L’impianto normativo del nuovo D.L. 118, i cui contenuti sono stati già brevemente tratteggiati, è sicuramente interessante, ed è chiaro l’intento del legislatore di trovare una via veloce che consenta alle imprese nella fase post pandemica di evitare la disintegrazione di quella parte del tessuto economico che pur trovandosi in difficoltà è sostanzialmente e strutturalmente sano, e quindi in grado si essere riportato in bonis[13].
Sorgono però spontanee due considerazioni, ovvero che sembrerebbe di vedere una volontà del legislatore di riportare l’istituto dell’allerta (o meglio, la procedura di emersione anticipata della crisi e la sua risoluzione negoziale) verso la versione dell’art. 4 Disegno di Legge n. 3671-bis Camera dei Deputati se non addirittura la volontà di recuperare quell’ottimo (ad avviso della scrivente) istituto dell’amministrazione controllata che appunto fu abrogato nel 2006. Ma allora, perché abrogare l’amministrazione controllata e poi modificare l’allerta fino all’attuale (inadeguato) impianto quando poteva restare tutto come previsto? Forse aveva ragione il Gattopardo a dire che “bisogna cambiare tutto per non cambiare niente”?
Entrando in media res, la prima considerazione che sorge spontanea all’aziendalista è che il pur interessante impianto sconta il fatto che tutta la questione della crisi d’impresa viene analizzata e (cercata) di risolvere tramite una visione giuridica che non sempre combacia con le leggi economiche e aziendalistiche.
Si osserva innanzitutto come non sia stato tenuto conto in alcuna maniera dello storico atteggiamento dell’imprenditore (in special modo italiano. Egli sconta ancora il peso del Diritto Romano e la consapevolezza che il debitore inadempiente veniva venduto come schiavo trans tiberim) incline a negare e a nascondere il più a lungo possibile gli indizi di una crisi incipiente della sua impresa anche a sé stesso, vivendola come un fallimento personale, una macchia di cui rispondere prima di tutto alla famiglia e poi alla società; invece che come un momento in cui cogliere tempestivamente gli indizi della crisi per reagirvi efficacemente anziché cercare di mascherarli . Un soggetto quindi poco propenso a utilizzare la piattaforma di cui al DL 118/21 nella quale dovrebbe inserire nero su bianco le sue incapacità imprenditoriali per leggere poi nero su bianco i risultati degli errori del suo operato.
Alcuni dubbi nascono spontanei anche sulla piattaforma e sulla possibilità che effettivamente diventi operativa entro il 15 novembre 2021; nonché sulla modalità che verranno utilizzate per monitorare lo stato delle imprese.
Nel Decreto Dirigenziale del 28 settembre 2021 si legge che il test sarà: “…volto a consentire una valutazione preliminare della complessità del risanamento attraverso il rapporto tra l'entità del debito che deve essere ristrutturato e quella dei flussi finanziari liberi che possono essere posti annualmente al suo servizio. In particolare, per svolgere un test preliminare di ragionevole perseguibilità del risanamento, senza ancora disporre di un piano d'impresa, ci si può limitare ad esaminare l'indebitamento ed i dati dell'andamento economico attuale, depurando quest'ultimo da eventi non ricorrenti (ad esempio, effetti del lockdown, contributi straordinari conseguiti, perdite non ricorrenti, ecc.).
Il test non deve essere considerato alla stregua degli indici della crisi[14], ma è utile a rendere evidente il grado di difficoltà che l'imprenditore dovrà affrontare e quanto il risanamento dipenderà dalla capacità di adottare iniziative in discontinuità e dalla intensità delle stesse.
Il test si fonda principalmente sui dati di flusso a regime che, secondo la migliore valutazione dell'imprenditore, possono corrispondere a quelli correnti o derivare dall'esito delle iniziative industriali in corso di attuazione o che l’imprenditore intende adottare. L'entità del debito che deve essere ristrutturato è pari a:
debito scaduto di cui relativo ad iscrizioni a ruolo
(più) debito riscadenziato o oggetto di moratorie
(più) linee di credito bancarie utilizzate delle quali non ci si attende il rinnovo (più) rate di mutui e finanziamenti in scadenza nei successivi 2 anni1
(più) investimenti relativi alle iniziative industriali che si intendono adottare
(meno) ammontare delle risorse ritraibili dalla dismissione di cespiti (immobili, partecipazioni, impianti e macchinario) o rami di azienda compatibili con il fabbisogno industriale
(meno) nuovi conferimenti e finanziamenti, anche postergati, previsti
(meno) stima dell'eventuale margine operativo netto negativo nel primo anno, comprensivo dei componenti non ricorrenti
TOTALE [A]
Tale debito, nel caso in cui si ritenga ragionevole ottenere uno stralcio di parte di esso, può essere figurativamente ridotto, ai soli fini della conduzione del test, dell'ammontare di tale stralcio.
I flussi annui al servizio del debito che la gestione dell'impresa è mediamente in grado di generare a regime prescindendo dalle eventuali iniziative industriali sono pari a:
stima del Margine Operativo Lordo prospettico normalizzato annuo, prima delle componenti non ricorrenti, a regime
(meno) investimenti di mantenimento annui a regime
(meno) imposte sul reddito annue che dovranno essere assolte
TOTALE [B]
Se l'impresa è prospetticamente in equilibrio economico e cioè presenta, a decorrere almeno dal secondo anno, flussi annui di cui a [B], superiori a zero e destinati a replicarsi nel tempo, il grado di difficoltà del risanamento è determinato dal risultato del rapporto tra il debito che deve essere ristrutturato [A] e l'ammontare annuo dei flussi al servizio del debito [B]. Il risultato del rapporto fornisce una prima indicazione di massima: - del numero degli anni per estinguere la posizione debitoria; - del volume delI'esposizioni debitorie che necessitano di ristrutturazione; - dell'entità degli eventuali stralci del debito o conversione in equity…”
Considerando quanto indicato nella sommatoria di cui al TOTALE A, la scrivente non può non evidenziare come vengano messi a confronti e sommati fra di loro valori troppo eterogeni ovvero valori finanziari puri, valori economici pluriennali e un valore economico d’esercizio quale la marginalità della quale peraltro non viene specificato su di primo o di secondo livello.
Nella sommatoria di cui al TOTALE B, ritroviamo questa commistione fra valori che nella partita doppia dovrebbero essere contrapposti e non posti a sommatoria l’uno sull’altro; e tutto nella implicita presunzione che il margine operativo lordo sia coincidente con il cash flow.
Non si possono negare le perplessità che questo tipo di analisi generano in un aziendalista. D’altra parte, sulla base di alcune considerazioni strettamente tecniche già fatte dalla scrivente nel recente passato[15] e a cui si rimanda, quanto meno si nota la volontà del legislatore di superare quegli indicatori ex art. 13 D.Lgs 14/19 che di fatto hanno convinto il legislatore a non far entrare in vigore tutto l’istituto dell’allerta.
D’altra parte la commistione di valori finanziari e valori economici, non distinguendo in questi ultimi quelli pluriennali da quelli di esercizio, e un test estremamente standardizzato fanno purtroppo pensare ai vari programmi informatici in vendita in Italia da ventenni, che presentano svariate possibilità di analisi di bilancio variegatamente proposte ma difficilmente incisive visto che l’impresa è un organismo vivente le cui caratteristiche variano da impresa a impresa e proprio la standardizzazione non può portare a una seria verifica della sua salute. Pensate infatti a imprese che per le analisi standardizzate dovrebbero essere immediatamente liquidate (ex. Brunello Cucinelli spa. Costi fissi d’impresa alti a seguito della politica sociale dell’impresa, prezzi di vendita altissimi quindi restrizione del mercato di riferimento, localizzazione lontana dagli importanti nodi di smistamento della logistica eppure con utili alti ed estrema solidità di struttura) e che invece si dimostrano in grado di remunerare ampiamente il capitale investito.
L’impresa è un organismo vivente, ognuna è un caso a sé stante, una piattaforma informatica non potrà mai dare risposte univoche per tutte se non per quelle che in realtà sono già decotte e quindi presentano tutte le variabili che le rendono uniformi per una valutazione.
Pensiamo poi alla scarsa cultura d’impresa dell’imprenditore italiano[16]; chi sarà il soggetto che preparerà i dati da inserire nella piattaforma? Non certo l’imprenditore stesso, che nella maggioranza dei casi l’unica cosa che sa leggere è il suo conto economico per la parte della redditività. Ciò comporta che per iniziare il processo l’imprenditore, probabilmente già in difficoltà, dovrà sostenere dei costi per la preparazione della fase documentale e per l’inserimento dei dati.
Non si poteva allora prevedere un inserimento automatico da parte della CCIAA dei bilanci depositati? Con l’invio di una riservata comunicazione all’impresa nel caso certe variabili a rischio fossero state superate.
Verrebbe da pensare che non sia stato fatto perché in quel caso ne sarebbero escluse ab origine tutte le imprese che non depositano il bilancio in CCIAA (e in Italia le micro imprese sono 4,1 milioni, il 95% del totale e le attività imprenditoriali fino a nove addetti danno lavoro a quasi 7,6 milioni di cittadini, pari al 44,5% degli occupati); ma non è così, visto che il DL prevede per le imprese di piccole dimensioni una diversa procedura per l’operazione di salvataggio e risanamento.
Inoltre, si può onestamente affermare che l’imprenditore ha bisogno del test per capire di trovarsi in un momento di difficoltà? Spiace alla scrivente rimandare ulteriormente ai suoi recenti scritti[17], ma è palesemente chiaro che l’imprenditore può non essere psicologicamente atto ad ammettere di essere in crisi ma certo non può non essere a conoscenza del fatto che non sta pagando lo Stato, alle volte per diverse centinaia di migliaia di euro o i suoi fornitori; o che le banche non gli stiano più accordando credito.
Quindi, deve richiedere la nomina di un esperto che gli dirà ciò di cui è già a conoscenza (che però è restio a comunicare all’esterno) per vederlo farsi carico di che tipo di operazione di risanamento se poi si tratta di una negoziazione con i creditori che sarà una sua personale prerogativa per tutta la durata della procedura, svolta con l’ausilio dei suoi consulenti? Nella lettura del decreto Dirigenziale, infatti, l’attività del cosiddetto “risanatore” è sostanzialmente quella di supervisore dell’attività di mediazione che l’imprenditore dovrebbe attuare con l’ausilio dei suoi advisors. E stride un po’ l’idea del piccolo imprenditore italiano circondato di advisors al tavolo delle trattative.
E la stipula di un contratto con uno o più creditori, idoneo ad assicurare la continuità aziendale per un periodo non inferiore a due anni, a cura di quale magico professionista in grado di prevedere la sicura continuità d’impresa nei due anni successivi sarà redatto? Tutto dipende ovviamente dal significato che vogliamo dare al termine “continuità d’impresa”. Se si tratta di riuscire a far completare un ciclo finanziario all’impresa, forse la continuità duennale potrà essere assicurata; similarmente se si voglia protrarre il ciclo produttivo di due anni, una sospensione dei pagamenti pregressi come era previsto nel citato istituto dell’Amministrazione Controllata che non a caso durava infatti due anni, consentirà di attuare una previsione di tale specie.
Ma un risanamento attuato affinchè dopo di due anni di aiuto all’impresa si possa parlare di possibilità di continuazione ultrannuale della sua attività implica di fatto utilizzare politiche per l’elaborazione del piano di risanamento[18] che pongono le loro fondamenta sulle tecniche di controllo di gestione, elemento primario e fondamentale dell’attività di direzione d’impresa.
L’attività di direzione è un continuo susseguirsi e intrecciarsi di decisioni e conseguenti azioni dalle quali dipendono in misura più o meno immediata i risultati aziendali; riguardano i fattori produttivi, materiali e personali, da impiegare, le loro modalità d’uso e i risultati che si desidera conseguire. Tutto al fine della continuità d’impresa e della sua crescita. Il processo decisionale si completa poi con la verifica di quanto effettivamente eseguito attraverso la fase di controllo.
Vi sono così due modi per impostare l’attività di direzione:
1. Attendere il verificarsi degli eventi o il sorgere di un problema, prima di avviare una qualche forma di processo decisionale.
2. Prevedere gli eventi e anticipare, rispetto al loro verificarsi, alcune decisioni.
Pianificare e programmare[19] non sono attività naturali, e perciò richiedono uno sforzo; e tale sforzo deve essere stimolato, indirizzato, coordinato e reso più agevole dal punto di vista realizzativo. Vanno, appunto, in questa direzione le proposte di utilizzare dei sistemi formali di pianificazione e controllo direzionale[20], che, caratterizzati dal fatto di essere un insieme di procedure, metodologie e strumenti informativi, hanno uno scopo: influire sul comportamento delle persone che operano ai vari livelli in impresa affinché queste assumano comportamenti in grado di facilitare e consentire il conseguimento dei risultati desiderati[21]; in primis, la continuità d’impresa.
Ecco quindi che gli obiettivi di redditività non sono vittima di “miopia” e non sono esasperati[22], ma sono compatibili in una visione di medio/lungo periodo; dove la pianificazione consiste nell’anticipazione di una serie di decisioni tra loro coordinate.
L’output della pianificazione è il piano[23], cioè il documento strategico nel quale sono ordinati in un sistema quantitativo preventivo i dati riguardanti la gestione futura nell’ambito delle previsioni attuate, degli obiettivi prefissi e delle combinazioni scelte per il loro raggiungimento.
Con la programmazione si definiscono gli obiettivi della gestione operativa, assunte come vincolanti le scelte imposte in sede di pianificazione.
In pratica la pianificazione, sulla base della definizione della strategia aziendale, va a mostrare come le scelte si sviluppano nell’arco temporale del medio e lungo periodo. La programmazione, invece, si concentra sulla traduzione delle strategie evidenziate nel piano in programmi operativi. Così, i due concetti sono direttamente collegati rispettivamente alla visione strategica e a quella operativa.
Ne discende una diversa durata e rilevanza degli effetti dovuti alle scelte operate in sede di pianificazione rispetto a quello composte in sede di programmazione. Le prime possono essere definite scelte strategiche, il cui insieme ordinato stabilisce la strategia d’impresa globale con effetti strutturali rilevanti e vincolanti sulla generale combinazione produttiva d’impresa e sono spesso irreversibili nel tempo; le seconde le scelte di breve periodo in attuazione degli obiettivi.
Tuttavia, benché sia diverso l’oggetto delle scelte e diversi siano, di conseguenza, sia le informazioni specifiche su cui esse si basano, sia i modelli quantitativi utilizzabili, sia gli organi coinvolti nei relativi processi decisori, simile è il tipo di attività mentale esercitato nei due processi.
Emergono pertanto le relazioni rilevanti tra programmazione e pianificazione; tali relazioni mettono in dubbio l’utilità di scindere completamente i due processi in esame, visto che, come appare ovvio, si instaurano delle connessioni tra gli aspetti comuni inevitabilmente trattati.
L’attività di direzione non si identifica né si esaurisce con la pianificazione e la programmazione. Essa si completa dove si crei anche una funzione di controllo; è infatti attraverso il confronto tra risultati desiderati (implicitamente od esplicitamente citati nei piani aziendali, programmi, budget) e risultati effettivamente conseguiti che maturano occasioni di apprendimento e nascono stimoli al cambiamento [24].
È la fase che rappresenta la chiusura logica di un ciclo direzionale e contemporaneamente il momento di avvio di un nuovo ciclo. Non vi sono perciò vincoli nello stabilire quante volte durante un anno percorrere il ciclo, ma è certo che è prezioso non farlo solo una volta.
Proprio nella fase di controllo[25] si attivano processi di accumulo di esperienza, tanto maggiori, quanto più si individuano, attraverso un’analisi approfondita, le cause di determinati risultati, più o meno in linea con gli obiettivi prefissati.
Il ruolo centrale nel Sistema di Pianificazione, Programmazione e Controllo è svolto dalla struttura informativa, che costituisce il supporto dei processi decisionali e di apprendimento necessari per una gestione aziendale improntata sulla professionalità e sul coordinamento in vista del raggiungimento degli obiettivi aziendali.
Il sistema di cui ci stiamo occupando è per definizione un processo logico di eventi, condizioni, analisi, feed-back. In questo senso le varie componenti dello stesso, e quindi pianificazione, programmazione e controllo, sono fasi interdipendenti tra di loro e fanno parte di un processo unitario più ampio. E la base di supporto di tutta l’attività è la raccolta di informazioni, che rappresentano l’elemento su cui basare tutta l’attività di direzione. Infatti è proprio la raccolta delle informazioni, esterne e interne all’impresa, che consente l’autoanalisi e di conseguenza le più corrette scelte per la salvaguardia della continuità d’impresa.
Queste brevi righe non possono che sottolineare quindi come risanare una impresa sia un processo lungo e complesso (certo più lungo di due anni, stante che la maggior parte della dottrina considera che una pianificazione non può durare meno di cinque anni) che non può essere attuato da un esperto il cui ruolo, più simile a un osservatore della mediazione fra imprenditore e creditori che a un manager investito del problema di creare le basi per una futura continuità d’impresa, non consente di porre in essere quelle attività di governance necessarie per la vita dell’impresa
Tutta l’operazione di risanamento può poi sicuramente confluire in un documento fra quelli indicati dalla norma, ma il processo non può essere quello indicato dal Dl 118/21.
Ecco quindi che si evidenzia uno dei limiti più definiti della nuova normativa, ovvero il fatto di essere stata generata da non aziendalisti che non hanno consapevolezza della realtà aziendale, della sua dinamica, della sua dimensione, delle diversità generate da ubicazioni diverse, del ruolo dell’ imprenditore e delle sue capacità che vanno oltre le eventuali (ma spesso scarse) conoscenze aziendalistiche investendo anche e soprattutto la sua sensibilità commerciale e le sue relazioni personali.
Inoltre, come descritto sopra, la crisi di impresa può essere temporanea e superabile solo se all’intelligenza e all’iniziativa dell’imprenditore si affianca uno specialista che non si pone il problema di fare confluire tutto il processo in un documento previsto dalla legge, ma tratta l’impresa come quello che è ovvero l’organismo vivente frutto dell’iniziativa dell’imprenditore che deve ritrovare la sua capacità di produrre reddito in qualche maniera minata da scelte da correggere, da difficoltà finanziarie o da problematiche di mercato; non certo un non meglio identificato esperto burocratizzato al punto di impiegare strumenti statistici come se la realtà dell’impresa potesse sempre e comunque essere ricondotta all’ interno di matrici da sole in grado di rappresentarne in pieno la sua complessità, incasellando le mille variabili della gestione all’ interno di schematizzazioni ritenute infallibili.
Per superare la crisi d’azienda è utile proporre un percorso diverso:
- Individuare, nell’ambito del sistema in crisi, risorse e potenzialità inespresse;
- individuare formule strategiche, nelle quali tali risorse possono rappresentare fattori critici di successo;
- compiere le necessarie azioni per attivare tali risorse;
- utilizzare il processo di valorizzazione di tali risorse come motore del risanamento per spingere l’azienda verso nuove condizioni di successo;
- realizzare un piano sistematico;
- presidiare e controllare il processo di risanamento.
In definitiva un’attività molto complessa, finalizzata al risanamento partendo dall’individuazione delle cause che hanno prodotto tale stato patologico, con l’analisi accurata dei sintomi, l’accertamento e il riconoscimento della genesi della crisi e la verifica dell’esistenza di potenzialità (strutturali, di mercato, di management) che giustifichino un intervento di salvaguardia e risanamento.
Processi quindi che non possono essere incardinati in una norma di legge e in un processo più indirizzato al fine di indicare il documento che ne scaturirà che al processo in sé stesso.
Vi sono poi conseguenze che il legislatore non ha considerato neanche in maniera indiretta, ovvero la natura che acquisiranno i crediti impagati alle banche (anche in moratoria) e il futuro mutato rapporto fra le banche e l’impresa.
Sul sistema bancario, infatti, tutto l’impianto di cui al DL 118/21 (che non ha tenuto conto della normativa bancaria che è svincolata dalla logica mediatrice della norma) porta un aggravio pesante sul bilancio poiché può trasformare i crediti non assolti (perché dilazionati) in crediti deteriorati, rendendo più problematica l’erogazione dei finanziamenti bancari proprio nel momento in cui gli imprenditori e i consumatori ne avrebbero maggior bisogno; e più probabile la cessione dei crediti stessi alle società acquirenti gli NPL.
Le banche italiane, infatti, dal 2021 dovranno recepire e applicare le linee guida EBA (European Banking Authority)[26] che delineano un nuovo rapporto banca impresa imponendo alle banche di adottare comportamenti prudenziali a prescindere dalle normative nazionali ed emergenziali.
Infatti, con specifico riferimento alle direttive in materia di concessione e monitoraggio del credito alle imprese le banche dovranno adottare processi e procedure più stringenti per valutarne il merito creditizio, analizzando la capacità attuale e futura dell'impresa di rimborsare il finanziamento, attraverso il flusso di cassa generato dalle operazioni ordinarie. Per l’impresa diventerà quindi centrale elaborare strumenti di analisi finanziaria ed economica prospettica quali a esempio il budget economico e quello di tesoreria, oltre ad altri strumenti utili e ad analisi prospettiche quale a esempio il business plan; esattamente come indicato sopra quando la scrivente ha parlato della necessità di pianificazione, programmazione e controllo fasi delle teorie aziendalistiche che contengono l’elaborazione dei budget.
Si tratterà quindi di porre come analisi centrale, ai fini del fabbisogno finanziario, l’analisi anche dei flussi di cassa prospettici, nell’ottica della gestione forward-looking.
Considerando che le novità procedurali e tecniche introdotte per le banche sono contenute all’interno di 5 sezioni cioè modalità di partecipazione della governance nei processi di concessione e monitoraggio del credito, best practices da seguire nella fase di concessione del credito, aspettative delle autorità di vigilanza per la determinazione dei prezzi dei prestiti sulla base del rischio assunto, modalità di valutazione delle garanzie reali (immobiliari e non) e requisiti di vigilanza necessari ai fini del monitoraggio continuo del rischio di credito e delle esposizioni creditizie; il tema che più interessa le imprese è quello previsto dall’articolo 5 che disciplina dettagliatamente la fase di istruttoria e concessione del credito.
La valutazione del merito creditizio del cliente dovrà essere costruita definendo metriche e parametri specifici per tipologia di segmento di clientela comprendendo indicatori di rischio e strumenti di analisi personalizzati.
Ecco il motivo per il quale, anche ai fini dell’approccio al mondo bancario, le imprese dovranno lavorare con approccio forward-looking attribuendo importanza fondamentale allo sviluppo e al rafforzamento degli strumenti di valutazione dei cash flow prospettici da poter indicare alle banche.
Infatti obiettivo delle norme EBA è di passare da un approccio «RE-active» (logica di gestione del «deteriorato in essere») a un approccio «PRO-active» della gestione del credito fin dalle primissime fasi di vita ovvero nella fase di concessione. Ciò implica una evoluzione dei modelli e del processo del credito con conseguenti cambiamenti di grande portata a livello di processi, di procedure IT ma soprattutto di cultura del credito che coinvolgeranno anche le PMI
Una ultima considerazione nasce poi dall’osservazione che a volte il legislatore non coordina le leggi esistenti.
Nel 2017, quasi in contemporanea con l’emanazione del DL 155, furono emanati il D.L. n. 193/2016 e la legge n. 232 del 2016 (legge di stabilità 2017) istitutive del Piano Nazionale Industria 4.0.
Pochi mesi dopo la conclusione, in sede parlamentare, dell'Indagine conoscitiva "Industria 4.0: quale modello applicare al tessuto industriale italiano. Strumenti per favorire la digitalizzazione delle filiere industriali nazionali", il Governo pro-tempore aveva presentato il Piano Nazionale Industria 4.0, inteso come un programma di interventi di sostegno all'innovazione tecnologica in chiave procompetitiva del tessuto imprenditoriale italiano, caratterizzato per la maggior parte da piccole e medie imprese operanti nel settore manifatturiero e da una bassa crescita della produttività.
Si era partiti in sostanza dalla considerazione, più volte rimarcata dalla Commissione europea nella relazione sugli squilibri macroeconomici dell'Italia (cd. Country Report), che per aumentare la redditività del tessuto economico italiano fosse necessaria una trasformazione digitale e tecnologica del Paese. Gli investimenti nelle tecnologie dovevano essere accompagnati dallo sviluppo delle competenze in materia, posto che la frammentazione del sistema produttivo in piccole imprese determina un rallentamento del processo di digitalizzazione, in quanto gli investimenti isolati delle piccole imprese non potevano beneficiare delle economie di scala o di un approccio coordinato.
Il Piano, il cui orizzonte temporale di sviluppo era il periodo 2017-2020, aveva così delineato alcune direttrici strategiche di intervento, le quali sono state poi dettagliate nella Nota di aggiornamento al DEF 2016 e avviate in misura prevalente con la manovra di bilancio per il 2017 (D.L. n. 193/2016 e Legge n. 232/2016).
Ma il Piano Nazionale Impresa 4.0 (reiterato nella Legge di Bilancio 2020) oltre al processo di transizione al paradigma 4.0 delle imprese, che crea le condizioni di operare in un contesto socio-economico sempre più digitalizzato e competitivo, ha previsto anche la costituzione dei Competence Center, partenariati pubblico-privati il cui compito è quello di svolgere attività di orientamento e formazione alle imprese su tematiche Industria 4.0 nonché di supporto nell'attuazione di progetti di innovazione, ricerca industriale e sviluppo sperimentale finalizzati alla realizzazione, da parte delle imprese fruitrici, in particolare delle Pmi, di nuovi prodotti, processi o servizi (o al loro miglioramento) tramite tecnologie avanzate in ambito Industria 4.0.
Gli otto centri che sono stati selezionati sono:
- CIM 4.0 - Competence Industry Manufacturing 4.0. Politecnico di Torino
- Made - Competence Center Industria 4.0. Politecnico di Milano.
- BI-REX - Big data Innovation-Research Excellence. Università di Bologna
- ARTES 4.0 – Industry 4.0 Competence Center on Advanced Robotics and enabling digital TEchnologies & Systems 4.0. Scuola Superiore Sant'Anna, Scuola Normale Superiore, Università degli studi di Firenze, Università di Pisa, Università di Siena, Università degli Studi di Sassari, Università Politecnica delle Marche, Scuola IMT Alti Studi Lucca, Università Campus Bio-Medico di Roma, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto Italiano di Tecnologia, Università degli Studi di Perugia e altri
- SMACT Competence Center. Università degli Studi di Padova.
- MedITech Competence Center I 4.0. Università di Napoli Federico II, Università di Salerno, Università di Napoli Parthenope, Università della Campania L. Vanvitelli, Università del Sannio, Politecnico di Bari, Università di Bari Aldo Moro, Università di Salento
- START 4.0– Sicurezza e ottimizzazione delle Infrastrutture Strategiche Industria 4.0. CNR.
- CYBER 4.0 – Cybersecurity Competence Center G
Negli otto Centri di Competenza, fra gli altri servizi offerti alle imprese, sono stati previsti e costituiti i BDN, Business Development Node, sportelli preposti allo studio e all’analisi della marginalità d’impresa e allo studio delle operazioni necessarie a ricostruire una situazione di redditività nelle imprese che hanno in sé le potenzialità per la continuità ma che si trovano in temporanea e reversibile difficoltà.
La domanda che ci si pone è, quindi, perché il legislatore invece di creare un processo di risanamento caratterizzato da un interessante impianto giuridico ma da scarsa aderenza alle leggi aziendalistiche non abbia semplicemente operato un’azione di comunicazione affinchè le imprese si rivolgano ai centri già creati e finanziati, specificatamente preposti per le imprese?
Concludendo, in questo scenario mal si accorda una procedura tutta basata su tecniche di mediazione dilatorie prive di radici aziendalistiche e con procedure che non trovano corrispondenza attuabile nel mondo dei nuovi rapporti fra le imprese e le banche, nelle conseguenze relativamente ai bilanci bancari della trasformazione dei crediti dilazionati e nella presenza di specifici sportelli per le imprese costituiti con il Piano Nazionale Industria 4.0 completamente ignorati dalla norma.
L’auspicio quindi che il legislatore attui una politica di maggiore coinvolgimento dei professionisti d’impresa nell’elaborazione della normativa post emergenziale posta appunto a salvaguardia dell’impresa perché abbia un senso il PNRR e si inizi a operare nell’economia seguendo le leggi della stessa.