Pertanto, continua la Relazione, «É necessario intervenire, in via d’urgenza, …… fornendo, nel contempo, agli imprenditori in difficoltà ulteriori strumenti, efficaci e meno onerosi, per il risanamento delle attività che rischiano di uscire dal mercato.
Proprio perché il mero rinvio del Codice della crisi di impresa[1] non è risolutivo, ad esso si affiancano due tipologie di interventi: l’introduzione di un nuovo strumento di ausilio alle imprese in difficoltà, di tipo negoziale e stragiudiziale, e la modifica del regio decreto n. 267 del 1942 con l’anticipazione di alcune disposizioni dello stesso Codice ritenute utili ad affrontare la crisi economica in atto[2].
Il nuovo strumento è denominato “composizione negoziata della crisi”. Si tratta di un percorso più strutturato rispetto a quello previsto dal Codice della crisi d’impresa, adeguato alle mutate esigenze di cui si è detto e meno oneroso, con il quale si intende agevolare il risanamento di quelle imprese che, pur trovandosi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da rendere probabile la crisi o l’insolvenza, hanno le potenzialità necessarie per restare sul mercato, anche mediante la cessione dell’azienda o di un ramo d’azienda. Non vi sono requisiti dimensionali di accesso alla composizione negoziata, che è concepita con strumento utilizzabile da tutte le realtà imprenditoriali iscritte nel registro delle imprese, comprese le società agricole.
La scelta compiuta è quella di affiancare all’imprenditore un esperto nel campo della ristrutturazione, terzo e indipendente e munito di specifiche competenze, al quale è affidato il compito di agevolare le trattative necessarie per il risanamento dell’impresa……
Il percorso della composizione è esclusivamente di tipo volontario ed è dunque attivabile solo dalle imprese che decidono di farvi ricorso………».
Il d.l., quindi, ha introdotto un istituto di nuovo conio, con tratti davvero originali (completato tempestivamente ed esaustivamente da un Decreto Dirigenziale del Ministero della Giustizia[3] estremamente chiaro), frutto dell’eccellente lavoro svolto dalla Commissione di Riforma[4].
Si rivolge a potenziali situazioni di crisi[5] che, se certo oggi esacerbate dal momento post pandemico, sono state, sono e saranno francamente fisiologiche per un gran numero di imprese.
Non pretende evidentemente di essere la panacea di tutti i mali; non fornisce, ad esempio, garanzie statali per finanziamenti a imprese meritevoli, non fornisce formazione per gli imprenditori, non garantisce strumenti sostanziali di supporto al tessuto economico etc.……per queste cose il legislatore ha pensato, pensa, e penserà ad altri strumenti. Sarebbe un errore, pertanto, riporre aspettative esagerate sulla “composizione negoziata per le soluzioni delle crisi d’imprese”.
Allo stato attuale, peraltro, il debitore ha già una vasta gamma di strumenti per reagire ad una situazione di crisi. Egli può ritenere opportuno evitare di compiere azioni affrettate o inconsulte ed attendere che la situazione si risolva da sola; può innovare ed intervenire sul proprio ciclo produttivo, può agire con dinamiche esclusivamente privatistiche cercando accordi con alcuni o tutti gli interessati, può concludere accordi garantiti da un “piano attestato di risanamento” ex art. 67 l.f., può proporre un concordato preventivo, una convenzione di moratoria, un accordo di ristrutturazione, ovvero le attuali procedure concorsuali “minori”. In generale, più si chiede la protezione del patrimonio del debitore, più il contraltare è l’ingresso di un giudice, un ingessamento nella gestione dell’impresa, dalla limitata possibilità di pagare debiti precedenti alle difficoltà nel concludere atti di straordinaria amministrazione (ciò che rende spesso impossibile imprimere all’impresa in termini rapidi quel deciso cambio di passo talora indispensabile).
La composizione negoziata si offre, allora, semplicemente come un ulteriore strumento a disposizione del debitore per reagire ad una situazione di difficoltà grazie anche ad una nuova serie di misure ed incentivi, che sembrano particolarmente pensate ed efficaci se adottati in una fase iniziale di difficoltà.
Ed in effetti, la nuova disciplina[6] ha dei tratti originali di notevole interesse[7].
Lodevolmente, si lascia la decisione di ricorrere o no alle nuove disposizioni all’imprenditore[8], la si induce adottando intelligenti misure premiali, soprattutto in materia tributaria[9] (ma addirittura, financo la rinegoziazione “forzosa” di contratti)[10]; si tranquillizza il debitore[11] garantendo che eventuali risultati non positivi non condurranno all’attivazione di un procedimento concorsuale davanti al tribunale fallimentare.
Ed anzi il tribunale, attraverso l’uso della concessione delle misure cautelari, delle autorizzazioni etc, diviene oggettivamente per l’imprenditore uno strumento di ulteriore ausilio per la soluzione concordata delle crisi, e non più una istituzione da temere[12].
Si mantiene, ancora, all’imprenditore l’onere di gestione dell’azienda[13], favorendone, con le giuste cautele, anche la cessione come strumento di risoluzione della crisi.
Il legislatore, infine, sembra davvero puntare davvero sull’ “esperto” (in ambito restructuring/turn around), alla cui figura, ai poteri e limiti è dedicata parte del Decreto Dirigenziale tempestivamente emesso, che si preoccupa di puntualizzare da subito i compiti analiticamente, con una indicazione chiara delle apprezzabili best practices che si consiglia di seguire[14], lasciando tuttavia il giusto spazio alla sensibilità dell’esperto per coniugare la disciplina generale alle molteplici e mutevoli esigenze del caso concreto oggetto dell’intervento. È auspicabile, in effetti, ad esempio che proprio la capacità dell’esperto come organo terzo non scelto dal debitore possa far percepire ai terzi ed in particolare ai creditori la utilità di una proposta (contrapposta alle conseguenze nel caso del rigetto), e la fattibilità della stessa avendola sottoposta ad un attento ed imparziale esame.
Ma, ancora, il favore per l’imprenditore che con correttezza e serietà[15] abbia deciso di utilizzare lo strumento della “composizione negoziata”, si estenderà anche alle ipotesi in cui il tentativo non abbia successo; a tacer d’altro, attraverso la figura del “concordato liquidatorio”, che consente di individuare una disciplina di chiusura della sfortunata esperienza imprenditoriale attraverso una peculiare figura concorsuale minore, tesa (a evitare il fallimento e) a liquidare nel più breve tempo possibile le imprese non più sostenibili, con dinamiche assai più rapide, efficienti, leggere e facilitate (non è ad esempio richiesta l’approvazione dei creditori), che anche da sole si riveleranno in concreto potente incentivo per l’adozione della composizione negoziata per l’imprenditore in crisi.
Tanto, dunque, si è costruito; e sembra a portata di mano che lo strumento della composizione negoziata aiuti a convincere l’imprenditore, prima, della necessità di prendere immediata consapevolezza delle situazioni di difficoltà o crisi aziendali[16], e poi di reagire non nascondendo la testa sotto la sabbia nell’attesa (spesso illusoria) che passi la tempesta, ma provando ad intervenire con professionalità (anche di terzi) per aggredire tempestivamente le crisi aziendali, tentando se necessario una ristrutturazione decisa in luogo di un mero galleggiamento.
Attraverso uno strumento, che dal combinato disposto delle nuove disposizioni legislative e dalle indicazioni del Decreto Dirigenziale sembra realmente rivolto con particolare attenzione a favorire una tempestiva aggressione delle situazioni di difficoltà proprio al vasto panorama delle medie e piccole imprese, cui invece davvero mal si addicono i tradizionali procedimenti concorsuali “minori”.
Ci sarebbero davvero le condizioni per un cambio “epocale” di atteggiamento del debitore in difficoltà. Sarebbe, già solo questo, un ulteriore risultato straordinario, con ricadute sociali ed economiche importanti nel medio periodo.
È giusto, tuttavia, manifestate fondate perplessità sul successo, quantomeno su un successo generalizzato dell’istituto della composizione negoziata. Un ceto, quello imprenditoriale, abituato a temere iniziative giudiziarie, e qualunque ingresso di terzi in situazione di crisi, non sarà francamente ancora sufficientemente invogliato ad adire la composizione negoziata. Voglio dire, si deve tenere conto della reale attitudine del mondo imprenditoriale (e dei professionisti che attorno ad esso gravitano), con tutti i pregi ma anche i limiti che oggi questa classe ha. E si corre, temo, il fortissimo rischio che uno strumento ben pensato e altrettanto ben scritto non ottenga il successo che meriterebbe, ed anzi, alla luce delle limitate conseguenze negative di un eventuale insuccesso, possa essere usato dal debitore prevalentemente in modo strumentale, a fini dilatori, o solo come (comoda) via per accedere al concordato liquidatorio semplificato coattivo ex artt. 18-19[17], o solo per vendere l’azienda in modo rapido e informale. Un risultato, minimale, quando non addirittura negativo, che va scongiurato ad ogni costo, per esempio investendo certo sulla professionalità dell’esperto, ma con la consapevolezza di come sarebbe stato necessario intervenire con maggiore decisione per rafforzarne ulteriormente la posizione nella sua attività di facilitazione.