Un primo aspetto da approfondire potrebbe avere ad oggetto l’inquadramento sistematico della problematica riguardante la collocazione del Pubblico ministero nel Codice della crisi e dell’insolvenza, con specifico riguardo al suo ruolo rispetto alla procedura di liquidazione giudiziale ed alla obbligatorietà o facoltatività della sua iniziativa[7].
In questo contesto, si potrebbe fare innanzitutto riferimento all’art. 38 CCI laddove prevede, al comma 1, che “Il pubblico ministero presenta il ricorso per l’apertura della liquidazione giudiziale in ogni caso in cui ha notizia dell’esistenza di uno stato di insolvenza” e al comma 2, che: “l’autorità giudiziaria che rileva l’insolvenza nel corso di un procedimento la segnala al pubblico ministero”. Secondo la Relazione Illustrativa: “la disposizione restituisce centralità al ruolo del PM, coerentemente con il ruolo attribuito a tale organo nelle procedure di allerta”, (qui si aggiunge) quasi a bilanciare la scomparsa del cd. fallimento d’ufficio.
Ad ogni modo la permanente legittimazione del PM chiarisce che il procedimento per la regolazione dell’insolvenza è il tipico luogo ove, mescolandosi pubblico e privato, vengono tutelati interessi che vanno al di là di quelli spiccatamente individuali che pure sono coinvolti nella crisi d’impresa (a tal proposito va rimarcato che lo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri in data 17.3.2022 prevede la soppressione dell’iniziativa del PM per l’apertura della procedura di liquidazione controllata nel caso di imprenditore insolvente).
Ma è bene chiarire sin da subito che il PM non è (diversamente da quello che venne provocatoriamente detto a proposito del fallimento d’ufficio) uno spettro che si aggira nelle aule del Tribunale civile. La sua iniziativa va vista, infatti, innanzitutto come “stimolo” per l’imprenditore a ricercare tempestivamente una soluzione alla propria crisi, possibilmente più conveniente rispetto all’alternativa puramente liquidatoria. E solo secondariamente come rimedio estremo al fine di espungere dal mercato situazioni imprenditoriali che hanno da tempo smarrito l’idea di economicità dell’attività. Questo secondo corno dell’alternativa, inteso come possibilità per il PM di accelerare la crisi giuridica dell’impresa, prima facie si pone in contrasto con una interpretazione “alternativa” della legge concorsuale, ispirata alla valorizzazione di tutti gli spunti in essa contenuti che consentano il salvataggio dell’impresa. Ma solo prima facie. I tentativi di salvataggio dei quali si potrebbero far carico ai giudici sono quelli che vengono posti in essere dopo e dentro la liquidazione giudiziale; un tentativo di salvataggio affidato all’abbandono della iniziativa del PM non è un uso alternativo, ma un disuso del “fallimento”. Ad ogni modo, va sottolineato che in entrambi i casi il ruolo del PM potrebbe essere visto come espressione di un potere di controllo sulle condizioni patrimoniali dei debitori e sulla stabilità finanziaria delle imprese.
Il comma 1, non contenendo più alcuno specifico riferimento alle modalità di apprensione della notizia medesima da parte del PM, rappresenta una chiara novità rispetto all’art. 7 l.fall. che fa riferimento al procedimento penale, come luogo “naturale” di acquisizione di tale notizia, ma anche all’alternativa rappresentata dall’elencazione casistica degli altri possibili sintomi da cui il PM avrebbe potuto acquisire la notitia decoctionis: sembra ora che l’unico presupposto sia che la notitia decoctionis sia stata acquisita dal PM nell’ambito della sua attività istituzionale, e non attraverso una mera ricerca di iniziativa dell’insolvenza.
L’atto di iniziativa del Pubblico ministero è equiparato al ricorso dei creditori, per lo specifico richiamo al PM contenuto nell’art. 37. Il ruolo di parte processuale del PM è reso esplicita dal fatto che egli deposita, al pari delle parti private, un ricorso e non una mera istanza: siamo al cospetto di una vera e propria azione a contenuto processuale e non di una mera segnalazione.
Come per il comma 1, la segnalazione al PM da parte del giudice (prevista dal comma 2) viene slegata dai vincoli soggettivi e procedimentali di cui all’art. 7, comma 2, l.fall., che pone l’obbligo della segnalazione di insolvenza al solo giudice che l’abbia rilevata “nel corso di un procedimento civile”. Il comma 2 dell’art. 38 fa riferimento all’”autorità giudiziaria”, senza, quindi, alcuna distinzione né tra quella ordinaria e speciale, né, nell’ambito di quella ordinaria, tra settori di appartenenza, con la conseguenza che tutti i giudici avranno l’obbligo di segnalare l’insolvenza rilevata nell’ambito di un qualunque “procedimento”, che potrà, dunque, essere anche un procedimento amministrativo o tributario o di qualsiasi altro tipo.
Tutte queste segnalazioni non devono essere viste in chiave punitiva, quanto piuttosto in una logica pienamente in linea con gli indirizzi più recenti del diritto dell’Unione europea. Ed allora, come è stato notato, deve riconoscersi che proprio il giudice dell’esecuzione - fra i diversi giudici con funzioni civili - è forse quello che può avere una “visuale” migliore sull’insolvenza, considerato che se è vero che l’inadempimento (così come il tentativo di realizzarne coattivamente il soddisfacimento) è solo uno dei possibili sintomi dello stato di decozione, certamente è uno di quelli più gravi ed inequivoci. Per questa ragione, proprio la “insufficienza” delle procedure esecutive individuali, quando inadempiente è un imprenditore con una pluralità di creditori per giunta muniti di forza diseguale, deve essere intesa con riferimento alle esigenze del concorso e della sistemazione dei rapporti di impresa, e non con riferimento alla migliore realizzazione del diritto sostanziale dei creditori (poco importando se poi, nella pratica, la finalità esclusivamente esecutiva del fallimento è assecondata dall’uso “improprio” della domanda di fallimento da parte di creditori come mezzo di pressione sul debitore per indurlo al pagamento, anche quando manchi l’insolvenza). La disciplina della crisi dell’impresa comprende ma non coincide, con il pagamento dei debiti dell’imprenditore.
Il decreto correttivo è intervenuto sull’art. 38 CCI, con l’inserimento dei commi 3 e 4: il primo rende esplicita la regola secondo la quale il PM, così come è legittimato a proporre istanza di apertura della liquidazione giudiziale può intervenire in tutti i procedimenti diretti all’apertura di una procedura di regolazione della crisi e dell’insolvenza. La norma di cui al comma 3 dell’art. 38 CCI, secondo la quale il PM “può intervenire in tutti i procedimenti diretti all’apertura di una procedura di regolazione della crisi e dell’insolvenza”, è una specificazione del principio generale di cui all’art. 70, comma 3, c.p.c. secondo cui il PM può intervenire in ogni causa in cui ravvisa un pubblico interesse. La norma sta a significare ed evidenziare che in tutti i procedimenti di regolazione della crisi sussiste un pubblico interesse che può astrattamente giustificare l’intervento del PM.
L’intreccio è ulteriormente complicato dalla valutazione dell’insolvenza che il PM è chiamato ad effettuare nell’ambito della procedura di concordato preventivo, essendo previsto dall’art. 40, comma 3, CCI che la domanda per l’accesso a una delle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza, unitamente ai suoi allegati è trasmessa al PM: la segnalazione in pendenza di una procedura di composizione della crisi o dell’insolvenza è apparentemente inutile avendo il CCI positivizzato nell’art. 7, comma 2, il principio della prioritaria trattazione delle procedure dirette a regolare la crisi dell’insolvenza con strumenti diversi dalla liquidazione giudiziale. Di qui l’ulteriore quesito: in pendenza della procedura di composizione della crisi o dell’insolvenza, il PM può comunque esercitare l’azione prima della definizione della procedura pendente?
Un altro aspetto meritevole di approfondimento è quello posto dall’art. 43 CCI, intitolato: “Rinuncia alla domanda”, il cui comma 1 prevede(va) che: “in caso di rinuncia alla domanda di cui all’articolo 40, il procedimento si estingue. E’ fatta salva la legittimazione del pubblico ministero intervenuto”. Secondo la Relazione illustrativa: “allo scopo di evitare un uso strumentale del potere di rinunciare alla domanda, è previsto che permanga comunque in capo al PM, che abbia partecipato al procedimento, il potere di chiedere la liquidazione giudiziale, senza necessità di proporre un nuovo ed autonomo ricorso”. In tale senso potendosi intendere il secondo inciso del primo comma dell’articolo 43 CCII secondo cui: “è fatta salva la legittimazione del pubblico ministero intervenuto”.
Lo schema del decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri il 17.3.2022 si propone di sostituire il comma 1 dell’art. 43, con il seguente testo: “In caso di rinuncia alla domanda di cui all’articolo 40 il procedimento si estingue, fatta salva la volontà di proseguirlo manifestata dagli intervenuti o dal pubblico ministero. Il pubblico ministero può rinunciare alla domanda”.
Va notata la semplificazione interpretativa mediante la soppressione dell’espressione “è fatta salva la legittimazione del pubblico ministero intervenuto”. È ora più chiara la possibilità per le altre parti intervenute e per il PM di proseguire il procedimento (anche se non intervenuto in precedenza).