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Saggio

Degrado e finanza nel concordato preventivo in continuità*

Federico Clemente, Dottore Commercialista in Bergamo
Lorenzo Corati, Dottore in economia e commercio

24 Marzo 2023

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Nella vigenza della legge fallimentare il tema del rapporto tra degrado dei creditori prelatizi e fonti di liquidità per l’adempimento della proposta concordataria aveva creato molteplici problemi dogmatici e risvolti operativi controversi. Le Corti di merito erano giunte sovente a pronunce in netto contrasto tra di loro. La Suprema Corte aveva dettato un percorso di estremo rigore, peraltro non scevro da possibili riletture e, da ultimo, oggetto di parziale revirement. Il Codice della Crisi pone un principio innovativo, che peraltro necessita di un percorso interpretativo non immediato né incontrovertibile.
Riproduzione riservata
1 . Introduzione
Nel Codice della Crisi si ripropone la tematica del possibile degrado dei creditori prelatizi, in rapporto alle regole fissate dagli articoli 2740 e 2741 del codice civile.
In particolare, l’articolo 2740 afferma che il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.
L’articolo 2741 fissa invece il principio per cui i pagamenti dei creditori debbano essere effettuati rispettando il grado delle prelazioni.
Ciò significa, in linea di principio, che non può essere pagato neppure in parte un creditore di grado inferiore prima che sia stato pagato al 100% il creditore di grado superiore.
Nel concordato preventivo in continuità, i flussi (da qualunque parte arrivino, utile, variazioni di circolante, capitale, finanziamenti), nel momento in cui fanno parte/entrano nel patrimonio del debitore possono certamente costituire “beni futuri”, ai sensi dell’articolo 2740 del codice civile, e quindi a prima lettura andrebbero distribuiti in base alle regole 2741 del codice civile, ossia nel rispetto dei gradi di prelazione.
2 . Il degrado dei creditori con prelazione
Nella procedura di concordato preventivo la regola generale prevede la necessità di pagare integralmente i creditori assistiti da prelazione. Tuttavia, la normativa consente, a determinate condizioni, il pagamento dei creditori prelatizi in misura parziale.
Tale previsione, prima della riforma, era normata dall'articolo 160, secondo comma, L. fall. a mente del quale "la proposta può prevedere che i creditori muniti di privilegio, pegno e ipoteca non vengano soddisfatti integralmente, purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti su cui sussiste la causa di prelazione".
Come è noto, tale valore doveva essere indicato nella relazione giurata di un professionista che abbia le medesime qualifiche richieste per la attestazione di veridicità dei dati e di fattibilità del piano (prescrizione confermata nel Codice della Crisi). 
La possibilità di soddisfacimento parziale è stata estesa anche, ai sensi dell'articolo 182 ter, L. fall. ai "tributi amministrati dalle agenzie fiscali" ed ai "contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatoria" ed ai relativi accessori; con le modifiche di cui alla legge 11 dicembre 2016, n. 232, è stata espunta ogni limitazione al riguardo, rispetto alla originaria esclusione di IVA e ritenute dalla facoltà di stralcio.
Infine, in chiusura dell'articolo 160, secondo comma L. fall. si prescriveva che "il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l'effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione".
La normativa di cui al Codice della Crisi, all’articolo 84, comma 5, ha rinnovato la possibilità del degrado, statuendo che “i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, possono essere soddisfatti anche non integralmente, purché in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione dei beni o dei diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, al netto del presumibile ammontare delle spese di procedura inerenti al bene o diritto e della quota parte delle spese generali, attestato da professionista indipendente”.
L’ultimo capoverso del comma precisa altresì che “la quota residua del credito è trattata come credito chirografario”.
Il Codice della Crisi ha poi introdotto, al comma 6 dello stesso articolo 84, una prescrizione specifica per il concordato in continuità aziendale, nel quale “il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione; per il valore eccedente quello di liquidazione è sufficiente che i crediti inseriti in una classe ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore”.
Tale prescrizione trova peraltro, al comma 7, un’eccezione, in quanto “i crediti assistiti dal privilegio di cui all’articolo 2751 bis, n. 1, del codice civile sono soddisfatti, nel concordato in continuità aziendale, nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione sul valore di liquidazione e sul valore eccedente il valore di liquidazione” con l’aggiunta che “la proposta e il piano assicurano altresì il rispetto di quanto previsto dall’articolo 2116, primo comma, del codice civile”.
Con questa precisazione il legislatore vuole assicurare il pagamento integrale (indipendentemente dalla diversificazione dei creditori in classi) dei crediti ex art. 2751 bis, numero 1, c.c. ovvero delle “retribuzioni dovute, sotto qualsiasi forma, ai prestatori di lavoro subordinato e tutte le indennità dovute per effetto della cessazione del rapporto di lavoro”. 
Quanto al trattamento dei crediti tributari e contributivi, è stata confermata all’articolo 88 del CCII la possibilità di soddisfacimento parziale di tali poste, e sono state ripresentate due fondamentali prescrizioni già presenti nell’articolo 182 ter L. fall.:
- per la quota di credito tributario e contributivo assistita da prelazione “la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori o meno vantaggiosi rispetto a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica e interessi economici omogenei a quelli delle agenzie e degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie “;
- qualora il credito tributario e contributivo abbia natura chirografaria “anche a seguito di degradazione per incapienza, il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei crediti rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole”.
La tematica impone l’analisi di alcuni concetti, relativi:
- alla c.d. finanza esterna;
- alla possibilità di distribuire liberamente gli apporti di liquidità, rispetto all’obbligo di rispettare i gradi di prelazione, riconducibile all’art. 2740 e all’art. 2741 del codice civile.
3 . La cd. finanza esterna
L'impianto normativo, per come è congegnato, comporta in prima analisi la seguente consequenzialità:
1. i creditori prelatizi devono ricevere in sede concordataria non meno di ciò che potrebbero ricevere in ipotesi di liquidazione giudiziale (art. 84, comma 1, CCII);
2. i creditori prelatizi che in ipotesi liquidatoria verrebbero soddisfatti solo in parte o per nulla devono essere soddisfatti di norma con un contributo di liquidità ulteriore rispetto alle prospettive di liquidazione del patrimonio del debitore. Tale apporto, alla data di apertura della procedura, in via approssimativa e con tutti i limiti della definizione, si può genericamente definire come finanza esterna.
La finanza esterna[1], dunque, deve essere individuata in un apporto ulteriore; un quid pluris rispetto agli attivi realizzati dal debitore in ipotesi liquidatoria. 
Il concetto in prima battuta rimanda ad apporti esterni di liquidità (finanziamenti, aumenti di capitale ecc.), ma può essere ricondotto anche alla liquidità in formazione per effetto della prosecuzione dell’attività aziendale, alla luce della assimilabilità delle problematiche interpretative.
Sul tema è intervenuta anche l’Agenzia delle Entrate, che nella circolare n. 34/E del 29 dicembre 2020 ha precisato la definizione di finanza esterna come “risorse/utilità economiche messe al servizio del solo fabbisogno concordatario e/o convenzionale, che non fanno parte del patrimonio dell’imprenditore al momento del deposito della domanda di concordato, ovvero di omologa dell’accordo di ristrutturazione”. La stessa ha peraltro precisato che “riguardo, invece, ai flussi di cassa generati dalla continuità aziendale … gli stessi non sono qualificabili come “finanza esterna” in senso tecnico, in quanto ricavi riconducibili comunque al patrimonio del debitore e, pertanto, destinati al soddisfacimento dei creditori secondo le regole del concorso, quanto meno nel senso di non alterare l’ordine delle cause di prelazione”. 
4 . Il divieto di alterare le cause di prelazione ex artt. 2740 e 2741 c.c. nella vigenza della legge fallimentare
Quanto al divieto di alterare l’ordine delle cause di prelazione, era emerso prima della riforma un dubbio interpretativo che, muovendo dagli artt. 2740 e 2741 del codice civile, poteva divenire dirimente circa le sorti del concordato.
La tematica si era posta in primo luogo per la liquidità in formazione, dopo la domanda di concordato, per effetto della prosecuzione dell’attività aziendale, laddove tale liquidità fosse destinata al pagamento percentuale dei creditori privilegiati (altrimenti incapienti in sede liquidatoria) e di quelli chirografari.
Era sorto l’interrogativo se tale liquidità potesse essere qualificata come finanza esterna, o comunque ad essa assimilata, ovvero se, in quanto prodotta dalla stessa impresa debitrice, andasse a costituire un attivo aziendale e, come tale, andasse destinata in primis ai creditori di grado poziore, fino al loro integrale soddisfacimento.
Si poneva dunque il tema della facoltà o meno di distribuire la liquidità prodotta dalla gestione aziendale derogando al principio di cui all’art. 2741 del codice civile, che comporta il necessario pieno soddisfacimento di un creditore prelatizio di grado superiore, prima che possa essere soddisfatto un creditore di grado successivo.
Secondo una prima interpretazione, la normativa fallimentare andava intesa nel senso che ad un creditore di grado poziore dovesse essere garantito un pagamento percentuale non inferiore a quello dei creditori privilegiati di grado inferiore[2] (cd. priorità relativa), con ciò potendosi derogare all’art. 2741 c.c.
Secondo un'interpretazione più restrittiva il principio enucleato comportava che in ogni caso non potesse soddisfarsi una categoria di credito di rango inferiore fino a che non fosse soddisfatta interamente la categoria di rango superiore (cd. priorità assoluta)[3].
La dottrina e la giurisprudenza favorevoli alla interpretazione restrittiva fondavano le proprie argomentazioni sul disposto di cui all’art. 2740 c.c., affermando che la prosecuzione dell'attività di impresa in sede concordataria non può comportare il venir meno della garanzia patrimoniale del debitore, che risponde dei suoi debiti con tutti i beni, presenti e futuri. 
Quest’ultima interpretazione non ha convinto appieno, e si è prestata ad una serie di considerazioni contrarie[4].
La norma, ad avviso di chi scrive, andava interpretata nella prima direzione indicata, ossia che tutti i creditori prelatizi potessero subire una falcidia delle proprie spettanze non coperte dal valore dei beni su cui grava la prelazione, purché ad essi non venisse assegnata una percentuale inferiore[5] rispetto a quella proposta per i creditori di grado inferiore e per i creditori chirografari.
Si ritiene in particolare che, dopo il degrado, tutti i creditori prelatizi non coperti dal valore degli attivi all’apertura del concorso siano per tale quota degradata qualificabili come chirografari[6], e si affiancano ai creditori chirografari ab origine. I flussi di liquidità prodotti dopo la domanda di concordato dalla gestione aziendale (o anche versati in azienda, ad esempio per un aumento di capitale) potranno quindi essere liberamente distribuiti al monte chirografario complessivo, senza dover essere destinati ai creditori prelatizi, fatta salva la quota non degradata, senza che sia sussistente alcuna alterazione dell’ordine delle cause di prelazione. 
Sul tema tuttavia avevano esercitato una particolare influenza due sentenze speculari della Corte di Cassazione[7], che avevano enucleato il seguente principio: "l'apporto del terzo si sottrae al divieto di alterazione della graduazione dei crediti privilegiati solo allorché risulti neutrale rispetto allo stato patrimoniale della società, non comportandone un incremento dell'attivo patrimoniale della società debitrice, sul quale i crediti privilegiati dovrebbero essere collocati secondo il loro grado di privilegio, né un aggravio del passivo della medesima, con il riconoscimento di ragioni di credito a favore del terzo, indipendentemente dalla circostanza che tale credito sia postergato o no".
L'attestazione della Corte aveva rafforzato in dottrina i fautori della linea interpretativa restrittiva, venendo interpretata nel senso che si potesse riservare la possibile falcidia dei privilegiati al solo caso in cui:
- vi fosse un contributo di un soggetto terzo;
- tale contributo non transitasse nel patrimonio del debitore;
- quest'ultimo non subisse un incremento del passivo.
Tali principi divenivano applicabili non solo alla ipotesi di formazione di finanza grazie alla prosecuzione dell’attività, ma anche alle ipotesi di immissioni di liquidità in azienda attraverso finanziamenti (bancari, dei soci, di terzi, ancorché prededucibili ed in esecuzione del piano) o tramite aumento del capitale. I nuovi apporti di liquidità, per essere liberamente distribuibili, non dovevano entrare in azienda, ossia più correttamente non dovevano entrare a far parte (né come passivo, né come attivo) del patrimonio aziendale. Bisognava quindi architettare forme di accollo, cessioni di credito, delegazioni di pagamento ecc.
Si segnala peraltro, per completezza, come la Suprema Corte, con sentenza successiva a quelle richiamate[8] abbia ritenuto che il rispetto della priorità assoluta possa essere derogato nel caso della transazione fiscale, per espressa previsione di cui all’art. 182 ter, comma 1, L. fall. Secondo il giudice di legittimità, infatti, l'articolo 182 ter, derogando l'articolo 160, comma 2, L. fall. … "elimina la condizione preclusiva dell'integrale soddisfazione dei crediti di rango superiore ai fini del soddisfacimento di quelli di rango inferiore; il che significa che ai crediti tributari e contributivi può essere applicata, in luogo della cosiddetta absolute priority rule, la cosiddetta relative priority rule… Possibilità invece negata ai crediti di altra natura, muniti di privilegio, pegno o ipoteca, dall'articolo 160, comma 2, secondo periodo, L. Fall.".
5 . La riforma di cui al Codice della crisi
Le illustrate problematiche interpretative vanno ora rapportate alla normativa di cui al Codice della Crisi.
Come segnalato, con specifico riferimento al concordato in continuità l’articolo 84, comma 6 ad una prima lettura[9] ha statuito come:
- la quota di liquidità corrispondente al valore di liquidazione deve essere distribuita nel rispetto delle cause legittime di prelazione, nel rispetto dunque dei principi di cui agli articoli 2740 e 2741 del Codice civile, di fatto ripercorrendo le modalità ordinarie di distribuzione seguite in un procedimento esecutivo, come pure in una liquidazione giudiziale;
- la quota di liquidità eccedente il valore di liquidazione può essere liberamente destinata ai creditori, purché i crediti inseriti in una classe ricevano un trattamento pari alle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto al trattamento delle classi di grado inferiore (fatta eccezione per i dipendenti).
In altri termini, il cosiddetto surplus concordatario può essere distribuito in modo che “i crediti in una classe siano pagati in ugual misura rispetto alle classi di pari grado e in misura maggior rispetto alle classi di rango inferiore, anziché in misura integrale”[10].
Si osserva incidenter tantum come la norma non si richiami alla percentuale di pagamento, ma al trattamento “complessivo”.
La percentuale è all’evidenza ascrivibile al soddisfacimento dei creditori chirografari, mentre il trattamento complessivo, ad avviso di chi scrive, rimanda al soddisfacimento totale.
Ciò può significare che, nel confronto tra classi di creditori, per la verifica del rispetto della previsione in commento debba essere sommato quanto prospettato in termini di soddisfacimento in via prelatizia e quanto conseguente al pagamento percentuale della quota chirografaria. Rapportando il monte oggetto di pagamento (quota in prelazione più quota in chirografo) al totale del credito, si ottiene la percentuale di soddisfacimento complessivo della classe (che deve essere superiore alla percentuale complessiva delle classi con grado di prelazione inferiore). Con un esempio: credito complessivo 1.000, importo previsto in prelazione 400, importo degradato 600 con prospettiva di pagamento del 10%. Il pagamento complessivo sarà di 460 (dato da 400+600*0,10) che, rapportato al credito totale, conduce ad una percentuale di soddisfacimento complessiva del 46% (data da 460/1.000).
Di conseguenza, secondo questa interpretazione, la percentuale di pagamento offerta alle differenti classi di creditori chirografari può anche essere identica, purché il trattamento percentuale complessivo sia superiore in rapporto al grado di prelazione. Preferibile, ovviamente, in una eventuale proposta tenere comunque anche una percentuale chirografaria a scalare in base al grado originario del credito prelatizio degradato, per evitare dubbi interpretativi.

Ciò precisato, si osserva come anche la nuova normativa utilizzi una terminologia che porta a fatiche interpretative, laddove ritiene che sia liberamente distribuibile (nei limiti sopra evidenziati) il valore eccedente quello di liquidazione.
È necessario esplorare cosa si intenda per “valore eccedente quello di liquidazione”, per poter correttamente determinare quale sia l’importo distribuibile con le regole della priorità relativa.
Secondo la Relazione illustrativa al decreto legislativo n. 83/2022, che ne ha introdotto la previsione, tale valore rappresenta “il valore ricavato dalla prosecuzione dell’impresa, il cd. plusvalore da continuità”.
Il concetto di plusvalore da continuità si ritrova nella sentenza n. 17155/2022 della Suprema Corte, che lo qualifica quale “misura in cui la prosecuzione dell’attività imprenditoriale generi risorse aggiuntive rispetto al valore di liquidazione dei beni”.
In dottrina[11], si è ritenuto trattarsi “della differenza, alla data di apertura del concorso, tra il valore di liquidazione giudiziale del patrimonio e il valore dell’azienda in continuità, quali stimati nel piano” o, più sinteticamente, “il maggior valore prodotto dalla prosecuzione dell’impresa”, coincidente “con il valore complessivo ricavabile dall’accordo di ristrutturazione”[12], vale a dire il valore dell’azienda a seguito della riorganizzazione, in sintonia con l’articolo 2, paragrafo 1, numero 6, direttiva UE 2019/1023.
La traduzione pratica e numerica dei concetti sopra espressi, peraltro, non è immediata.
La Suprema Corte, quantomeno con riguardo all’articolo 182 ter L. fall., si esprime in termini di “risorse aggiuntive”, e come tale parrebbe poter rimandare a tutti i contributi utili al pagamento del passivo concorsuale, e sopravvenuti grazie alla continuità. Tali possono essere configurati gli apporti di capitale, i finanziamenti, i flussi derivanti dalla prosecuzione della gestione.
In dottrina, in questo indirizzo è stato affermato[13] “per quanto riguarda i nuovi investimenti, che i soci sono liberi di allocare come vogliono anche senza rispettare l’ordine dei privilegi (si tratta, infatti di risorse esterne)… Viene quindi finalmente superata quella giurisprudenza della Cassazione un po’ dogmatica che limitava enormemente la nozione di risorse esterne, al punto che anche un aumento di capitale non avrebbe potuto essere considerato una risorsa esterna in quanto le somme entrano a far parte del patrimonio della società” [14].
Un secondo filone interpretativo[15] si focalizza sulla creazione di flussi di liquidità, per quanto anche la loro delimitazione non sia univoca, potendo oscillare tra le pure variazioni di capitale circolante netto operativo e i flussi che comprendono apporti esterni di liquidità, o ne sono influenzati (tornando così, in qualche modo, alla terminologia della Suprema Corte).
Ad una differente posizione conduce l’attenzione posta sul valore dell’azienda. Tale attenzione volge all’esame di due valori dell’azienda, quello liquidatorio degli attivi ad inizio procedura (in termini di azienda di funzionamento, ove pronosticabile, diversamente in termini di liquidazione in blocco od ancora in subordine atomistica) e il valore della azienda (si ritiene quale potrà essere ad avvenuta esecuzione del piano[16]).
Entrambe le espressioni di valore conducono dunque ad una analisi di attivi, passivi ed eventuale avviamento. Il valore finale dell’azienda sarà mediatamente influenzato dai flussi e dagli interventi finanziari, che tuttavia non costituiranno addendi diretti nella determinazione del valore[17]. 
Pare agli scriventi che quest’ultima linea interpretativa, volta al confronto tra i valori dell’azienda ante e post ristrutturazione, sia quella più aderente al tenore della norma.
Si osserva al riguardo che:
- l’articolo 84, comma 5, compara il “valore eccedente quello di liquidazione” al “valore di liquidazione”. Quest’ultimo, in prima battuta e per quanto possibile, deve essere espresso come valore dell’azienda. Ne consegue che anche il “valore eccedente” deve essere espresso in termini di valore d’azienda, e non di singoli contributi (flussi di capitale circolante, apporti di capitale, finanziamenti eccetera)[18];
- il punto 49 del Consiglio del 20 giugno 2019 individua il “valore della continuità aziendale” nel “valore a lungo termine dell’impresa del debitore… superiore al valore di liquidazione, poiché si basa sull’ipotesi che l’impresa continua la sua attività…”;
- la Relazione illustrativa chiarisce come la norma “concerne la ripartizione di risorse che non fanno parte del patrimonio dell’impresa e quindi non sono necessariamente soggette ai principi sulla responsabilità patrimoniale del debitore”; 
- l’articolo 84, comma 4, nell’ambito del concordato preventivo liquidatorio ha esplicitato espressamente la possibilità di distribuire le risorse esterne in deroga agli articoli 2740 e 2741 del codice civile, oltretutto limitando la possibilità alle “risorse apportate a qualunque titolo dai soci senza obbligo di restituzione o con vincolo di postergazione, di cui il piano prevede la diretta destinazione a vantaggio dei creditori concorsuali”. Tali esplicitazioni non ricorrono con riferimento al concordato in continuità, con ciò conducendo alla necessità di differenti interpretazioni;
- l’articolo 120 quater consente che “il valore risultante dalla ristrutturazione sia riservato anche ai soci anteriori alla presentazione della domanda”, precisando che “per valore riservato ai soci si intende il valore effettivo, conseguente alla omologazione della proposta, delle loro partecipazioni”.
In definitiva, un piano che prevede il degrado dei creditori prelatizi andrà costruito su due livelli:
- il primo, di valutazione di quanto “distribuibile secondo le regole della priorità relativa”, e calcolato come differenza algebrica tra due valori di azienda (alla data della domanda e ad avvenuta ristrutturazione, in ovvia ipotesi che il primo sia inferiore al secondo), ferme in particolare le prescrizioni di cui agli articoli 112 e 120 quater CCII nel caso in cui il concordato non sia approvato da tutte le classi;
- il secondo, di analisi delle fonti di liquidità da cui trarre la finanza necessaria per pagare i creditori concorsuali, nei limiti della proposta. Tali fonti potranno essere costituite, come più volte ribadito, dalle variazioni di capitale circolante netto operativo, da finanziamenti dei soci e di terzi, da mutui e finanziamenti ottenuti da parte del sistema bancario[19].
6 . Conclusioni
Nell’ottica della ricostruzione prospettata, non si pone più un tema di finanza interna od esterna. Tutti gli apporti di liquidità, atti a costruire un piano finanziario idoneo all’adempimento della proposta, potranno entrare a far parte del patrimonio aziendale e, da un lato, contribuire alla creazione di quel plusvalore che costituisce il limite per il degrado dei creditori, e dall’altro coadiuvare la formazione, in tutto o in parte, della liquidità necessaria al rispetto dei pagamenti previsti dal piano.
Non pare sostenibile quindi la prospettiva per cui permanga la necessità che gli apporti di soci o di terzi non debbano entrare nel patrimonio aziendale, e più in generale che non debbano esserci variazioni patrimoniali nelle poste di attivo e passivo, come sostenuto dalla Corte di Cassazione da ultimo nel 2020. Se così fosse, anche le variazioni di capitale circolante netto dovrebbero infatti essere distribuite secondo le regole della priorità assoluta, tornando ellitticamente alle problematiche precedenti la riforma.

Note:

[1] 
Cfr. M. Vitiello, “Il concetto di finanza esterna nel concordato preventivo: fattispecie problematiche” in Ilfallimentarista.it, 11 maggio 2015. Alcune pronunce hanno legittimato la qualificazione di finanza esterna nell’individuato e quantificato quid pluris derivante da una liquidazione del patrimonio del debitore con le più agili e convenienti modalità (rispetto a quelle riconducibili ad una liquidazione in sede fallimentare) previste dal piano concordatario (Trib. Rovereto, 13 ottobre 2013; Trib. Treviso, 26 febbraio 2015; Trib. Roma, 24 marzo 2015).
[2] 
O, secondo taluni, comunque superiore.
[3] 
Ferma la possibilità di un contributo esterno a fondo perduto dei soci o di terzi che, in quanto tenuto al di fuori del patrimonio aziendale, può essere destinato ai creditori, o anche solo a taluni di essi, senza il vincolo del rispetto della gradazione delle prelazioni.
[4] 
Ci si permette richiamare ex pluris F. Clemente e D. Donadoni, Concordato preventivo, flussi derivanti dalla continuità, finanza esterna e degrado dei creditori prelatizi: un diverso punto di vista, in Dirittodellacrisi.it, 3 marzo 2022.
[5] 
O addirittura, secondo una corrente di pensiero, uguale.
[6] 
Di natura chirografaria, anche per effetto di degradazione per incapienza, parlava anche l’art. 182 ter L. fall., a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 159/2020.
[7] 
Cass. 8 giugno 2012, n. 9373; Cass. 8 giugno 2020, n. 10884.
[8] 
Cass., 26 maggio 2022, n. 17155.
[9] 
Che peraltro necessita di alcune puntualizzazioni.
[10] 
Così G. Andreani, Transazione fiscale: come cambia a seguito del codice della crisi e della direttiva insolvenza, in Dirittodellacrisi.it, 6 febbraio 2023.
[11] 
G. Lerner, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla distribuzione del patrimonio tra regole di priorità assoluta e regole di priorità relativa, in Dirittodellacrisi.it, 25 febbraio 2022.
[12] 
S. Leuzzi, L'omologazione del concordato preventivo in continuità, in Dirittodellacrisi.it, 16 febbraio 2023. L'autore esplicita come "i flussi prodotti da una prosecuzione aziendale propiziata dall'apporto di risorse da parte di un terzo ereditano i caratteri della finanza esterna, e risultano, quindi, liberamente distribuibili… La condizione è che l'intervento non comporti alcuna variazione dello stato patrimoniale del debitore", in conformità alle statuizioni della Suprema Corte (Cass. 10884 del 8 giugno 2020).
[13] 
M. Arato, Il ruolo di soci e amministratori nei quadri di ristrutturazione preventiva, in Dirittodellacrisi.it, 10 maggio 2022.
[14] 
Così, anche, M. Fabiani, L’avvio del Codice della crisi, in Dirittodellacrisi.it, 5 maggio 2022. 
[15] 
Sul punto A. Auricchio, G. Covino, L. Jeantet, P. Vallino, Absolute e relative priority rule a confronto nel Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in Ilfallimentarista.it, 6 ottobre 2022; si richiama anche G. Andreani, Transazione fiscale: come cambia a seguito del Codice della Crisi e della Direttiva Insolvency, in Dirittodellacrisi.it, 6 febbraio 2023, secondo cui “è stata definitivamente risolta la querelle sorta in vigenza della legge fallimentare con riguardo all’utilizzo dei flussi di cassa per la soddisfazione di crediti di rango posteriore a quelli tributari e contributivi”.
[16] 
Alla apertura della procedura, o anche alla omologazione del piano, non si ha ancora la certezza che il piano verrà rispettato, e si è assoggettabili alla risoluzione del concordato. Pare più corretto proiettare il valore a quella che è prevista essere la realtà aziendale ad avvenuta esecuzione del concordato.
[17] 
Così, anche, M. Perrino, Relative priority rule e diritti dei soci nel concordato preventivo in continuità, in Dirittodellacrisi.it, 12 dicembre 2022, secondo cui "se il reorganization surplus viene fatto oggetto di individuazione separata, esso richiede però una valutazione del debitore in regime di continuità aziendale, a differenziare dal valore di liquidazione, a sua volta peraltro da distinguere a seconda che si tratti di una liquidazione atomistica o invece in blocco o ancora dell'intera azienda in esercizio as going concern".
[18] 
Con l'evidenziazione in dottrina degli "inconvenienti di una necessaria stima giudiziale", così M. Perrino, cit.
[19] 
Sul tema si richiama la articolata, lucida disamina di B. Inzitari, Le mobili frontiere della responsabilità patrimoniale: distribuzione del valore tra creditori e soci secondo la negozialità concorsuale del codice della crisi, in Dirittodellacrisi.it, 27 febbraio 2023. L’autore sottolinea come “con le modifiche apportate dal D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, nel concordato con continuità aziendale, la destinazione delle risorse ai creditori è stata collegata alla circostanza che queste siano provenienti dal patrimonio dell'impresa o siano il risultato della continuazione dell'attività dell'impresa stessa. Dal patrimonio deriva il valore di liquidazione, inteso secondo la definizione di cui all'articolo 87, comma 1 lett. c) quale valore di liquidazione del patrimonio alla data della domanda di concordato. Esso, è destinato ad essere distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione. Articolo 85, comma 6. Dalla continuità deriva il valore eccedente quello di liquidazione, che comprende tutti i ricavi derivanti dall'esercizio in continuità dell'impresa e gli apporti in qualsiasi forma erogati dai soci o dai terzi, quali conferimenti, versamenti a fondo perduto… Tale valore di continuità, secondo quanto previsto dall'articolo 84, comma 6, può essere distribuito ai creditori in deroga agli articoli 2740 e 2741 c.c. ma a condizione che i creditori inseriti in una classe ricevono complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore…” L'autore sottolinea altresì la "prevalenza delle ragioni della proprietà, rispetto a quelle dell'impresa… La natura imprenditoriale nella prosecuzione dell'attività nel concordato in continuità restituisce al debitore la facoltà di operare, la destinazione delle risorse per i pagamenti creditori, secondo scelte di convenienza imprenditoriale. Queste seguono criteri che non necessariamente coincidono con il rigido rispetto della graduazione delle cause di prelazione, art. 84, comma 6, APR, e piuttosto possono seguire una diversa strategia che consente all'imprenditore di scandire i tempi e la misura dei pagamenti secondo l'esigenza di maggiore funzionalità ed utilità dei creditori.". L'autore conferma dunque che il valore eccedente quello di liquidazione "può essere distribuito anche in deroga alla graduazione delle cause legittime di prelazione, purché i crediti inseriti in una classe ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi grado inferiori (RPR)…". Opportunamente, l'autore rammenta come "questa disciplina deve essere necessariamente coordinata con quanto previsto in relazione all'omologa del concordato in continuità", laddove non vi sia l'unanimità delle classi.

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Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

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