corte di Cassazione, secondo il quale la soluzione ai problemi interpretativi concernenti la vigente legge fallimentare si può ricavare anche dalle indicazioni eventualmente derivanti dalla disciplina prossima ventura del CCII, allorché lo stesso prenda posizione sulle diverse tesi interpretative che si contrappongono.
In tale prospettiva il contratto di credito bancario “autoliquidante”, in essere con un imprenditore che avesse avuto accesso al procedimento di “Composizione negoziata” e fosse ricorso a “misure protettive”:
(i) non potrebbe essere “revocato” (rectius: oggetto di recesso), per il solo fatto dell’accesso al procedimento stesso (art. 4, co. 6);
Il problema che si pone nell’accertare la portata dell’ultimo principio è identico a quello posto, in termini generali, dalla valutazione della sussistenza di un effettivo diritto all’utilizzo del contratto di credito bancario “autoliquidante”, quando ancora in essere perché non “revocato” o non risolto (o fatto oggetto di recesso), in presenza di un affidamento “accordato” non completamente utilizzato. La situazione infatti è identica, non rilevando – per quanto detto sopra – né che l’imprenditore abbia avuto accesso alla “Composizione negoziata”; né che l’imprenditore risulti inadempiente alle obbligazioni sussistenti nei confronti della banca[8].
Sarà pertanto necessario accertare, nel caso di specie, se il contratto di credito bancario “autoliquidante” giustifichi o non giustifichi l’eventuale intento della banca di non dare corso alla sua esecuzione (anticipando i crediti commerciali, oggetto della specifica linea di credito, per l’importo dello “accordato” risultante ancora non “utilizzato”), per una ragione diversa dall’accesso dell’imprenditore alla “Composizione negoziata”, e/o dalla presenza di “crediti anteriori” non pagati (cioè, “insoluti”): come potrebbe accadere – sempre che la circostanza costituisca oggetto di una puntuale clausola contrattuale “impeditiva” – nell’ipotesi di eccessiva concentrazione di portafoglio presentato su un esiguo numero di clienti; di presentazione per l’anticipazione di portafoglio “infragruppo”; e via dicendo.
Analoghe valutazioni dovranno essere dedicate alla considerazione degli effetti della norma in commento su altri contratti bancari qualificabili “pendenti”: per la individuazione dei quali non potrà soccorrere il disposto dell’art. 97, co. 14, CCII, bensì il disposto dell’articolo 97, comma 1, che definisce “pendenti” i contratti “ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti nelle prestazioni principali da entrambe le parti” [9].
a) autorizzare l'imprenditore a contrarre finanziamenti prededucibili ai sensi dell'art. 111 l. fall.;
Al comma 3 si aggiunge che gli atti di straordinaria amministrazione e i pagamenti effettuati nel periodo successivo alla accettazione dell'incarico da parte dell'esperto sono in ogni caso soggetti alle azioni di cui agli art. 66 e 67 l. fall., se, in relazione ad essi, l'esperto ha iscritto il proprio dissenso nel registro delle imprese ai sensi dell'art. 9, co. 4, d. l. n. 118/2021, o se il Tribunale ha rigettato la richiesta di autorizzazione presentata ai sensi dell'articolo 10.
Si può allora concludere che:
Ciò detto per quanto concerne i presupposti della produzione degli effetti “esentativi” disposti dall’art. 12, co. 2, d. l. n. 118/2021, è necessario ora accertarne la portata.
La soddisfazione di tale esigenza può pervenire, principalmente, da due direzioni: a) il mantenimento del sostegno finanziario sino ad allora assicurato dall’esterno (banche; soci; finanziatori in genere); e b) l’incremento del sostegno finanziario “pendente”, vuoi allo scopo di compensare le prevedibili defezioni dei finanziatori meno propensi a condividere il rischio connesso ad una ristrutturazione dell’attività di impresa; vuoi per sostenere il prevedibile aumento del fabbisogno finanziario conseguente non solo alla presumibile esigenza di effettuare investimenti straordinari, ma anche più semplicemente ad assorbire gli effetti della inevitabile modificazione dei rapporti commerciali con i fornitori (che reclameranno pagamenti più ravvicinati) e con i clienti (che pretenderanno dilazioni più pronunciate).
Tradotto in termini giuridici questo fenomeno economico-finanziario impatta, principalmente, sulla considerazione dei presupposti e degli effetti della prosecuzione dei contratti di “finanziamento” in essere fra l’impresa ed i soggetti terzi–finanziatori; e sull’esame delle condizioni e delle conseguenze della accensione di nuovi rapporti di finanziamento, ad integrazione di quelli già in essere (come detto, per aumentarne il livello complessivo ovvero per compensarne le eventuali riduzioni).
Per ragioni di comodità espositiva i due fenomeni verranno talora presi in considerazione separatamente: ci si renderà agevolmente conto, peraltro, che taluni profili problematici sono comuni ad entrambi, donde l’opportunità – in talune circostanze – di reciproci rinvii dall’uno o all’altro, e viceversa.
Già da un punto di vista preliminare si pone un quesito che è comune tanto al sostegno finanziario che l’impresa aspira a mantenere, quanto a quello che la stessa mira ad incrementare: la individuazione delle fattispecie riassumibili nel concetto di “finanza” o di “finanziamento”, che rappresentano le nozioni alle quali – come vedremo – fa riferimento la disciplina chiamata a regolare i rapporti tra l’impresa ed i soggetti “finanziatori”, tanto nel diritto fallimentare “tradizionale” -; quanto nel diritto fallimentare prossimo venturo (il CCII); quanto, infine, nel “nuovo diritto fallimentare”, introdotto dalla disciplina (inter alia) della Composizione negoziata della crisi d’impresa.
Il termine “finanziamenti” è evidentemente atecnico e descrittivo. Si deve ritenere che esso ricomprenda tutte le “forme tecniche” attraverso le quali l’impresa può ricevere il sostegno finanziario ed economico alla propria attività, sia che siano rappresentate da “mutui” (a loro volta suscettibili di essere intesi in senso restrittivo ovvero estensivo, come si dirà in appresso); sia che siano rappresentate da contratti di finanziamento non riconducibili alla nozione giuridica di “mutuo” (come sarebbero le aperture di credito bancario, nelle quali – a rigore – non ricorre la “consegna… di una determinata quantità di denaro”: cfr. art. 1813 cod. civ.)[14].
Nello stesso modo, si ritiene che non ci sia ragione di escludere dal perimetro delle operazioni evocate dal termine “finanziamenti” quelli che vengono definiti “crediti di firma” (cioè prestazione di garanzie nell’interesse dell’imprenditore, ed in favore di suoi creditori o di sue controparti in genere), in contrapposizione ai cc.dd. “crediti di cassa” (rappresentati da erogazioni di somme, ovvero dall’assicurazione dell’obbligo di consentire all’impresa la prelevabilità di somme). La legge fallimentare vigente consente già di giustificare questa apertura della nozione di “finanziamenti” ai “crediti di firma”[15] (cfr. art. 182-quater, co. 1, l. fall., che si riferisce ai finanziamenti “in qualsiasi forma effettuati”)[16]: ed il CCII conferma tale conclusione in modo inequivocabile (cfr. art. 99, co. 1, CCII, che ricomprende espressamente nella nozione di “finanziamenti in qualsiasi forma” la “richiesta di emissione di garanzie”).
Non v’è ragione di ritenere che tali conclusioni non valgono anche per il procedimento di “Composizione negoziata” della crisi d’impresa (cfr. art 10, co. 1, d. l. n. 118/2021).
Per ciò che concerne il rapporto tra il termine “finanziamento” ed il termine “mutuo”, si ritiene di potere osservare quanto segue.
Tenuto conto della circostanza che, a parere di chi scrive, le disposizioni dichiarate applicabili ai “finanziamenti” riguardano le operazioni poste in essere (i) a seguito dell’apertura del procedimento di “Composizione negoziata” della crisi d’impresa di cui al d.l. n. 118/2021; ovvero (ii) in tre delle quattro fasi, nelle quali si può sviluppare una delle procedure di Composizione negoziale della crisi d’impresa “classiche” (la fase “ponte”; la fase “interinale”; la fase “in esecuzione” – artt. 182-quater e 182-quinquies l. fall.; art. 99 e 101 CCII -: mentre la disposizione applicabile ai “mutui” - se escludiamo il caso particolare della disciplina del pagamento di rate pregresse del mutuo ipotecario garantito da immobili aziendali[17] - concerne le operazioni poste in essere nella fase “in corso” di procedura - particolarmente nel corso del Concordato preventivo: art. 167 l. fall.; art. 94 CCII -); ne deriva la irragionevolezza di una interpretazione che riconoscesse al termine “mutuo” un ambito di applicazione più ristretto rispetto a quello attribuibile al termine “finanziamento”.
In ragione di ciò – oltre che di concomitanti considerazioni di carattere generale – non pare ci sia ragione per ritenere il termine “mutui” come riferibile esclusivamente al contratto descritto con tale nome dal Codice civile (art. 1813 c.c.), secondo il quale il mutuo è il contratto con il quale una parte “consegna all’altra una determinata quantità di denaro… e l’altra si obbliga a restituire” altrettanto.
Tanto meno sussistono ragioni, a parere di chi scrive, per ritenere limitata l’applicabilità delle norme che disciplinano i “mutui” alle operazioni così qualificate dalla prassi bancaria, e caratterizzate dalla erogazione di una somma di denaro accompagnata dalla assunzione dell’obbligazione di restituirla mediante il pagamento di un certo numero di rate del medesimo importo[18], salvo le fattispecie nelle quali viene espressamente presa in considerazione proprio questa forma tecnica (ad es. il citato art. 20, co. 1, lett. d) del d. l. n. 118/2021).
Non sussistono peraltro i presupposti per estendere l’ambito di applicazione della disciplina dettata per i “finanziamenti” (e per i “mutui”) ai contratti pure produttivi di effetti “finanziari”, ma caratterizzati da una natura giuridica diversa (tipicamente: di scambio; di prestazione di servizi; di messa a disposizione di beni; eccetera), benchè la strutturazione che possono ricevere nel singolo caso di specie – particolarmente prevedendo una marcata dilazione per il pagamento del corrispettivo dovuto dall’imprenditore alla controparte – possa effettivamente produrre effetti “finanziari”. In tal senso non pare possibile attribuire al diritto positivo vigente (tanto la “consolidata” legge fallimentare vigente quanto la novella legge n 147/ 2021 di conversione del d. l. n. 118/2021) ed a quello prossimo venturo (il CCII) la portata attribuibile al “considerando” n. 66 della Direttiva Comunitaria dei Quadri di Ristrutturazione (n. 1023/2019), secondo il quale “l’assistenza finanziaria dovrebbe essere intesa in senso lato, compreso nel senso di erogare denaro o garanzie personali e di fornire giacenze, inventari, materie prime e servizi, ad esempio concedendo al debitore un termine di rimborso più lungo”.
Nello stesso modo i “finanziamenti” (e i “mutui”) possono essere ricompresi nella più ampia categoria dei contratti (di credito): onde la concessione di finanziamenti o mutui in esecuzione di un contratto concluso precedentemente all’apertura di una procedura di Composizione negoziale della crisi d’impresa dovrebbe essere regolata dalla disciplina dei “contratti pendenti” prevista per quella procedura.
Per i “finanziamenti” (ed i “mutui”) non è però così: se si esclude l’ipotesi del ricorso da parte dell’impresa in crisi all’istituto del “Piano Attestato di Risanamento”, gli atti qualificabili (nei termini sopra chiariti) “finanziamenti” e “mutui” non sono sempre regolati dalla disciplina degli “atti”, o dalla disciplina generale dei “contratti pendenti”, sibbene molto spesso da norme speciali: con carattere di esclusività per gli “Accordi di Ristrutturazione” e per i Concordati preventivi – nel senso che la disciplina dei “finanziamenti” prescinde in toto dalla disciplina dei “contratti” (art. 167 l. fall.; artt. 182-quater e 182-quinquies; art. 94 CCII; art. 99 e 101) -[19]; ovvero con funzione integrativa per ciò che concerne la “Composizione negoziata“ (artt. 10 e 13 d. l. n. 118/2021).
Se si rivolge peraltro l’attenzione alla considerazione della disciplina della procedura di “Composizione negoziata” della crisi di impresa (come introdotta dal decreto-legge 24 agosto 2021, n. 118), peraltro, lo scenario muta sensibilmente. In tale contesto, infatti, il ricorso all’autorizzazione giudiziale (come vedremo) è soltanto facoltativo; e – circostanza anche di maggiore rilievo – si consente all’imprenditore in “crisi” di avvalersi della autorizzazione del Tribunale “fallimentare” per ottenere, attraverso l’assicurazione alla controparte in bonis del diritto alla collocazione in prededuzione dei propri crediti, prestazioni – si badi bene, esclusivamente in campo finanziario, e non in campo “commerciale” lato sensu inteso -, funzionali a sostenere l’esercizio dell’attività aziendale, che in condizioni normali avrebbero potuto essergli negate.
E’ evidente come l’attribuzione di una tale forma di garanzia possa facilitare l’accesso a prestazioni altrimenti precluse ad un imprenditore versante in una condizione di “crisi”: e peraltro tale chance è disponibile, come detto, soltanto per i “terzi – finanziatori”, e non, per esempio – per i “terzi – fornitori”; oppure i “terzi – clienti”, i quali devono decidere se sostenere l’imprenditore a proprio rischio, ovvero cessare il rapporto (o non allacciare quello che fosse stato loro prospettato), con reciproco pregiudizio. Ma tant’è: l’art. 10 d. l. n. 118/2021 prevede che gli “atti” che, in quanto funzionali “rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori”, possono vedersi attribuita dal Tribunale l’attitudine a generare crediti collocabili in prededuzione, possono essere (soltanto) i “finanziamenti”, escludendo pertanto gli “acquisti”; gli “incarichi”; le forniture di “beni” o “servizi”; o qualunque altro atto di gestione dell’impresa.
Il principio è ovviamente applicabile anche ai contratti bancari di credito: per i quali pare però emergere la necessità di distinguere quelli appartenenti alla “gestione ordinaria”, da quella rappresentanti, invece, atti di amministrazione straordinaria.
Si può ritenere, con buona approssimazione, che la prosecuzione dei contratti pendenti rappresenti una ipotesi di “gestione ordinaria”. Ove l’utilizzo del contratto bancario di credito rappresenti un diritto per l’imprenditore, non si vede come l’esercizio dello stesso potrebbe considerarsi un fatto straordinario; laddove, nel caso contrario, ove si trattasse di atto dovuto, il carattere della straordinarietà dovrebbe piuttosto essere attribuito, all’incontrario, al suo eventuale inadempimento anche per le relative, possibili conseguenze -.
Come si è avuto modo di segnalare, in generale l’accesso al procedimento di “Composizione negoziata” della crisi d’impresa non produce effetti traumatici sui rapporti giuridici in corso, né – in particolare – sui “contratti pendenti”. Se mai, si registra la volontà di conseguirne il “consolidamento” in favore dell’imprenditore che facesse ricorso al nuovo istituto, dal momento che:
(i) si invitano (rectius: si “obbligano”) “le parti” (dei rapporti giuridici in essere con l’imprenditore) a comportarsi “secondo buona fede e correttezza” (art. 4, co. 4): ed in particolare
Da notare anche che la costituibilità di titoli di prelazione (non soltanto – ma, comunque, anche – in favore di finanziamenti bancari) sarebbe consentita, ed opponibile ai creditori, nell’ipotesi nella quale l’imprenditore avesse pure imposto agli stessi la par condicio conseguente al ricorso (eventualmente confermato dal Tribunale) a “Misure protettive”: infatti l’art. 6, co. 1, consente anche in questo caso la costituzione di titoli di prelazione, se “concordati con l’imprenditore”).
(i) gli atti interessati siano stati posti in essere “nel periodo successivo alla accettazione dell’incarico da parte dell’esperto”: e
(ii) gli atti siano coerenti con l’andamento e lo stato della trattativa e con le prospettive di risanamento esistenti al momento in cui sono stati compiuti. Non è previsto pertanto alcun intervento “autorizzatorio”: né dal tribunale, né dell’esperto nominato dalla competente Commissione.
La mancanza di un “filtro” preventivo condizionante l’applicabilità (o meno) all’atto, posto in essere nel contesto della erogazione di finanza bancaria “ordinaria”, dell’incentivo “esentativo” in discussione, rappresenta un fattore positivo (sotto il profilo organizzativo), ma espone contemporaneamente ad un rischio di mancato conseguimento dell’obiettivo.
Gli atti de quibus, infatti, saranno inevitabilmente soggetti alla valutazione del tribunale, in sede di eventuale promozione, nei loro confronti, di una azione revocatoria di cui all’art. 67, co. 2, l. fall.: e potranno trovarsi a subirne le conseguenze, laddove il Tribunale non condivida le valutazioni concernenti (i) in via generale, l’appartenenza degli atti alla gestione ordinaria dell’impresa (con quel che ne consegue); e (ii) in via particolare, la loro “coerenza” con le trattative e con le prospettive di risanamento dell’impresa, formulate dalla banca (e dall’impresa stessa) al momento del compimento degli atti in questione.
La incertezza generata dalla soggezione del beneficio della “esenzione” alla valutazione postuma del tribunale, investito dell’eventuale azione revocatoria, della effettiva natura “ordinaria” dell’atto, nonché della sua “coerenza” con quanto indicato dalla norma esentativa, comporta l’oggettivo rischio della valutazione di inadeguatezza dell’incentivo così programmato; ovvero il pericolo che il soggetto finanziatore pretenda la costituzione di garanzie aggiuntive di soggetti “ non a rischio” (soci; capogruppo; eventuali altri), per lo meno per l’eventualità dell’effettivo assoggettamento a revocatoria degli atti che se ne auspicavano esentati[22].
Possono essere esempi della prima ipotesi le linee di credito cc.dd. “autoliquidanti”, in quanto funzionali a rendere liquide disponibilità finanziarie già acquisite dall’impresa – con l’esecuzione delle prestazioni regolate dai clienti in modo dilazionato -, ma scadenti in un momento successivo.
Diversi sono invece i presupposti di conseguibilità della “esenzione” da revocatoria[25].
Con riguardo a quest’ultimo effetto ci si può domandare se la conseguita adesione dell’esperto al compimento dell’atto di straordinaria amministrazione programmato dall’imprenditore (oppure, comunque, la mancata pubblicizzazione del dissenso dell’esperto nel Registro delle Imprese) possa essere valutata come “garanzia” di “permanenza” del beneficio esentativo; oppure se, in ogni caso, la ricorrenza dei presupposti per il suo riconoscimento possa essere soggetta alla valutazione discrezionale del Tribunale che fosse successivamente investito della revocatoria proposta contro l’atto in questione. Non è dubbio che la risposta debba essere indirizzata tout court ad escludere l’ammissibilità stessa dell’azione revocatoria: nel caso contrario sarebbe inevitabile pretendere una modifica normativa che preveda anche per il beneficio della esenzione da revocatoria un “passaggio” di carattere giudiziale.
(i) finanziamenti assunti da terzi in genere;
Note:
I procedimenti di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 10 d. l. n. 118/2021 si svolgono innanzi al tribunale competente ai sensi dell'art. 9 l. fall., che, sentite le parti interessate e assunte le informazioni necessarie, provvedendo, ove occorra, ai sensi dell'art. 68 c.p.c., decide in composizione monocratica. Si applicano, in quanto compatibili, gli artt. 737 ss. c.p.c.
Il reclamo si propone al tribunale e del collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento.