L’art. 2, co. 1, d. l. n. 118/2021, che introduce la disciplina del nuovo istituto della “Composizione negoziata”, fa riferimento alla situazione dell’imprenditore commerciale o agricolo “che si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico – finanziario … quando risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa”.
La norma prosegue precisando che in tale caso l’esperto (di cui l’imprenditore che versi nella situazione descritta può chiedere la nomina al fine di agevolare le trattive con i creditori) può collaborare per il superamento delle condizioni precisate, “anche mediante il trasferimento dell’azienda o di rami di essa”.
L’art. 10, co. 1, lett. d) prevede che nel contesto della procedura di “Composizione negoziata”, il tribunale possa autorizzare l’imprenditore “a trasferire in qualunque modo l’azienda o uno o più suoi rami senza gli effetti di cui all’articolo 2560, secondo comma, del codice civile” – cioè la responsabilità del cessionario per le passività inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta, risultanti dai libri contabili obbligatori -, fermo restando l’articolo 2112.
Si può quindi concludere che l’accesso alla “Composizione negoziata” è consentito anche quando l’obiettivo dell’imprenditore sia perseguito “in via indiretta”, cioè mediante il trasferimento (di tutta o parte) dell’azienda.
Per ciò che concerne i presupposti oggettivi dell’accessibilità all’istituto, l’art. 2 cit. allude alla “probabilità” di una situazione di “crisi” o di “insolvenza”: così ammettendo il ricorso alla “Composizione negoziata” anche se la situazione paventata (“crisi” o “insolvenza”) non è “attuale”; non è neppure “sicura”; ma è soltanto “probabile”.
Tale nozione si discosta dunque dal presupposto del fallimento (art. 5 L. Fall.: “il debitore non è più [già ora] in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”), perché la condizione di “crisi” rilevante potrebbe anche essere compatibile con uno stato di regolarità finanziaria, messa però in pericolo da fattori giudicati “probabili”.
Neppure vi è coincidenza con la nozione di “crisi” costituente il presupposto di ammissibilità al Concordato preventivo: essendo quest’ultima rappresentata dalla situazione nella quale l’imprenditore “si trova” nello stato di crisi, non già che è “probabile” che vi ci si possa (forse) trovare.
Maggiore affinità si può cogliere con la nozione di “crisi” definita dal C.C.I.I. – art. 2, co. 1, lett. a) -, la quale pare alludere ad una “probabilità” (di insolvenza): ma diversamente da questa la nozione di “crisi” rilevante ai fini dell’ammissibilità alla “Composizione negoziata” non si deve manifestare “come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a fare fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”[23].
In termini generali – dunque – la sensazione è che il presupposto oggettivo delineato dall’art. 2 d. l. n. 118/2021 per l’accesso alla “Composizione negoziata” possa considerarsi ricorrere anche in situazioni meno gravi di quelle che rappresenterebbero (non solo il presupposto per l’assoggettamento al fallimento o all’ammissione al Concordato preventivo, ma anche) la condizione per l’accesso alle procedure disciplinate dal C.C.I.I.[24]
Per converso, peraltro, occorre altresì considerare la circostanza che la conclusione alla quale si è pervenuti non consente di escludere dall’ammissibilità all’istituto le imprese versanti in situazioni totalmente divergenti da quelle ipotizzate: in particolare, in situazioni di insolvenza, attuale (e irreversibile)[25].
L’art. 6, 4, d. l. n. 118/2021 afferma che dal giorno di apertura della procedura di “Composizione negoziata” “la sentenza dichiarativa di fallimento o di accertamento dello stato di insolvenza non può essere pronunciata”: il ché postula che l’impresa ammessa alla procedura di “Composizione negoziata” sia già insolvente (e magari già oggetto di una o più istanze di fallimento e già soggetta ad istruttoria prefallimentare)[26].
Nello stesso modo l’art. 9, co. 1, d. l. n. 118/2021, come introdotto dalla legge di conversione n. 147/2021, disciplinando l’ipotesi nella quale “nel corso della composizione negoziata risulta che l’imprenditore è insolvente”, non dispone che la procedura si interrompa, e l’esperto avvii il procedimento di archiviazione della procedura stessa, ma – più semplicemente e senza effetti interruttivi delle trattative in corso – dispone che l’imprenditore gestisca l’impresa “nel prevalente interesse dei creditori”.
Si deve pertanto prendere atto che anche l’imprenditore già insolvente; ovvero anche l’imprenditore di cui si accerti l’insolvenza nel corso delle trattative avviate con la collaborazione dell’esperto; sia legittimato a ricorrere alla (ed a continuare ad avvalersi della) procedura di “Composizione negoziata”[27].
Pervenuti alla conclusione che l’istituto è accessibile anche all’imprenditore insolvente; e che esso lo rimane anche nell’ipotesi nella quale l’imprenditore (eventualmente già insolvente) si proponga di cedere l’azienda a terzi; il presupposto che rimane da verificare è il perseguimento dell’obiettivo di conseguire “il risanamento dell’impresa”. Tale requisito è richiesto, in termini generali, dall’art. 2, co. 1, d. l. n. 118/2021 (la richiesta della nomina dell’esperto può essere avanzato quando si ritiene ragionevolmente perseguibile “il risanamento dell’impresa”); ed è ribadito, nell’ipotesi di insolvenza sopravvenuta, dall’art. 9, co. 1, d. l. n. 118/2021, il quale (a seguito delle modifiche apportate dalla legge di conversione) consente bensì la prosecuzione delle trattative – e con esse la prosecuzione del procedimento – nonostante la sopravvenuta insolvenza dell’imprenditore, ma alla condizione che “esistano concrete prospettive di risanamento”.
Si deve allora concludere che la condizione di ammissione all’istituto sia rappresentata da un presupposto oggettivo negativo: non perseguire l’obiettivo (della sistemazione dell’indebitamento in essere e) della cessazione dell’attività.