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Saggio

La nuova finanza bancaria*

Sido Bonfatti, Ordinario di diritto commerciale nell’Università di Modena e Reggio Emilia

14 Dicembre 2021

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
L'autore si sofferma sul delicatissimo tema del credito bancario nel contesto inedito della negoziazione. Quali regole e quali prospettive per l’attore bancario? E quali prededuzioni? A questi interrogativi cruciali viene offerta una articolata risposta, che segnala opportunità e criticità della scelta di sistema. 
Riproduzione riservata

Sommario:

I . La “finanza bancaria” nel contesto della disciplina della gestione dell’impresa nella “composizione negoziata” della crisi

1 . Premessa

2 . 1. La natura del procedimento di “Composizione negoziata per la soluzione della crisi di impresa” e la disciplina della opponibilità ai creditori degli atti posti in essere con l’imprenditore (ovvero sul suo patrimonio)

3 . “Finanza bancaria” e gestione dell’impresa

4 . Il divieto di “rifiuto dell’adempimento” per il mancato pagamento di crediti anteriori conseguente all’applicazione di “misure protettive”

5 . L’equa rideterminazione delle condizioni del contratto

6 . L’incentivo della esenzione da revocatoria

7 . L’incentivo della “esimente” penale

II . Le forme della “finanza bancaria”

1 . La “Nuova finanza” per l’impresa versante in una situazione di “crisi”

2 . La nozione di “finanziamento” nelle “misure urgenti in materia di crisi d’impresa” – ed in particolare nel procedimento di “Composizione negoziata” -

3 . La nozione di “finanziamento” (e di “mutuo”) nel contesto della disciplina degli atti di ordinaria e di straordinaria amministrazione e dei contratti pendenti

III . La “finanza bancaria” ordinaria

Sezione I . La finanza bancaria derivante dalla esecuzione di contratti pendenti

1 . Il divieto di “revoca degli affidamenti bancari” (pendenti)

2 . La prosecuzione dell’esecuzione dei contratti bancari di credito pendenti

3 . La “esenzione” da revocatoria per la finanza bancaria “ordinaria”

Sezione II . La finanza bancaria derivante dalla concessione di nuove erogazioni

1 . “Nuova finanza” e gestione dell’impresa

IV . La “finanza bancaria” straordinaria (e i “pagamenti”)

1 . La disciplina dei finanziamenti comportanti il compimento di atti di straordinaria amministrazione

2 . La disciplina dei “pagamenti”

3 . La formalizzazione della adesione (o della intenzione di non pubblicizzare l’eventuale dissenso) dell’esperto

V . I finanziamenti prededucibili

1 . La prededuzione nella “Composizione negoziata” della crisi d’impresa

2 . I presupposti della prededuzione dei “finanziamenti”

3 . Le modalità di esercizio della prededuzione

4 . Segue. Il soddisfacimento dei crediti prededucibili, sorti nel procedimento di “Composizione negoziata”, nel concorso con i creditori e successivi

1 . Premessa
Il tema rappresentato dalla individuazione e dall’esame della disciplina della “finanza bancaria” nell’ambito del procedimento di “Composizione negoziata” della crisi d’impresa – regolato dal (provvedimento legislativo 21 ottobre 2021, n. 147, di conversione del) decreto legge n. 118/2021 - è interessato in via preliminare dalla necessaria considerazione di alcuni principi e di alcune disposizioni di carattere generale, che riguardano tutti gli atti posti in essere dall’imprenditore avviato alla “negoziazione”, o per lo meno tutti i contratti bancari di credito.
All’interno di questi occorrerà poi distinguere la disciplina che investe gli atti di ordinaria amministrazione (con specifico riguardo, per quel che interessa in questa sede, ai contratti bancari – ovvero “parabancari” – di credito); da quella che investe gli atti di straordinaria amministrazione (sempre in ambito bancario o “parabancario”), nonché i pagamenti [1].
2 . 1. La natura del procedimento di “Composizione negoziata per la soluzione della crisi di impresa” e la disciplina della opponibilità ai creditori degli atti posti in essere con l’imprenditore (ovvero sul suo patrimonio)
La considerazione della disciplina che caratterizza l’istituto introdotto e disciplinato dal d. l. n. 118/2021, denominato “Composizione negoziata” (per la soluzione della crisi d’impresa), ne evidenzia un carattere marcatamente stragiudiziale, che induce ad escluderne la natura di “procedura concorsuale”[2] [3].
E’ vero che, a determinate condizioni, a seguito dell’apertura del procedimento di “Composizione negoziata” si producono (o, più frequentemente, si possono produrre) taluni effetti che sono propri (anche) delle “procedure concorsuali” (la esenzione dalla revocatoria; la prededucibilità dei crediti derivanti da determinati finanziamenti; la operatività di certe “misure protettive”): ma non si ritiene che ciò possa fondare la tesi della attribuibilità all’istituto della natura di “procedura concorsuale”, in presenza di caratteristiche che sono estranee agli istituti (fallimento; concordato preventivo; L.C.A.; liquidazione giudiziale del CCII prossimo venturo), ai quali tale natura è indiscutibilmente attribuibile. Basti considerare:
a) la mancanza di controlli sugli atti di straordinaria amministrazione, sui pagamenti di debiti pregressi, sulla costituzione di garanzie “preferenziali” (tali atti sono assolutamente legittimi ed opponibili, e la possibile assoggettabilità ad azione revocatoria – art. 12, co. 3 – è del tutto fisiologica); 
b) la costituibilità di garanzie “preferenziali” anche nell’ipotesi nella quale fossero scattate “misure protettive” - il divieto di acquisizione di “diritti di prelazione” riguarda soltanto quelli “non concordati” (art. 6, co. 1): e tale eventuale pattuizione non è soggetta ad alcuna autorizzazione, men che meno giudiziale -; 
c) gli effetti “esentativi” da revocatorie, od “esimenti” da responsabilità penali, sono comuni anche al “Piano Attestato di Risanamento”, che certamente procedura concorsuale non è; 
d) la “conservazione degli effetti” nel contesto delle eventuali procedure (concorsuali?) successive è circoscritta a quelli derivanti da “atti autorizzati dal tribunale” (art. 12, co. 1), e non ricomprende quelli prodotti dall’apertura del procedimento in quanto tale. 
La conseguenza di tale conclusione è rappresentata dalla impossibilità di attribuire al procedimento de quo gli effetti che sono tipici della apertura di un “concorso” sul patrimonio del debitore, quali – principalmente -:
(i) il divieto del pagamento dei debiti pregressi (sempre consentito, anche in presenza di “misure protettive”: cfr. art. 6, co. 1); 
(ii) il divieto di avviare o di proseguire azioni esecutive o cautelari (salvo l’ipotesi del ricorso a “misure protettive”);
(iii) il divieto di acquisire cause di prelazione (salvo l’ipotesi del ricorso a “misure protettive”, che peraltro non impediscono la costituzione di cause di prelazione “concordate” con l’imprenditore); 
(iv) il divieto di compensazione;
(v) il necessario compimento preventivo delle formalità idonee a rendere opponibili gli atti ai terzi[4].
Con riguardo alla “finanza bancaria” l’affermazione del principio generale sopra enunciato comporta, con particolare riferimento ai contratti bancari di credito in corso:
(i) la compensabilità dei crediti per anticipazioni erogate prima dell’apertura del procedimento con il debito da retrocessione conseguente al successivo incasso dei crediti anticipati, senza condizioni – per esempio nel contesto delle linee di credito “ant./sbf.” -; 
(ii) l’opponibilità (all’imprenditore e) agli altri creditori delle cessioni di credito poste in essere in favore delle banche finanziatrici, benché non seguite dal compimento delle formalità idonee a rendere opponibili le cessioni anche ai terzi, per esempio nel contesto delle linee dei crediti “ant./fatture”; 
(iii)  la piena ed incondizionata operatività, ove stipulato, del pactum de compensando [5] - per esempio nelle linee di credito per anticipo di crediti commerciali, in generale -;
(iv) la escutibilità del pegno costituito in favore della banca, nonostante l’eventuale mancanza di un atto di data certa, contenente sufficiente indicazione del credito garantito e del bene costituito in pegno – per esempio nelle linee di credito per “anticipo/merci” -.
3 . “Finanza bancaria” e gestione dell’impresa
Secondo quanto previsto dall’art. 9, comma 1, d. l. n. 118/2021, “nel corso delle trattative l’imprenditore conduce la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa”. La legittimità (in termini di opponibilità degli effetti) degli atti di ordinaria amministrazione non incontra limiti o condizioni – di per sé -.
Si deve pertanto concludere che nulla osti a:
(i) la prosecuzione dell’esecuzione dei contratti di finanziamento in corso, allorché gli atti di esecuzione degli stessi possano ritenersi rientrare nella “gestione ordinaria” dell’impresa (come sarà per lo più, se non altro per la circostanza di continuare a dare esecuzione ad un contratto concluso in epoca antecedente all’apertura del procedimento: e come sarà comunque, per es., per tutti i contratti di credito cc.dd. “di smobilizzo” di crediti commerciali – ant/sbf; anticipo fatture; sconto; eccetera, che rientrano nella “gestione ordinaria”, di carattere finanziario, dell’impresa -): ciò anche se gli atti di esecuzione in questione rivestono la natura di “finanziamenti”, con la sola eccezione dell’ipotesi nella quale il finanziatore aspiri alla collocabilità in prededuzione dei relativi crediti, per la quale è dettata una disciplina speciale – art. 10 -[6]. 
(ii) la erogazione di nuovi finanziamenti, tutte le volte che la linea di credito interessata possa ritenersi rientrante negli atti di “gestione ordinaria” di una impresa, come tale inevitabilmente bisognevole di sostegno anche finanziario. In tale prospettiva, la legittimità degli atti posti in essere dall’imprenditore non riguarderà soltanto quelli direttamente collegati al finanziamento (ad es. il contratto di mutuo), ma anche quelli costitutivi di garanzia, ove “ordinariamente” collegati ai primi (la cessione del credito anticipato, nelle linee di credito per “anticipo fatture”; il “pactum de compensando”, nella linea di credito “ant. /s.b.f.”; il pegno sulla merce finanziata, nel contratto di anticipazione bancaria; ecc.). 
4 . Il divieto di “rifiuto dell’adempimento” per il mancato pagamento di crediti anteriori conseguente all’applicazione di “misure protettive”
L’art. 6 d. l. n. 118/2021 consente all’imprenditore di avvalersi di “misure protettive”, soggette alla successiva (ma tempestiva) conferma da parte del Tribunale.
Le “misure protettive” possono comprendere (e, di norma, saranno proprio rappresentate da) il divieto di promuovere azioni esecutive o cautelari in conseguenza del mancato pagamento dei debiti pregressi. In tal caso non si produrrà soltanto questo effetto “protettivo”, ma si produrrà anche l’effetto “inibitorio” di impedire alla controparte sia di risolvere il contratto (ovvero anticiparne la scadenza; o ancora modificarlo in danno dell’imprenditore), sia di sospendere o rifiutare l’adempimento delle prestazioni poste a suo carico dal contratto stesso.
L’effetto della disposizione sulla “finanza bancaria” è principalmente condizionato dall’accertamento del perimetro di applicabilità della norma: perimetro circoscritto ai “contratti pendenti”.
È nota la discussione che investe i cc.dd. contratti bancari “autoliquidanti”: che per la giurisprudenza (della Corte di Cassazione) non sarebbero qualificabili “contratti pendenti” [7]: mentre per altre opinioni -e, soprattutto, per il CCII prossimo venturo (cfr. art. 97, co. 14, CCII), come appositamente introdotto dal decreto legislativo “correttivo” n. 147/2020) – sono qualificabili tali.
L’opinione preferibile, in termini generali, è forse la seconda, se non altro alla luce del (diverso) orientamento della Corte di Cassazione, secondo il quale la soluzione ai problemi interpretativi concernenti la vigente legge fallimentare si può ricavare anche dalle indicazioni eventualmente derivanti dalla disciplina prossima ventura del CCII, allorché lo stesso prenda posizione sulle diverse tesi interpretative che si contrappongono.
In tale prospettiva il contratto di credito bancario “autoliquidante”, in essere con un imprenditore che avesse avuto accesso al procedimento di “Composizione negoziata” e fosse ricorso a “misure protettive”:
(i) non potrebbe essere “revocato” (rectius: oggetto di recesso), per il solo fatto dell’accesso al procedimento stesso (art. 4, co. 6); 
(ii) non potrebbe essere “risolto” (poniamo, se a tempo determinato: ma, c’è da ritenere, neppure “revocato), nonostante la presenza di inadempimenti pregressi (per es. il mancato regolamento dei crediti anticipati dalla banca ma poi risultati insoluti); 
(iii) non giustificherebbe il “rifiuto dell’adempimento” del contratto pendente, da parte delle banche, “per il solo fatto del mancato pagamento dei loro crediti anteriori” (art. 6, co. 5).
Il problema che si pone nell’accertare la portata dell’ultimo principio è identico a quello posto, in termini generali, dalla valutazione della sussistenza di un effettivo diritto all’utilizzo del contratto di credito bancario “autoliquidante”, quando ancora in essere perché non “revocato” o non risolto (o fatto oggetto di recesso), in presenza di un affidamento “accordato” non completamente utilizzato. La situazione infatti è identica, non rilevando – per quanto detto sopra – né che l’imprenditore abbia avuto accesso alla “Composizione negoziata”; né che l’imprenditore risulti inadempiente alle obbligazioni sussistenti nei confronti della banca[8].
Sarà pertanto necessario accertare, nel caso di specie, se il contratto di credito bancario “autoliquidante” giustifichi o non giustifichi l’eventuale intento della banca di non dare corso alla sua esecuzione (anticipando i crediti commerciali, oggetto della specifica linea di credito, per l’importo dello “accordato” risultante ancora non “utilizzato”), per una ragione diversa dall’accesso dell’imprenditore alla “Composizione negoziata”, e/o dalla presenza di “crediti anteriori” non pagati (cioè, “insoluti”): come potrebbe accadere – sempre che la circostanza costituisca oggetto di una puntuale clausola contrattuale “impeditiva” – nell’ipotesi di eccessiva concentrazione di portafoglio presentato su un esiguo numero di clienti; di presentazione per l’anticipazione di portafoglio “infragruppo”; e via dicendo.
Analoghe valutazioni dovranno essere dedicate alla considerazione degli effetti della norma in commento su altri contratti bancari qualificabili “pendenti”: per la individuazione dei quali non potrà soccorrere il disposto dell’art. 97, co. 14, CCII, bensì il disposto dell’articolo 97, comma 1, che definisce “pendenti” i contratti “ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti nelle prestazioni principali da entrambe le parti” [9].
5 . L’equa rideterminazione delle condizioni del contratto
Secondo l’art. 10, co. 2, d. l. n. 118/2021, su richiesta dell'imprenditore il Tribunale, verificata la funzionalità degli atti rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori, può: 
a) autorizzare l'imprenditore a contrarre finanziamenti prededucibili ai sensi dell'art. 111 l. fall.; 
b) autorizzare l'imprenditore a contrarre finanziamenti dai soci prededucibili ai sensi dell'art. 111 l. fall.; 
c) autorizzare una o più società appartenenti ad un gruppo di cui all'articolo 13 d. l. n. 118/2021 a contrarre finanziamenti prededucibili ai sensi dell'art. 111 l. fall.; 
d) autorizzare l'imprenditore a trasferire in qualunque forma l'azienda o uno o più suoi rami senza gli effetti di cui all'art. 2560, co. 2, cod. civ. (restando fermo l’articolo 2112). 
L'esperto può invitare le parti a rideterminare, secondo buona fede, il contenuto dei contratti ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita, se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa per effetto della pandemia da Covid-19: in mancanza di accordo, su domanda dell'imprenditore, il tribunale, acquisito il parere dell'esperto e tenuto conto delle ragioni dell'altro contraente, può rideterminare equamente le condizioni del contratto, per il periodo strettamente necessario e come misura indispensabile ad assicurare la continuità aziendale. Se accoglie la domanda il tribunale assicura l'equilibrio tra le prestazioni, stabilendo anche la corresponsione di un indennizzo[10]. 
La portata del principio è circoscritta, sia per ragioni di carattere generale, sia per ragioni di carattere particolare. 
In via generale, la norma in questione può essere invocata soltanto nelle ipotesi nelle quali la prosecuzione del contratto, di cui si chiede la modificazione del contenuto, sia divenuta eccessivamente onerosa “per effetto della pandemia da SARS – COV-2”: quindi dovrebbe trattarsi di una disciplina ad tempus
In via particolare, la norma non parrebbe in condizione di produrre effetti di rilievo sui contratti bancari di credito. 
Ovviamente, nessun limite particolare si contrappone all’ipotesi che la modificazione del contratto bancario di credito consegua all’accordo fra le parti, sia pure conseguente all’intervento dell’esperto, che le “invita” a rideterminare il contenuto del contratto originario. 
Il tema connotato da profili problematici è piuttosto rappresentato dalla valutazione dei limiti e delle condizioni entro i quali le modificazioni de quibus possono essere prodotte – in assenza di un accordo tra le parti – dall’intervento autoritativo del Tribunale. 
E’ da verificare se la norma potrebbe essere applicata alla esecuzione (differita) dell’obbligo di rimborso di un finanziamento bullet erogato in valuta straniera, allorché fossero cessate le vendite nel relativo Paese; fossero venuti meno gli afflussi della valuta straniera; ed avesse preso corpo un rischio di cambio prima insussistente: rischio annullabile con la modificazione della valuta di rimborso del finanziamento (e, probabilmente, del relativo tasso di interesse).
Ancora si possono ipotizzare “interventi correttivi” sui profili di carattere economico dei contratti bancari di credito – quali: il tasso di interessi; la “commissione di messa a disposizione fondi” -; ovvero sui profili concernenti l’equilibrio tra rischio e garanzia – quali la introduzione di un obbligo di restrizione della garanzia reale costituita originariamente in favore della banca, in corrispondenza della progressiva diminuzione del debito residuo -. 
Non dovrebbero ritenersi ammissibili, invece, per la impossibilità di configurare ipotesi di “obbligo alla concessione di credito” [11], modificazioni contrattuali incidenti sulla variazione (in aumento) dell’affidamento “accordato”, tanto in via diretta - aumento dell’affidamento in termini assoluti -; quanto in via indiretta – aumento della percentuale contrattualmente determinata della anticipazione ottenibile a seguito della presentazione di portafoglio commerciale “allo sconto” -, rispetto al valore nominale dei crediti anticipati.
6 . L’incentivo della esenzione da revocatoria
Secondo l’art. 12, co. 2, d. l. n. 118/2021 non sono soggetti all'azione revocatoria di cui all'art. 67, co. 2, l. fall., gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere dall'imprenditore nel periodo successivo alla accettazione dell'incarico da parte dell'esperto, purché coerenti con l'andamento e lo stato delle trattative e con le prospettive di risanamento esistenti al momento in cui sono stati compiuti. 
Al comma 3 si aggiunge che gli atti di straordinaria amministrazione e i pagamenti effettuati nel periodo successivo alla accettazione dell'incarico da parte dell'esperto sono in ogni caso soggetti alle azioni di cui agli art. 66 e 67 l. fall., se, in relazione ad essi, l'esperto ha iscritto il proprio dissenso nel registro delle imprese ai sensi dell'art. 9, co. 4, d. l. n. 118/2021, o se il Tribunale ha rigettato la richiesta di autorizzazione presentata ai sensi dell'articolo 10.
Si può allora concludere che:
a) per gli atti rientranti nella “gestione ordinaria”, la norma non condiziona l’effetto “esentativo” disposto ad alcun presupposto, diverso da quelli rappresentati dalle circostanze che: 
(i) gli atti interessati siano stati posti in essere “nel periodo successivo alla accettazione dell’incarico da parte dell’esperto”: e
(ii) gli atti siano coerenti con l’andamento e lo stato della trattativa e con le prospettive di risanamento esistenti al momento in cui sono stati compiuti. Non è previsto pertanto alcun intervento “autorizzatorio”: né dal tribunale, né dell’esperto nominato dalla competente Commissione. 
b) per gli atti rientranti nella “straordinaria amministrazione”, la esenzione è condizionata alla mancata iscrizione nel Registro delle Imprese dell’eventuale dissenso dell’esperto;
c) per i “pagamenti”, come si dirà, vale quanto rilevato a proposito degli atti di straordinaria amministrazione[12].
Ciò detto per quanto concerne i presupposti della produzione degli effetti “esentativi” disposti dall’art. 12, co. 2, d. l. n. 118/2021, è necessario ora accertarne la portata.
A differenza di quanto disposto, nell’attuale legge fallimentare (e di quanto sarà disposto nel C.C.I.I.) a proposito degli atti di esecuzione di un “Piano Attestato di Risanamento”; ovvero di un “Accordo di Ristrutturazione”; o ancora di un Concordato Preventivo, per quel che riguarda gli atti – posti in essere nel contesto della “Composizione negoziata” della crisi d’impresa -, rappresentati da: (i) gestione ordinaria; ovvero (ii) straordinaria amministrazione, in mancanza della pubblicizzazione dell’eventuale dissenso dell’esperto[13]; o, ancora, (iii) costitutivi di “pagamenti”, sempre con salvezza dell’ipotesi di pubblicizzazione del dissenso dell’esperto - come accade, per quanto già osservato, in materia di atti di amministrazione straordinaria -: il beneficio della “esenzione” da revocatoria è circoscritta entro i seguenti confini:
a) la “esenzione” è limitata agli atti (e pagamenti; e garanzie) “di cui all’articolo 67, secondo comma”, l. fall., e pertanto (i) ai soli atti a titolo oneroso non “sproporzionati” – e come tali non ricadenti nel perimetro del primo comma della norma, che rimane applicabile -; (ii) ai soli pagamenti effettuati con denaro o altri “mezzi normali” – e come tali non ricadenti nel perimetro del n. 2) del primo comma -; (iii) alle sole garanzie contestuali – e come tali non ricadenti nel perimetro dei numeri 3) e 4) del primo comma -;
b) gli atti/i pagamenti/le garanzie de quibus dovranno risultare “coerenti con l’andamento e lo stato delle trattative e con le prospettive di risanamento esistenti al momento in cui sono stati compiuti”
c) gli atti di straordinaria amministrazione ed i pagamenti (anche effettuati con denaro o con altri mezzi normali) per i quali l’esperto abbia iscritto il proprio dissenso nel Registro delle Imprese (ai sensi dell’art. 9, co. 4); ovvero per i quali il Tribunale abbia rigettato la richiesta di autorizzazione che avrebbe comportato la collocabilità in prededuzione dei conseguenti crediti (art. 10); rimangono tuttavia soggetti all’azione revocatoria fallimentare (di cui all’art. 67 l. fall.) ed all’azione revocatoria ordinaria (art. 66): cfr. art. 12, co. 3, d.l. n. 118/2021.
7 . L’incentivo della “esimente” penale
Secondo l’art. 12, co. 5, d. l. n. 118/2021, le disposizioni di cui agli art. 216, co. 3, e 217 l. fall. non si applicano ai pagamenti e alle operazioni compiuti nel periodo successivo alla accettazione dell'incarico da parte dell'esperto in coerenza con l'andamento delle trattative e nella prospettiva di risanamento dell'impresa valutata dall'esperto ai sensi dell'art. 5, comma 5, nonché ai pagamenti e alle operazioni autorizzati dal tribunale a norma dell'articolo 10.
Si tratta di una disposizione esentativa dai reati di bancarotta semplice e di bancarotta preferenziale analoga a quella dettata dall’art. 217-bis l. fall. e dall’art. 324 CCII, solo un po' più circostanziata quando condiziona l’effetto in questione alla circostanza che l’atto interessato (se non appartenente alla categoria di quelli autorizzati dal Tribunale) risulti “compiuto in coerenza con l’andamento delle trattative e nella prospettiva del risanamento dell’impresa valutata dall’esperto ai sensi dell’articolo 5, comma 5”.
1 . La “Nuova finanza” per l’impresa versante in una situazione di “crisi”
Per una impresa già attiva sul mercato, che si trovi a dovere affrontare – ovvero a volere prevenire – una situazione di “crisi”, l’esigenza del sostegno finanziario alla gestione corrente ed all’adozione delle misure necessarie a superare; ovvero comporre; o magari anticipare una situazione di “crisi” è effettivamente insopprimibile.
La soddisfazione di tale esigenza può pervenire, principalmente, da due direzioni: a) il mantenimento del sostegno finanziario sino ad allora assicurato dall’esterno (banche; soci; finanziatori in genere); e b) l’incremento del sostegno finanziario “pendente”, vuoi allo scopo di compensare le prevedibili defezioni dei finanziatori meno propensi a condividere il rischio connesso ad una ristrutturazione dell’attività di impresa; vuoi per sostenere il prevedibile aumento del fabbisogno finanziario conseguente non solo alla presumibile esigenza di effettuare investimenti straordinari, ma anche più semplicemente ad assorbire gli effetti della inevitabile modificazione dei rapporti commerciali con i fornitori (che reclameranno pagamenti più ravvicinati) e con i clienti (che pretenderanno dilazioni più pronunciate).
Tradotto in termini giuridici questo fenomeno economico-finanziario impatta, principalmente, sulla considerazione dei presupposti e degli effetti della prosecuzione dei contratti di “finanziamento” in essere fra l’impresa ed i soggetti terzi–finanziatori; e sull’esame delle condizioni e delle conseguenze della accensione di nuovi rapporti di finanziamento, ad integrazione di quelli già in essere (come detto, per aumentarne il livello complessivo ovvero per compensarne le eventuali riduzioni).
Per ragioni di comodità espositiva i due fenomeni verranno talora presi in considerazione separatamente: ci si renderà agevolmente conto, peraltro, che taluni profili problematici sono comuni ad entrambi, donde l’opportunità – in talune circostanze – di reciproci rinvii dall’uno o all’altro, e viceversa.
Già da un punto di vista preliminare si pone un quesito che è comune tanto al sostegno finanziario che l’impresa aspira a mantenere, quanto a quello che la stessa mira ad incrementare: la individuazione delle fattispecie riassumibili nel concetto di “finanza” o di “finanziamento”, che rappresentano le nozioni alle quali – come vedremo – fa riferimento la disciplina chiamata a regolare i rapporti tra l’impresa ed i soggetti “finanziatori”, tanto nel diritto fallimentare “tradizionale” -; quanto nel diritto fallimentare prossimo venturo (il CCII); quanto, infine, nel “nuovo diritto fallimentare”, introdotto dalla disciplina (inter alia) della Composizione negoziata della crisi d’impresa.
2 . La nozione di “finanziamento” nelle “misure urgenti in materia di crisi d’impresa” – ed in particolare nel procedimento di “Composizione negoziata” -
Per definire le operazioni funzionali a sostenere, dal punto di vista finanziario ed economico, i tentativi di superamento o di Composizione della crisi d’impresa, la legge fallimentare “vecchia e nuova” utilizza talora il termine “finanziamento” (cfr. artt. 182-quater e 182-quinquies l. fall.; artt. 10 e 13 d. l. 24 agosto 2021, n. 118); talora il termine “mutuo” (cfr. art. 167 l. fall.; art. 20, co. 1, lett. d), d. l. n. 118/2021). Nello stesso modo dispone il CCII (cfr., rispettivamente, artt. 99 e 101, e artt. 94 e 100). Sorge pertanto spontanea la domanda se debbano considerarsi termini equivalenti, oppure espressivi di operazioni diverse.
Il termine “finanziamenti” è evidentemente atecnico e descrittivo. Si deve ritenere che esso ricomprenda tutte le “forme tecniche” attraverso le quali l’impresa può ricevere il sostegno finanziario ed economico alla propria attività, sia che siano rappresentate da “mutui” (a loro volta suscettibili di essere intesi in senso restrittivo ovvero estensivo, come si dirà in appresso); sia che siano rappresentate da contratti di finanziamento non riconducibili alla nozione giuridica di “mutuo” (come sarebbero le aperture di credito bancario, nelle quali – a rigore – non ricorre la “consegna… di una determinata quantità di denaro”: cfr. art. 1813 cod. civ.)[14].
Nello stesso modo, si ritiene che non ci sia ragione di escludere dal perimetro delle operazioni evocate dal termine “finanziamenti” quelli che vengono definiti “crediti di firma” (cioè prestazione di garanzie nell’interesse dell’imprenditore, ed in favore di suoi creditori o di sue controparti in genere), in contrapposizione ai cc.dd. “crediti di cassa” (rappresentati da erogazioni di somme, ovvero dall’assicurazione dell’obbligo di consentire all’impresa la prelevabilità di somme). La legge fallimentare vigente consente già di giustificare questa apertura della nozione di “finanziamenti” ai “crediti di firma”[15] (cfr. art. 182-quater, co. 1, l. fall., che si riferisce ai finanziamenti “in qualsiasi forma effettuati”)[16]: ed il CCII conferma tale conclusione in modo inequivocabile (cfr. art. 99, co. 1, CCII, che ricomprende espressamente nella nozione di “finanziamenti in qualsiasi forma” la “richiesta di emissione di garanzie”).
Non v’è ragione di ritenere che tali conclusioni non valgono anche per il procedimento di “Composizione negoziata” della crisi d’impresa (cfr. art 10, co. 1, d. l. n. 118/2021).
Per ciò che concerne il rapporto tra il termine “finanziamento” ed il termine “mutuo”, si ritiene di potere osservare quanto segue.
Tenuto conto della circostanza che, a parere di chi scrive, le disposizioni dichiarate applicabili ai “finanziamenti” riguardano le operazioni poste in essere (i) a seguito dell’apertura del procedimento di “Composizione negoziata” della crisi d’impresa di cui al d.l. n. 118/2021; ovvero (ii) in tre delle quattro fasi, nelle quali si può sviluppare una delle procedure di Composizione negoziale della crisi d’impresa “classiche” (la fase “ponte”; la fase “interinale”; la fase “in esecuzione” – artt. 182-quater e 182-quinquies l. fall.; art. 99 e 101 CCII -: mentre la disposizione applicabile ai “mutui” - se escludiamo il caso particolare della disciplina del pagamento di rate pregresse del mutuo ipotecario garantito da immobili aziendali[17] - concerne le operazioni poste in essere nella fase “in corso” di procedura - particolarmente nel corso del Concordato preventivo: art. 167 l. fall.; art. 94 CCII -); ne deriva la irragionevolezza di una interpretazione che riconoscesse al termine “mutuo” un ambito di applicazione più ristretto rispetto a quello attribuibile al termine “finanziamento”.
In ragione di ciò – oltre che di concomitanti considerazioni di carattere generale – non pare ci sia ragione per ritenere il termine “mutui” come riferibile esclusivamente al contratto descritto con tale nome dal Codice civile (art. 1813 c.c.), secondo il quale il mutuo è il contratto con il quale una parte “consegna all’altra una determinata quantità di denaro… e l’altra si obbliga a restituire” altrettanto.           
Tanto meno sussistono ragioni, a parere di chi scrive, per ritenere limitata l’applicabilità delle norme che disciplinano i “mutui” alle operazioni così qualificate dalla prassi bancaria, e caratterizzate dalla erogazione di una somma di denaro accompagnata dalla assunzione dell’obbligazione di restituirla mediante il pagamento di un certo numero di rate del medesimo importo[18], salvo le fattispecie nelle quali viene espressamente presa in considerazione proprio questa forma tecnica (ad es. il citato art. 20, co. 1, lett. d) del d. l. n. 118/2021).
Non sussistono peraltro i presupposti per estendere l’ambito di applicazione della disciplina dettata per i “finanziamenti” (e per i “mutui”) ai contratti pure produttivi di effetti “finanziari”, ma caratterizzati da una natura giuridica diversa (tipicamente: di scambio; di prestazione di servizi; di messa a disposizione di beni; eccetera), benchè la strutturazione che possono ricevere nel singolo caso di specie – particolarmente prevedendo una marcata dilazione per il pagamento del corrispettivo dovuto dall’imprenditore alla controparte – possa effettivamente produrre effetti “finanziari”. In tal senso non pare possibile attribuire al diritto positivo vigente (tanto la “consolidata” legge fallimentare vigente quanto la novella legge n 147/ 2021 di conversione del d. l. n. 118/2021) ed a quello prossimo venturo (il CCII) la portata attribuibile al “considerando” n. 66 della Direttiva Comunitaria dei Quadri di Ristrutturazione (n. 1023/2019), secondo il quale “l’assistenza finanziaria dovrebbe essere intesa in senso lato, compreso nel senso di erogare denaro o garanzie personali e di fornire giacenze, inventari, materie prime e servizi, ad esempio concedendo al debitore un termine di rimborso più lungo”.
3 . La nozione di “finanziamento” (e di “mutuo”) nel contesto della disciplina degli atti di ordinaria e di straordinaria amministrazione e dei contratti pendenti
Le operazioni comportanti l’assunzione di “finanziamenti” (e di “mutui”) costituiscono certamente “atti” dell’imprenditore: come tali, dovrebbero essere disciplinati dalle disposizioni dettate (o non dettate) per la regolamentazione degli atti posti in essere nel contesto di una procedura di Composizione della crisi d’impresa.
Nello stesso modo i “finanziamenti” (e i “mutui”) possono essere ricompresi nella più ampia categoria dei contratti (di credito): onde la concessione di finanziamenti o mutui in esecuzione di un contratto concluso precedentemente all’apertura di una procedura di Composizione negoziale della crisi d’impresa dovrebbe essere regolata dalla disciplina dei “contratti pendenti” prevista per quella procedura.
Per i “finanziamenti” (ed i “mutui”) non è però così: se si esclude l’ipotesi del ricorso da parte dell’impresa in crisi all’istituto del “Piano Attestato di Risanamento”, gli atti qualificabili (nei termini sopra chiariti) “finanziamenti” e “mutui” non sono sempre regolati dalla disciplina degli “atti”, o dalla disciplina generale dei “contratti pendenti”, sibbene molto spesso da norme speciali: con carattere di esclusività per gli “Accordi di Ristrutturazione” e per i Concordati preventivi – nel senso che la disciplina dei “finanziamenti” prescinde in toto dalla disciplina dei “contratti” (art. 167 l. fall.; artt. 182-quater e 182-quinquies; art. 94 CCII; art. 99 e 101) -[19]; ovvero con funzione integrativa per ciò che concerne la “Composizione negoziata“ (artt. 10 e 13 d. l. n. 118/2021). 
Tale conclusione genera conseguenze contradditorie e difficilmente spiegabili, se non con la considerazione di una tecnica legislativa che continua a peccare di approssimazione.
Se si considera il quadro delle procedure di Composizione negoziale delle crisi di impresa disponibili sino a ieri (la legge fallimentare “consolidata”: Accordi di Ristrutturazione e Concordato preventivo), la scelta – non si sa quanto consapevole – di attribuire ai “finanziamenti” ed ai “mutui” una disciplina speciale, diversa da quella assegnata agli “atti” ed ai “contratti”, comporta la conseguenza – si ripete: non si sa quanto consapevole – dell’assoggettamento dei “finanziamenti” (e dei “mutui”) ad una disciplina più severa di quella che sarebbe loro assegnabile in quanto “atti” ovvero in quanto esecuzione di “contratti”. Trattasi di una disciplina caratterizzata dall’elemento comune della necessaria previsione di una autorizzazione giudiziale[20]: anche nelle ipotesi nelle quali la ordinarietà dell’atto, ovvero la sua funzione di rappresentare la esecuzione di un contratto già pendente, la sottoporrebbero a tale vincolo.
Se si rivolge peraltro l’attenzione alla considerazione della disciplina della procedura di “Composizione negoziata” della crisi di impresa (come introdotta dal decreto-legge 24 agosto 2021, n. 118), peraltro, lo scenario muta sensibilmente. In tale contesto, infatti, il ricorso all’autorizzazione giudiziale (come vedremo) è soltanto facoltativo; e – circostanza anche di maggiore rilievo – si consente all’imprenditore in “crisi” di avvalersi della autorizzazione del Tribunale “fallimentare” per ottenere, attraverso l’assicurazione alla controparte in bonis del diritto alla collocazione in prededuzione dei propri crediti, prestazioni – si badi bene, esclusivamente in campo finanziario, e non in campo “commerciale” lato sensu inteso -, funzionali a sostenere l’esercizio dell’attività aziendale, che in condizioni normali avrebbero potuto essergli negate.
E’ evidente come l’attribuzione di una tale forma di garanzia possa facilitare l’accesso a prestazioni altrimenti precluse ad un imprenditore versante in una condizione di “crisi”: e peraltro tale chance è disponibile, come detto, soltanto per i “terzi – finanziatori”, e non, per esempio – per i “terzi – fornitori”; oppure i “terzi – clienti”, i quali devono decidere se sostenere l’imprenditore a proprio rischio, ovvero cessare il rapporto (o non allacciare quello che fosse stato loro prospettato), con reciproco pregiudizio. Ma tant’è: l’art. 10 d. l. n. 118/2021 prevede che gli “atti” che, in quanto funzionali “rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori”, possono vedersi attribuita dal Tribunale l’attitudine a generare crediti collocabili in prededuzione, possono essere (soltanto) i “finanziamenti”, escludendo pertanto gli “acquisti”; gli “incarichi”; le forniture di “beni” o “servizi”; o qualunque altro atto di gestione dell’impresa.
1 . Il divieto di “revoca degli affidamenti bancari” (pendenti)
La “finanza bancaria”, in occasione della sopravvenienza di una situazione di “crisi” dell’impresa affidata, viene in considerazione già solo per il profilo della possibilità o meno di proseguire nella esecuzione del contratto bancario di credito in corso, ove il relativo (importo) “accordato” non risulti ancora interamente “utilizzato”; ovvero ove la relativa provvista si ricostituisca, in conseguenza del progressivo “scarico” dello “utilizzato” presente al momento dell’apertura del procedimento di “Composizione negoziata”. 
A tale proposito l’art. 4, co. 6, d. l. n. 118/2021 dispone che “l’accesso alla Composizione negoziata non costituisce di per sé causa di revoca degli affidamenti bancari concessi all’imprenditore”.     
Tale principio suona tanto impreciso da un punto di vista tecnico, quanto ingeneroso da un punto di vista etico. 
Da un punto di vista tecnico, tanto il termine “revoca” quanto quello di “affidamenti” tradiscono una evidente genericità. Presumibilmente si intendeva fare riferimento al recesso, consentito nei rapporti contrattuali conclusi a tempo indeterminato (quali sono la maggior parte dei contratti di finanziamento bancario, a partire – di norma – dall’apertura di crediti in conto corrente/ per anticipo fatture/ per anticipo s.b.f. di ricevute bancarie, eccetera) - e forse si voleva fare riferimento anche alla “risoluzione” , quando l’accesso alla “Composizione negoziata” e il comportamento tenuto dall’imprenditore nell’occasione fosse stato assimilabile nella nozione di “inadempimento” -; e si voleva alludere ai contratti di finanziamento, tanto collocabili nell’orbita dei “mutui” (con erogazione già avvenuta ed obbligo di rimborso differito nel tempo), quanto riferiti ai contratti di apertura di credito (suscettibili di un utilizzo “rotativo” nel corso del tempo). 
La denunciata genericità del principio così enunciato non è accettabile senza alcune necessarie precisazioni.
Si può ipotizzare l’introduzione di un divieto di “risoluzione” del contratto di finanziamento (per es. il contratto di “mutuo”), allo scopo di sottrarre l’imprenditore in crisi – e per ciò inadempiente: per es. al rispetto dell’osservanza puntuale del piano di ammortamento rateale – all’obbligo di rimborsare immediatamente l’intero debito residuo, con conseguente produzione (ovvero aggravamento) di una crisi di liquidità. Già tale intervento si traduce in un obbligo di “finanziamento” – per la dilazione imposta alla banca, che in tal modo viene costretta a sostenere finanziariamente l’impresa per tutto il periodo nel quale rimanesse efficace il divieto di risoluzione -: ma ciò corrisponde ad un fenomeno ricorrente nel quadro delle procedure di Composizione delle crisi d’impresa, trattandosi di una “moratoria” già presente, in varie modalità, anche in altri istituti della specie (in primis il concordato preventivo).
Si può altresì ipotizzare l’introduzione di un divieto di “recesso” relativamente agli effetti che lo stesso produrrebbe sulle prestazioni della banca già eseguite – vale a dire sui finanziamenti, in particolare le “anticipazioni”, già concessi -, sempre allo scopo di impedire la produzione della immediata esigibilità del credito “utilizzato”, e la conseguente, possibile crisi di liquidità.
Sarebbe invece inimmaginabile il divieto di “revoca” (ovvero di recesso; o anche di risoluzione, in presenza di contratti di apertura di credito conclusi a tempo determinato) con riguardo alle prestazioni ancora da eseguire: vale a dire con riguardo agli “utilizzi” di cui l’imprenditore avesse ancora il diritto contrattuale di avvalersi (perché relativi alla porzione di affidamento “accordato” risultante non utilizzata alla data di accesso alla “Composizione negoziata”); ovvero a quelli che si ricreassero in conseguenza della riduzione dello “utilizzato” precedente (per effetto del “rientro” della originaria esposizione, nelle aperture di credito bancario cc.dd. “rotative” e/o “autoliquidanti”).
La introduzione di un divieto di interruzione dell’utilizzo del credito reso originariamente disponibile all’imprenditore – quale che fosse lo strumento funzionale a conseguire tale interruzione: “revoca”, ovvero recesso, ovvero risoluzione –, equivarrebbe alla introduzione di un obbligo di finanziamento, contrario ad ogni principio di ragionevolezza, oltre che incompatibile con la natura (di impresa privata) da attribuirsi all’esercizio dell’attività creditizia[21].
Da un punto di vista “etico” non si comprende poi la ragione per la quale la preoccupazione di un comportamento “brutale” nei confronti dell’imprenditore in crisi debba concentrarsi sulla banca, piuttosto – per esempio – che sul “fornitore strategico” (che potrebbe interrompere il rapporto per la preoccupazione di non essere pagato); oppure sul “cliente esclusivo” (che potrebbe cambiare fornitore per la preoccupazione della possibile discontinuità delle prestazioni dell’imprenditore in crisi); od ancora sul “Capo-Agente” (che potrebbe traghettare i clienti alla concorrenza per mantenere integro il valore del “pacchetto” formatosi grazie alla sua attività di intermediazione).
2 . La prosecuzione dell’esecuzione dei contratti bancari di credito pendenti
Come detto, la gestione ordinaria dell’impresa, per la quale si sia avviato il procedimento di “Composizione negoziata” disciplinato dal d. l. n. 118/2021, rimane all’imprenditore, senza riserve.
Il principio è ovviamente applicabile anche ai contratti bancari di credito: per i quali pare però emergere la necessità di distinguere quelli appartenenti alla “gestione ordinaria”, da quella rappresentanti, invece, atti di amministrazione straordinaria.
Si può ritenere, con buona approssimazione, che la prosecuzione dei contratti pendenti rappresenti una ipotesi di “gestione ordinaria”. Ove l’utilizzo del contratto bancario di credito rappresenti un diritto per l’imprenditore, non si vede come l’esercizio dello stesso potrebbe considerarsi un fatto straordinario; laddove, nel caso contrario, ove si trattasse di atto dovuto, il carattere della straordinarietà dovrebbe piuttosto essere attribuito, all’incontrario, al suo eventuale inadempimento anche per le relative, possibili conseguenze -.
Come si è avuto modo di segnalare, in generale l’accesso al procedimento di “Composizione negoziata” della crisi d’impresa non produce effetti traumatici sui rapporti giuridici in corso, né – in particolare – sui “contratti pendenti”. Se mai, si registra la volontà di conseguirne il “consolidamento” in favore dell’imprenditore che facesse ricorso al nuovo istituto, dal momento che:
(i) si invitano (rectius: si “obbligano”) “le parti” (dei rapporti giuridici in essere con l’imprenditore) a comportarsi “secondo buona fede e correttezza” (art. 4, co. 4): ed in particolare
(ii) si dispone che le banche e gli intermediari finanziari (e i loro mandatari e cessionari dei loro crediti) partecipino (“sono tenuti a partecipare”) alle trattative “in modo attivo e informato” (art. 4, co.6); 
(iii) si esclude che l’accesso al procedimento di “Composizione negoziata” della crisi costituisca di per sé “causa di revoca degli affidamenti bancari”;
(iv) si vieta di assumere a motivo di rifiuto dell’adempimento del contratto pendente, di sua risoluzione, ovvero di scadenza anticipata o di modifica unilaterale, il “mancato pagamento dei….. crediti anteriori”, conseguente all’ottenimento da parte dell’imprenditore in crisi delle “misure protettive” previste dall’articolo 6: disposizione che si deve ritenere applicabile anche ai “contratti di credito”;
(v) nell’ipotesi di “eccessiva onerosità della prestazione” generata dalla pandemia da SARS–COV-2, si attribuisce all’esperto, nominato per la agevolazione della trattativa condotta nell’ambito della “Composizione negoziata”, della legittimazione ad invitare le parti a rideterminare il contenuto del contratto ad esecuzione continuata o periodica, ovvero ad esecuzione differita;
(vi) nella stessa ipotesi si attribuisce al tribunale la competenza a disporre la equa rideterminazione delle condizioni del contratto pendente, per il periodo strettamente necessario e come misura indispensabile ad assicurare la continuità aziendale.
I “contratti pendenti” (anche di credito) possono pertanto continuare ad essere eseguiti regolarmente, ivi compresa la effettuazione dei pagamenti dovuti e nonostante l’eventuale ricorso a “Misure protettive” (art. 6, co. 1, ult. parte: “Non sono inibiti i pagamenti”).
Da notare anche che la costituibilità di titoli di prelazione (non soltanto – ma, comunque, anche – in favore di finanziamenti bancari) sarebbe consentita, ed opponibile ai creditori, nell’ipotesi nella quale l’imprenditore avesse pure imposto agli stessi la par condicio conseguente al ricorso (eventualmente confermato dal Tribunale) a “Misure protettive”: infatti l’art. 6, co. 1, consente anche in questo caso la costituzione di titoli di prelazione, se “concordati con l’imprenditore”). 
3 . La “esenzione” da revocatoria per la finanza bancaria “ordinaria”
Come detto, l’art. 12, co. 2, d.l. n. 118/2021 rientranti nella gestione ordinaria non condiziona l’effetto “esentativo” disposto ad alcun presupposto, diverso da quelli rappresentati dalle circostanze che:
(i) gli atti interessati siano stati posti in essere “nel periodo successivo alla accettazione dell’incarico da parte dell’esperto”: e
(ii) gli atti siano coerenti con l’andamento e lo stato della trattativa e con le prospettive di risanamento esistenti al momento in cui sono stati compiuti. Non è previsto pertanto alcun intervento “autorizzatorio”: né dal tribunale, né dell’esperto nominato dalla competente Commissione.
La mancanza di un “filtro” preventivo condizionante l’applicabilità (o meno) all’atto, posto in essere nel contesto della erogazione di finanza bancaria “ordinaria”, dell’incentivo “esentativo” in discussione, rappresenta un fattore positivo (sotto il profilo organizzativo), ma espone contemporaneamente ad un rischio di mancato conseguimento dell’obiettivo.
Gli atti de quibus, infatti, saranno inevitabilmente soggetti alla valutazione del tribunale, in sede di eventuale promozione, nei loro confronti, di una azione revocatoria di cui all’art. 67, co. 2, l. fall.: e potranno trovarsi a subirne le conseguenze, laddove il Tribunale non condivida le valutazioni concernenti (i) in via generale, l’appartenenza degli atti alla gestione ordinaria dell’impresa (con quel che ne consegue); e (ii) in via particolare, la loro “coerenza” con le trattative e con le prospettive di risanamento dell’impresa, formulate dalla banca (e dall’impresa stessa) al momento del compimento degli atti in questione. 
La incertezza generata dalla soggezione del beneficio della “esenzione” alla valutazione postuma del tribunale, investito dell’eventuale azione revocatoria, della effettiva natura “ordinaria” dell’atto, nonché della sua “coerenza” con quanto indicato dalla norma esentativa, comporta l’oggettivo rischio della valutazione di inadeguatezza dell’incentivo così programmato; ovvero il pericolo che il soggetto finanziatore pretenda la costituzione di garanzie aggiuntive di soggetti “ non a rischio” (soci; capogruppo; eventuali altri), per lo meno per l’eventualità dell’effettivo assoggettamento a revocatoria degli atti che se ne auspicavano esentati[22]. 
Il fenomeno è analogo a quello generato dalla disciplina dei cc.dd. “finanziamenti – ponte” (art. 182 - quinquies, co.1, l. fall.; art. 99, co. 5, C.C.I.), per i quali l’incentivo della prededuzione è legato alla condizione che tale prerogativa venga “ratificata”, ex post, dal provvedimento di ammissione del Concordato preventivo ovvero di omologazione dell’Accordo di Ristrutturazione.
Si può porre l’interrogativo, a questo punto, se l’eventuale condivisione del giudizio di “coerenza”, formulato dalle parti, da parte dell’esperto, abbia l’attitudine a “blindare” l’atto nei confronti del rappresentato pericolo dell’accoglimento dell’azione revocatoria ex art. 67, co. 2, l. fall., in conseguenza di un apprezzamento difforme da parte del tribunale successivamente investito dell’azione. 
Ad avviso di chi scrive – e sul presupposto che l’esperto accetti di rilasciare un parere di tale contenuto, per non essendo legalmente previsto dalla disciplina in commento – la soluzione dovrebbe essere coerente con quella individuata per l’analogo quesito, rappresentato dalla definitività o meno dell’effetto esentativo concernente l’atto di straordinaria amministrazione, per il quale l’esperto - opportunamente notiziatone ai sensi dell’art. 9, co. 2, l. fall. – non avesse ritenuto di (negare la propria condivisione; ovvero, pur avendola negata, non avesse ritenuto di) inserire nel Registro delle Imprese il proprio dissenso. Non risulterebbe infatti giustificata la mancata estensione anche ad atti di ordinaria amministrazione, debitamente condivisi dall’esperto, dello “effetto esentativo” che si ritenesse di dover attribuire (alla condivisione, ovvero la) alla mancata pubblicazione del dissenso espresso nei confronti di un atto di straordinaria amministrazione - ovvero di un pagamento[23] -, per effetto di quanto previsto dall’art. 12, co. 3, d. l. n. 118/2021. 
Ad avviso di chi scrive – come si dirà[24] - la (condivisione, ovvero) mancata pubblicazione del dissenso dell’esperto nei confronti del compimento di un atto di straordinaria amministrazione - ovvero di un pagamento -, debitamente comunicatogli in via preventiva, dovrebbe produrre effettivamente un effetto preclusivo alla esercitabilità nei confronti dell’atto o del pagamento posto in essere, nell’eventuale fallimento successivo, dell’azione revocatoria ex art. 67, co. 2, l. fall.: dal ché si dovrebbe trarre analoga conclusione anche per gli atti (di finanziamento) di ordinaria amministrazione che fossero stati preventivamente rappresentati all’esperto, e da questo condivisi.
1 . “Nuova finanza” e gestione dell’impresa
In linea di principio la concessione di “nuova finanza”, intesa come la messa a disposizione di linee di credito precedentemente inesistenti o comunque non operative, può costituire tanto un atto di gestione ordinaria dell’impresa; quanto un atto di amministrazione straordinaria. 
Possono essere esempi della prima ipotesi le linee di credito cc.dd. “autoliquidanti”, in quanto funzionali a rendere liquide disponibilità finanziarie già acquisite dall’impresa – con l’esecuzione delle prestazioni regolate dai clienti in modo dilazionato -, ma scadenti in un momento successivo. 
Possono essere esempi della seconda ipotesi i finanziamenti a medio / lungo termine funzionali a sostenere degli investimenti rappresentanti atti di amministrazione straordinaria, per l’importo; per la natura; per il carattere non ricorrente. 
L’imprenditore che abbia chiesto ed ottenuto l’accesso alla “Composizione negoziata” della crisi di impresa non soffre di alcun limite nel compimento di atti anche di amministrazione straordinaria, compresi quelli aventi carattere finanziario: nel senso, che i relativi effetti sono opponibili senza riserve ai creditori ed ai terzi in genere (cfr. art. 9, co. 1, d. l. n. 118/2021). 
Le conseguenze di ciò sono rappresentate principalmente dalle circostanze che: 
a) le obbligazioni assunte dall’imprenditore, anche in conseguenza di un finanziamento qualificabile atto di straordinaria amministrazione, non accompagnato da alcun “accorgimento”, generano passività legittimate a concorrere con tutte quelle degli altri creditori; e 
b) le garanzie costituite dall’imprenditore, anche attraverso atti ritenuti rientranti nella amministrazione straordinaria, saranno pienamente opponibili agli altri creditori. 
Diversi sono invece i presupposti di conseguibilità della “esenzione” da revocatoria[25].
1 . La disciplina dei finanziamenti comportanti il compimento di atti di straordinaria amministrazione
Fermo quanto già segnalato in merito alla validità ed opponibilità “senza riserve” degli atti (anche di finanziamento) posti in essere nel corso della “Composizione negoziata” della crisi d’impresa nonostante l’eventuale carattere di straordinarietà, occorre immediatamente segnalare che la appartenenza dell’atto (o del finanziamento) posti in essere dall’imprenditore all’area della amministrazione straordinaria dell’impresa non è irrilevante, allorché se ne intenda esaminare la disciplina.
Ferma restando, come detto, la validità e la opponibilità degli effetti dell’atto “a prescindere”, la legge tuttavia prevede per tale fattispecie: 
(i) l’obbligo di informazione preventiva all’esperto, in forma scritta (art. 9, co. 2); 
(ii) la segnalazione all’imprenditore ed all’organo di controllo, da parte dell’esperto e sempre per iscritto, dell’eventuale opinione circa la attitudine dell’atto ad “arrecare pregiudizio al creditore, alle trattative o alle prospettive di risanamento” (art. 9, co. 3);
(iii) l’obbligo di informazione dell’esperto dell’eventuale compimento dell’atto, nonostante il dissenso ricevuto (art. 9, co. 4), 
(iv) l’iscrizione del dissenso dell’esperto nel Registro delle Imprese, entro 10 giorni (dalla comunicazione del compimento dell’atto non condiviso), possibile – in via generale -; o necessaria, "quando l’atto pregiudica gli interessi dei creditori”; 
(v) la segnalazione della iscrizione del dissenso dell’esperto nel Registro delle Imprese al Tribunale che avesse autorizzato “misure protettive” in favore dell’imprenditore, per la loro eventuale revoca;
(vi) la soggezione dell’atto alle azioni revocatorie di cui agli artt. 66 e 67 l. fall., nell’ipotesi di iscrizione del dissenso dell’esperto nel Registro delle Imprese (ovvero nell’ipotesi di rigetto della richiesta di autorizzazione che fosse stata rivolta al Tribunale).
Con riguardo a quest’ultimo effetto ci si può domandare se la conseguita adesione dell’esperto al compimento dell’atto di straordinaria amministrazione programmato dall’imprenditore (oppure, comunque, la mancata pubblicizzazione del dissenso dell’esperto nel Registro delle Imprese) possa essere valutata come “garanzia” di “permanenza” del beneficio esentativo; oppure se, in ogni caso, la ricorrenza dei presupposti per il suo riconoscimento possa essere soggetta alla valutazione discrezionale del Tribunale che fosse successivamente investito della revocatoria proposta contro l’atto in questione. Non è dubbio che la risposta debba essere indirizzata tout court ad escludere l’ammissibilità stessa dell’azione revocatoria: nel caso contrario sarebbe inevitabile pretendere una modifica normativa che preveda anche per il beneficio della esenzione da revocatoria un “passaggio” di carattere giudiziale.
2 . La disciplina dei “pagamenti”
Come già detto, pare opportuno segnalare la circostanza che in base al combinato disposto dagli atti 9, co. 2, e 12, co. 3 d. l. n. 118/2021 pare di poter concludere che i “pagamenti” siano assimilati sempre, per il profilo che interessa in questa sede, agli atti “di straordinaria amministrazione”. Per essere esentati dall’azione revocatoria fallimentare ex art. 67, co. 2, l. fall., infatti, non devono soltanto risultare “coerenti” con le trattative e con le prospettive di risanamento (art. 12, co. 2): ma devono anche (i) essere oggetto di informativa preventiva all’esperto (art. 9, co. 2); nonché (ii) essere accompagnati dalla condivisione da parte di questi, ovvero – per lo meno – dalla mancata pubblicizzazione del suo eventuale dissenso. 
Si pongono a tale proposito alcune questioni connesse alla concreta applicazione della disciplina, così come rappresentata. 
In primo luogo occorre stabilire se la “restrizione” rappresentata dalla equiparazione dei “pagamenti” agli atti di straordinaria amministrazione sia circoscritta a quelli che, pur posti in essere dopo la apertura del procedimento, riguardino debiti pregressi; oppure si estenda anche a quelli estintivi di debiti sorti “in corso” di procedimento. La logica privilegerebbe la prima soluzione: ma la prudenza deve consigliare la seconda. 
Oltre a ciò, occorre stabilire se la informativa preventiva, e la condivisione (ovvero mancata pubblicizzazione dell’eventuale dissenso) dell’esperto, possano riguardare anche pagamenti “seriali” – quindi essere, rispettivamente, attuate e conseguite una tantum –: oppure debbano trovare attuazione di volta in volta. L’esempio più ricorrente potrebbe essere rappresentato dal pagamento di fatture, ricevute bancarie od altri titoli anticipati dalla banca in esecuzione di un contratto di credito “autoliquidante” (proseguito perché già in essere, ovvero concluso ex novo), risultati insoluti per il mancato pagamento da parte del “debitore ceduto”. La risposta che si fa preferire – se non in via generale, per lo meno per la fattispecie rappresentata e quelle alla stessa riconducibili – è la risposta positiva: l’autorizzazione una tantum al regolamento degli eventuali insoluti dovrebbe bastare per tutta la durata delle trattative in corso, fino alla chiusura del procedimento.
3 . La formalizzazione della adesione (o della intenzione di non pubblicizzare l’eventuale dissenso) dell’esperto
Rimane infine da stabilire quale forma possa assumere la decisione dell’esperto, concernente la scelta di non dare pubblicità al proprio eventuale dissenso, per garantire la operatività della protezione esentativa dall’azione revocatoria ex art. 67, co. 2, l. fall., sottraendo l’atto di straordinaria amministrazione (anche bancaria) programmato al rischio di un futuro assoggettamento alla revocatoria.
Atteso che il confronto tra imprenditore ed esperto, sulla condivisione o meno dell’atto di straordinaria amministrazione programmato, deve svolgersi per iscritto; e che ugualmente deve assumere forma scritta la comunicazione dell’imprenditore all’esperto di intendere porre in essere l’atto contestato nonostante il dissenso ricevuto; si deve ritenere che l’imprenditore possa chiedere (ed abbia il diritto di ottenere) la risposta finale dell’esperto circa la ritenuta ricorrenza dei presupposti per dare corso alla publicizzazione del proprio dissenso con la prevista iscrizione nel Registro delle Imprese.
Una volta ricevuta una risposta che prefigura il ricorso alla pubblicità descritta, l’imprenditore rimarrà libero di dare definitiva esecuzione alla propria decisione, compiendo ugualmente l’atto contestato, che rimarrà perfettamente valido (ed opponibile ai creditori), ma esposto al rischio (di tutti gli atti posti in essere nel contesto di una situazione di “crisi”, e cioè) di essere assoggettato ad una futura azione revocatori (la noma evoca gli artt. 66 e 67 l. fall., ma non si può escludere la permanente applicabilità delle altre disposizioni della revocatoria “fallimentare”, nonché quella dell’art. 2901 cod. civ). 
Una volta ricevuta invece una risposta che andasse nella direzione di escludere l’iscrizione del dissenso nel Registro delle Imprese, la eventuale proposizione di una successiva azione revocatori (di cui all’art. 67, co. 2, l. fall.) dovrebbe essere giudicata inammissibile tout court.
1 . La prededuzione nella “Composizione negoziata” della crisi d’impresa
Diversamente da quanto disposto per i “Piani Attestati” (ed in analogia, invece, con quanto disposto per gli “Accordi di Ristrutturazione” e per il Concordato preventivo) la disciplina della “Composizione negoziata” della crisi d’impresa prevede altresì l’ ipotesi dell’attribuibilità del collocamento “in prededuzione” ad una serie di crediti sorti nel corso del relativo procedimento, alla condizione che i relativi “atti” risultino funzionali “rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori”. Come detto, tale effetto può riguardare esclusivamente i crediti derivanti da “finanziamenti”, purché autorizzati dal Tribunale[26]: e precisamente:
(i) finanziamenti assunti da terzi in genere;
(ii) “finanziamenti – soci”;
(iii) finanziamenti assunti da una o più società appartenenti al “gruppo” dell’impresa versante nella “Composizione negoziata”, come delineato dall’art. 13. d.–l. n. 118/2021.
Oltre a tutto ciò, per l’ipotesi di accesso al procedimento di “Composizione negoziata” della crisi da parte di una impresa appartenente ad un gruppo societario, i finanziamenti eseguiti in favore delle controllate ovvero delle società sottoposte a comune controllo sono esclusi dalla postergazione di cui agli articoli 2467 e 2497 – quinquies c.c., purché l’imprenditore ne abbia preventivamente informato l’esperto designato dalla competente Commissione, e poiché costui, dopo aver segnalato che l’operazione può arrecare pregiudizio ai creditori , non abbia iscritto il proprio dissenso nel Registro delle Imprese (ovvero – si deve ritenere – purché l’esperto non abbia formulato un giudizio di pregiudizievolezza).
2 . I presupposti della prededuzione dei “finanziamenti”
L’art. 10, co. 1, d. l. n. 118/2021, afferma che il Tribunale su richiesta dell’imprenditore, lo può autorizzare “a contrarre finanziamenti prededucibili”, ai sensi dell’art. 111 l. fall.
I presupposti fissati dalla legge sono rappresentati dunque, in primo luogo, dalla circostanza che i crediti aspiranti alla prededuzione trovino origine in “finanziamenti”: non potendo conseguire tale effetto, invece, i crediti prodotti da “forniture”; prestazioni di servizi; o altro[27]. 
Un secondo presupposto è rappresentato dalla “funzionalità degli atti [di finanziamento] alla continuità aziendale” e dalla “migliore soddisfazione dei creditori”. 
L’acquisizione del parere dell’esperto non è obbligatoria: ma si deve ritenere che sarà ugualmente sistematica (e potenzialmente condizionante il segno del provvedimento del Tribunale). 
Il giudice (in Composizione monocratica) può avvalersi di “ausiliari”, ai sensi dell’art. 68 cpc: il provvedimento pronunciato è soggetto a reclamo davanti al Tribunale (e del collegio non può fare parte il giudice che lo ha pronunciato). 
La prededuzione così disposta troverà la propria disciplina nelle disposizioni dettate dall’art. 111 l. fall.
3 . Le modalità di esercizio della prededuzione
L’art. 12, co. 1, d. l. n. 118/2021 dispone che “gli atti autorizzati dal Tribunale ai sensi dell’articolo 10 conservano i propri effetti se successivamente intervengono”: (i) un Accordo di Ristrutturazione omologato; (ii) un Concordato Preventivo omologato; (iii) un Fallimento; (iv) la L.C.A.; (v) la Amministrazione Straordinaria; (vi) ovvero, infine, il “Concordato Semplificato” disciplinato dagli articoli 18 e 19. 
Da ciò si deve trarre la conclusione che il principio (che sarà) affermato dal CCII, secondo il quale “la prededucibilità permane anche nell’ambito delle successive procedure esecutive o concorsuali”, in parte non trova applicazione (per ciò che concerne la esercitabilità della prededuzione nell’ambito di un “concorso” aperto dall’avvio di una procedura esecutiva individuale); in parte trova una applicazione più circoscritta (alle procedure di Composizione della crisi espressamente menzionate e) “consecutive”. 
La prededuzione non opera nel corso dello svolgimento del procedimento di “Composizione negoziata”, essendo esso interessato dal regime dell’adempimento delle obbligazioni secondo la loro scadenza e non in base alla loro natura[28]. 
La prededuzione opera nel contesto di una “procedura di crisi” (tra quelle menzionate) “consecutiva”: ma ciò origina il problema della individuazione di quali “masse” subiscono l’effetto della necessaria postergazione ai crediti prededucibili così formatisi.
4 . Segue. Il soddisfacimento dei crediti prededucibili, sorti nel procedimento di “Composizione negoziata”, nel concorso con i creditori e successivi
Nel diritto vigente manca la previsione delle modalità con le quali dare esecuzione alle disposizioni che attribuiscono il collocamento in prededuzione ai crediti derivanti da finanziamenti erogati in funzione, nel corso, ovvero in esecuzione di una procedura di Composizione negoziale della crisi d’impresa nel momento in cui – poniamo, nell’ambito del fallimento consecutivo finale – questi abbiano a dover concorrere con crediti sorti dopo l’intervenuta chiusura della procedura – non essendo scontato che il concorso finale si apra contemporaneamente alla cessazione del procedimento pendente -.
L’attribuzione della prededuzione ai crediti per i quali sia disposta la “permanenza” (più o meno accentuata) di tale effetto “premiale” comporta la postergazione di tutti i crediti pregressi (tralasciando per ora, e in questa sede, il problema dei crediti bensì pregressi ma assistiti da garanzie reali e per i quali dovrebbe comunque trovare l’applicazione la regola contenuta nell’art. 111-bis, co. 3, l. fall.) al preventivo soddisfacimento integrale dei crediti prededucibili.
Ove si ritenesse che i crediti prededucibili de quibus debbano trovare una collocazione preferenziale, nella procedura “concorsuale”, rispetto all’intero passivo fallimentare, comprensivo dei debiti sorti dopo la chiusura della “Composizione negoziata” – per esempio, in conseguenza di un “contratto” ai sensi dell’art. 11, co. 1, lett a), d. l. n. 118/2021; o di una Convenzione di moratoria poi finita nel nulla; eccetera -, si dovrebbe dare luogo al soddisfacimento preventivo dei primi, e poi al soddisfacimento dei secondi in concorso con i crediti pregressi[29].
Ove si ritenga invece – come a chi scrive appare preferibile – che la prededuzione ex artt. 10 d. l. n. 118/2021 riguardi il concorso dei finanziatori della “Composizione negoziata”, con i (soli) creditori pregressi rispetto alla sua apertura, la necessaria postergazione di costoro ai crediti così prededucibili ne implicherebbe la postergazione anche rispetto a tutti i creditori successivi: perché i crediti prededucibili, che si dovessero ritenere pur concorrenti con i crediti posteriori all’omologazione (nell’ipotesi che non si ritenga che debbano essere anteposti anche a questi!), non potrebbero avere trovato soddisfacimento integrale (come condizione per la partecipazione al riparto dei crediti pregressi postergati) se non in concomitanza con il corrispondente soddisfacimento integrale anche dei creditori successivi.
Risultando tale conclusione difficilmente accettabile – non avendo avuto a suo tempo i creditori pregressi alcun elemento di valutazione su quale avrebbe potuto essere l’entità finale complessiva dei crediti successivi alla chiusura del procedimento di “Composizione negoziata” (diversi da quelli per i quali fosse espressamente prevista la collocazione in prededuzione); e che nell’ipotesi qui presa in considerazione sarebbero destinati a ricevere anch’essi un soddisfacimento preferenziale rispetto all’indebitamento pregresso – , pare necessario dare esecuzione alla prededuzione qui presa in considerazione attraverso una tecnica diversa da quella ricavabile dalla semplice antergazione / postergazione di categorie di creditori[30].
Tale tecnica può essere rappresentata dall’ammissione dei crediti pregressi a concorrere anch’essi nella ripartizione del ricavato dalla liquidazione “fallimentare” – quindi, insieme ai crediti prededucibili (nel nostro caso, in quanto derivanti da finanziamenti erogati in base alla richiamata disposizione comportante tale effetto “premiale”); ed insieme ai crediti maturati successivamente in corso di esecuzione del contratto o dell’accordo conclusivo della “Composizione negoziata” - ma con attribuzione delle pertinenti quote di riparto ai titolari dei crediti prededucibili, sino a soddisfacimento integrale. 
Questa tecnica, che dovrebbe essere quella da utilizzarsi in via generale ogni qualvolta ci si trovi di fronte a postergazioni (di norma convenzionali) a singoli creditori (ovvero a singole categorie di creditori), richiama quella prevista dall’art. 62, co.3 l. fall., in materia di obbligazioni solidali. Anche in quel caso è affermato il principio che il coobbligato solidale del fallito è “postergato” al creditore solidale, nel senso che “il regresso … può essere esercitato solo dopo che il creditore (solidale) sia stato soddisfatto per l’intero credito” – art. 61, co. 2 -: ma laddove tale risultato economico non sia conseguibile con la semplice “postergazione” dell’esercizio del regresso al soddisfacimento integrale del creditore preferito – il ché accade quando un credito di regresso, sia pure parziale, è già sorto, e non può essere fatto valere che dal coobbligato solidale escusso, laddove il creditore solidale può insinuare soltanto il credito residuo: art. 62 -, il soddisfacimento preferenziale integrale del creditore solidale è perseguito non già escludendo dal concorso il soggetto destinato ad un soddisfacimento postergato, bensì disponendo che egli concorra con il creditore destinato ad essergli preferito, ma con la previsione che “il creditore ha diritto di farsi assegnare la quota di riparto spettante al coobbligato, fino a concorrenza di quanto dovutogli” (art. 62, co.3).
In tal modo i creditori pregressi risulterebbero postergati ai soli finanziatori dell’Accordo, o del Concordato, giacché dopo che costoro avessero ricevuto soddisfacimento integrale – anche con il concorso delle quote spettanti ai creditori pregressi – questi ultimi continuerebbero a percepire e diventerebbero legittimati a trattenere quanto così percepito.

Note:

[1] 
Sulla necessità di considerare i “pagamenti” accomunati agli atti di straordinaria amministrazione, al fine di determinarne la disciplina nell’ambito della “Composizione negoziata” della crisi d’impresa, v. infra, Parte IV.
[2] 
In argomento v. S. Bonfatti, La procedura di liquidazione coatta amministrativa nel fallimento e nel Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza, di prossima pubblicazione per i tipi di Pacini Editore.
[3] 
E quindi, per esempio, ad ammetterne la utilizzabilità anche da parte delle imprese (banche; intermediari finanziari non bancari; assicurazioni) che sono soggette esclusivamente alle “procedure concorsuali” disciplinate dalle leggi speciali che, rispettivamente, ne regolano le situazioni di “crisi”: in argomento S. Bonfatti, La disciplina delle situazioni di “crisi” degli intermediari finanziari, Milano, 2021.
[4] 
Si deve ritenere che fra le misure protettive” di cui l’imprenditore può avvalersi immediatamente, con la sola presentazione della “istanza” di conferma o di modifica rivolta al Tribunale, non possano essere comprese misure diverse da quelle evocate dall’art. 6, co. 1, d. l. n. 118/2021 (divieto di acquisire diritti di prelazione, se non concordati; divieto di avvio e divieto di prosecuzione di azioni esecutive e cautelari). Anche a seguito dell’apertura del procedimento giudiziale volto ad ottenere la conferma o la modifica delle misure protettive, nonché “la adozione dei provvedimenti cautelari necessari...”, non si ritiene possibile che vengano dichiarati inopponibili atti compiuti da singoli creditori (o singole categorie), alla luce della natura non concorsuale del procedimento in discussione, nonostante la facoltà di “personalizzazione” prevista dall’art. 7, co. 4.
[5] 
In argomento, in termini generali, S. Bonfatti, La nozione di finanziamento. Le forme negoziali tipiche atipiche, in Fallimento, 2021.
[6] 
Su cui infra, Parte V. 
[7] 
Cass., 15 giugno 2020, n. 11 524, in Fallimento, 2020, II, 39, con nota di V. Zanichelli, I contratti pendenti di finanziamento autoliquidanti tra presente e futuro (in progress).
[8] 
L’art. 6, co. 5, d. l. n. 118/2021 sembra porre una correlazione diretta tra “contratto pendente” (insuscettibile di risoluzione o sospensione o “congelamento”) e mancato pagamento di crediti anteriori, come se rilevassero i mancati pagamenti concernenti l’esecuzione di quel contratto: ma la norma potrebbe essere accreditata di un effetto “paralizzante” anche con riguardo alla irrilevanza del mancato pagamento di obbligazioni diverse, sempre presentate verso la banca interessata.
[9] 
Presumibilmente potranno essere ricompresi in tale categoria i contratti di apertura di credito (per “cassa” o per “firma”), sia in quanto non ancora integralmente utilizzati; sia in quanto suscettibili di successivo “scarico”, in conseguenza di “rientri” parziali. La disciplina in esame non dovrebbe risultare applicabile ai “mutui” (intesi come finanziamenti seguiti dalla erogazione di una somma, che esaurisce l’obbligazione della banca), con l’eccezione dei mutui “a stato di avanzamento lavori”.
[10] 
Le disposizioni di cui al comma richiamato non si applicano alle prestazioni oggetto di contratti di lavoro dipendente.
I procedimenti di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 10 d. l. n. 118/2021 si svolgono innanzi al tribunale competente ai sensi dell'art. 9 l. fall., che, sentite le parti interessate e assunte le informazioni necessarie, provvedendo, ove occorra, ai sensi dell'art. 68 c.p.c., decide in composizione monocratica. Si applicano, in quanto compatibili, gli artt. 737 ss. c.p.c.      
 Il reclamo si propone al tribunale e del collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento.
[11] 
Principio ribadito dalla conferma del divieto di ricomprendere la “concessione di credito” nei possibili "effetti estensivi" dello “Accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa”, e della (nuova) “Convenzione di moratoria", disposto dai novellati artt. 182-secties e 182-octies l. fall.
[12] 
A tale proposito v. A. Dentamaro, La nuova finanza nella composizione negoziata per la soluzione della crisi d'impresa ex d.l. 118 barra 2021, in Diritto della crisi, 12 ottobre 2021, 10.
[13] 
Infra, Parte IV.
[14] 
Secondo M. Petriello, Il Concordato liquidatorio: le novità introdotte dal nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (in Fallimentarista, 18 marzo 2019), “alla stregua di quanto la dottrina ha già evidenziato nell’esegesi della previgente normativa di cui all’art. 182-quinquies l. fall. l’uso della parola “finanziamenti” va inteso in senso totalmente atecnico: per questa ragione, dovranno ricomprendersi in via generale tutti i contratti caratterizzati da una causa di credito, indipendentemente dalla qualificazione soggettiva del soggetto finanziatore, posto che legittimati non sono più soltanto gli intermediari bancari o finanziari”. Secondo S. Sanzo, Il finanziamento alle imprese in crisi, in Le operazioni di finanziamento, diretto da F. Galgano, Bologna, 2016, possono rientrare nella categoria dei finanziamenti in questione “tutti i rapporti negoziali cui sia sottesa la causa di sovvenzione finanziaria in favore dell’impresa della cui ristrutturazione si tratta”. In giurisprudenza Cass., 2 febbraio 2018, n. 2627, ha chiarito che nella definizione normativa di “finanziamento in qualsiasi forma” deve ricomprendersi qualsiasi “tipologia di finanziamento adottata, anche diversa dal mutuo (nella specie una fideiussione), stante l’ampiezza della previsione e la sua “ratio” compensativa del rischio del finanziatore realizzata con la prededucibilità del relativo credito”.
[15] 
In argomento v. S. Bonfatti, Le aperture di credito (per crediti) di firma, in Contratti bancari, a cura di E. Capobianco, Milano, 2021, 1387 ss.
[16] 
L’art. 167, co. 2, l. fall. (ed il corrispondente art. 94, co. 2, CCII) menziona anche “(le concessioni di ipoteche o di pegno), le fideiussioni”: ma pare alludere alle fideiussioni prestate dall’imprenditore nell’interesse di terzi, non – invece – alle fideiussioni (o pegni; o ipoteche) prestate da terzi nell’interesse dell’imprenditore (che sarebbero propriamente qualificabili “crediti di firma”). Parrebbe esprimere una opinione contraria, peraltro, G. Morri, La finanza concorsuale: commento agli artt. 99, 101 e 102 del Codice della Crisi (in Il fallimentarista, 11 giugno 2020), che ricomprende “le concessioni di ipoteche o di pegno e le fideiussioni” di cui all’art. 94, co. 2 CCII (ed all’art. 167, co. 2, l. fall.) tra le operazioni di interim financing, funzionali a sostenere finanziariamente l’impresa nel momento dell’accesso ad una procedura di Composizione negoziale della situazione di crisi.
[17] 
Art. 20, co. 1, lett. d), d. l. n. 118/2021; art. 100, co. 2, CCII.
[18] 
Altro essendo peraltro il discorso quando si considera l’operazione di “mutuo” nel contesto della disciplina della eseguibilità di pagamenti di debiti pregressi in pendenza di una procedura di Concordato preventivo: cfr. art. 20, co. 1, lett. d), d.l. n. 118/2021 e art. 100 CCII.
[19] 
Per ciò che concerne il concordato preventivo, il principio è affermato abile senza precisazioni; per ciò che concerne l'accordo di ristrutturazione, il principio affermato abile per i finanziamenti aspiranti al collocamento dei relativi crediti "in prededuzione".
[20] 
Non è questa la sede per potere dare dimostrazione compiuta delle ragioni sottese alla conclusione riportata nel testo, per ragioni di spazio.
[21] 
La tendenziale esclusione delle introduzione di "obblighi di finanziamento", in situazioni sottratte ad un preventivo vaglio giudiziale, è confermata dalla riproposizione della disciplina degli Accordi di Ristrutturazione “ad efficacia estesa", e della Convenzione di Moratoria, con riguardo alla esclusione della circostanza che l'effetto estensivo della volontà della maggioranza qualificata (75%) dei creditori di una determinata Categoria possa estendersi a qualsiasi forma di concessione "forzata" di credito all'impresa interessata: cfr. artt. 182-septies, co. 4, e 182-octies, co.3, l. fall., come introdotti dal d. l. n. 118/2021.
[22] 
A. Dentamaro, op. cit., 11.
[23] 
Per ciò che concerne la equiparazione, dal punto di vista della problematica qui in discussione, dei “pagamenti” agli atti di amministrazione straordinaria, v. infra, Parte IV, n. 2.
[24] 
Infra, Parte IV, n. 3.
[25] 
A. Dentamaro, op. cit., 11.
[26] 
Tribunale al quale è altresì riconosciuta la competenza di autorizzare l’imprenditore a trasferire in qualunque forma l’azienda o uno o più dei suoi rami “senza gli effetti di cui all’articolo 2560, secondo comma”, c.c. (responsabilità solidale dell’acquirente per i debiti risultanti dai libri contabili obbligatori: per la corrispondente disciplina della vendita dell’azienda bancaria o di suoi rami nell’ambito delle procedure concorsuali bancarie v. S. Bonfatti, Risoluzione della banca “in crisi”: la responsabilità degli “Enti Ponte“ (e delle banche incorporanti) è regolata dalla disciplina della cessione d’azienda, in Rivista di Diritto Bancario, luglio 2018; ID., La responsabilità degli “enti ponte” (e delle banche incorporanti) per le pretese risarcitorie nei confronti delle “quattro banche” (vantate dagli azionisti “risolti”, e non solo), ivi, novembre 2017 – fermo però restando il disposto dell’art. 2112 c.c. -: cfr. art. 10, co. 1, lett. a), d. l. n. 118.
[27] 
Per la nozione di finanziamento ritenuta preferibile v. supra, Parte II.
[28] 
In argomento v. anche L. Panzani, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del Covid, in dirittodellacrisi.it, 25 agosto 2021.
[29] 
L’idea che i crediti pregressi debbano trovare soddisfazione preferenziale sul patrimonio esistente alla data della chiusura della “Composizione negoziata”, alla stregua di un “patrimonio separato”, pare di difficile attuazione pratica (stante la prevedibile difficoltà di ricostruzione delle attività che lo compongono), e risulta priva di qualsiasi supporto normativo - giudicato peraltro necessario laddove il principio è stato ritenuto meritevole di affermazione: cfr. art. 12, co.3, ultima parte, l. n. 3/2012 (“Accordo di Composizione della crisi”); art. 12 – ter, co.2, ultima parte, l. n. 3/2012 (“Piano del consumatore”); art. 14-duodecies, co. 1, l. n. 3/2012 (“Liquidazione del patrimonio") –.
[30] 
Ricorre questa ipotesi nella fattispecie di postergazione convenzionale, pattuita tra i singoli creditori con efficacia per c.d. "interna". Il fenomeno è abbastanza ricorrente nei rapporti tra banche e soci di società di capitali in cerca di nuovo sostegno finanziario. Le banche condizionano spesso la disponibilità a concederlo alla condizione che i soci acconsentano alla postergazione dei propri crediti (derivanti, di norma, da finanziamenti pregressi) rispetto al preventivo soddisfacimento integrale della "nuova finanza" bancaria. Si comprende che in caso di assoggettamento della società ad una procedura concorsuale, la condizione del preventivo pagamento integrale della "nuova finanza" bancaria assume la portata di una "postergazione universale", dal momento che al soddisfacimento integrale del passivo bancario può pervenirsi soltanto a condizione di realizzare il soddisfacimento (altrettanto) integrale di ogni altra passività collocata nello stesso grado (di norma, al chirografo). Tale effetto non corrisponde in nulla alla volontà delle parti, che aspiravano a sacrificare il soddisfacimento dei soci al soddisfacimento integrale preventivo del solo passivo bancario, non già dell'intero passivo societario. Deve allora ritenersi che la postergazione convenzionale in questione comporti non già l'esclusione del credito del socio interessato dai riparti del ricavato dalla liquidazione dell'attivo societario, bensì l’attribuzione alla banca antergata – fino a concorrenza del soddisfacimento integrale del credito antergato – delle quote di riparto spettanti al creditore-socio; e la successiva partecipazione di costui agli altri riparti, in concorso con i restanti creditori.

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