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Saggio

Il “nuovo” ruolo del Pubblico Ministero civile nella crisi d’impresa*

Stanislao De Matteis, Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione

14 Aprile 2022

*Lo scritto è destinato, con eventuali adattamenti e integrazioni, alla successiva pubblicazione nel Quaderno della Scuola Superiore della Magistratura, dal titolo provvisorio P22026 “Principi del codice della crisi e prospettive anche penalistiche”.
Il saggio è stato altresì sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
L’Autore svolge una riflessione sui compiti e le responsabilità del Pubblico Ministero rispetto alla crisi d’impresa, con riferimento agli snodi procedimentali vecchi e nuovi che ne contrassegnano il governo.
Riproduzione riservata
1 . Premessa
Probabilmente, una delle maggiori novità nel nuovo codice della crisi avrebbe dovuto e potuto essere individuata nel rivitalizzato ruolo del PM e nella adeguata valorizzazione dell’interesse pubblico sotteso alla regolazione della crisi e dell’insolvenza[1].
La riforma del 2006-2007 aveva decisamente improntato l’asse della disciplina concorsuale fallimentare ad una visione eminentemente privatistica[2]. Il Codice della crisi, in senso antitetico, sembra ispirato al rafforzamento dei poteri del PM nelle procedure di composizione e regolazione della crisi delle imprese, allo scopo di realizzare un ragionevole bilanciamento di tutti gli interessi in gioco.
Il riconoscimento dell’interesse pubblico descritto nella vigenza dell’originario testo della legge fallimentare come correlato “all’esigenza di rimuovere l’insolvenza dell’imprenditore, ossia difendere l’economia generale dal fenomeno morboso del dissesto” si trasforma, in linea con la raccomandazione n. 2014/135/UE, in interesse correlato alla predisposizione di istituti e strumenti procedurali atti a consentire alle imprese in difficoltà di ristrutturarsi in una fase precoce, per evitare che la crisi si aggravi e diventi irreversibile[3].
Nel Codice della crisi, il PM, spogliandosi delle sue vesti puramente penalistiche, nell’esercizio delle funzioni per lui previste dal diritto civile, è chiamato a riflettere ed a porre la propria attenzione sia alle situazioni imprenditoriali di difficoltà (di preinsolvenza), sia a quelle avviate ad una regolazione concordata, sia alla liquidazione, muovendosi in una prospettiva di compatibilità tra esigenze punitive e di perseguimento dell’interesse generale anche attraverso il risanamento delle imprese.
L’importanza del ruolo attribuito al PM nella gestione della crisi di impresa è stata diffusamente approfondita in un documento, al quale è possibile e doveroso rinviare, per l’esposizione, in dettaglio, delle ragioni che fondano tale affermazione e per l’individuazione delle disposizioni che ne costituiscono la base giuridica e che costituisce un contributo importante ai fini della ricostruzione di detto specifico tema[4]. Nel nuovo assetto della disciplina della crisi e dell’insolvenza la parte pubblica è chiamata a interloquire con tutti gli attori dei molteplici procedimenti, essendogli, ad uno stesso tempo, consentito di interloquire per garantire la congruità rispetto all’interesse pubblico delle scelte realizzate in ciascuno, e di accendere un faro garantendogli le altre parti delle procedure per avere immediata contezza dei presupposti dello svolgimento dell’azione investigativa in ambito penale.
Al PM nel nuovo quadro normativo viene consentito e garantito di attenzionare le condotte che possono essere realizzate da parte dei soggetti responsabili dell’impresa nel periodo di ricerca del ripianamento economico e della continuità aziendale.
L’epicentro dell’analisi investigativa in materia concorsuale – è stato osservato – si è dunque spostato all’indietro, con conseguente aumento dei fatti e degli atti richiesti dell’attenzione del PM che, dunque, viene oggi ad assumerne una nuova veste di controllore ed un rinnovato potere d’azione[5].
Difatti, proprio nell’ottica del richiamato “controllo anticipato” il nuovo codice, ha, altresì, previsto nella fase di trattativa negoziale specifiche fattispecie di reato, ovvero:
- con riferimento alle fasi relative agli accordi di ristrutturazione ed al concordato preventivo, l’art. 341 punisce l’attribuzione da parte dell’imprenditore di attività inesistenti, ovvero, per influire sulla formazione delle maggioranze, la simulazione di crediti in tutto o in parte inesistenti.
- l’art. 342, invece, fa riferimento alle false attestazioni e relazioni dei professionisti indipendenti nelle medesime procedure.
- con riferimento alla composizione del sovraindebitamento ed ai reati posti in essere dai componenti dell’organismo di composizione della crisi, sono previste: “Sanzioni per il debitore e per i componenti dell'organismo di composizione della crisi” (art. 344). Le condotte illecite descritte (in particolare nell’art. 344, co. 1, lett. a) e b) si riferiscono ad ipotesi di frodi, patrimoniali e documentali, falsi documentali e falsità ideologiche di attestazione, che si inquadrano nell’ambito delle attività da compiersi nel corso della formulazione dei programmi di risanamento; invece, le condotte illecite di cui all’art. 344, co. 1, lett. c), d) ed e), riguardano la fase esecutiva di tali procedure di composizione della crisi.
Tuttavia, profilo pregnante è che il PM non è chiamato ad intervenire soltanto nella fase patologica del procedimento, essendo peraltro evidente l’esigenza di scongiurare il rischio che arrivi tardi, anche molto dopo l’eventuale danno provocato dalle condotte illecite sopradescritte dalle fattispecie agli interessi protetti[6].
Non pare, peraltro, possibile fornire una diversa lettura dell’impianto codicistico che consenta di attribuire al PM, oltre all’accertamento dei reati già consumati nel corso della procedura di componimento (fase patologica), un controllo in itinere.
Con questa premessa, è opportuno esaminare almeno quattro aspetti del nuovo ruolo del PM nella crisi d’impresa.
2 . L’iniziativa del PM
Un primo aspetto da approfondire potrebbe avere ad oggetto l’inquadramento sistematico della problematica riguardante la collocazione del Pubblico ministero nel Codice della crisi e dell’insolvenza, con specifico riguardo al suo ruolo rispetto alla procedura di liquidazione giudiziale ed alla obbligatorietà o facoltatività della sua iniziativa[7].
In questo contesto, si potrebbe fare innanzitutto riferimento all’art. 38 CCI laddove prevede, al comma 1, che “Il pubblico ministero presenta il ricorso per l’apertura della liquidazione giudiziale in ogni caso in cui ha notizia dell’esistenza di uno stato di insolvenza” e al comma 2, che: “l’autorità giudiziaria che rileva l’insolvenza nel corso di un procedimento la segnala al pubblico ministero”. Secondo la Relazione Illustrativa: “la disposizione restituisce centralità al ruolo del PM, coerentemente con il ruolo attribuito a tale organo nelle procedure di allerta”, (qui si aggiunge) quasi a bilanciare la scomparsa del cd. fallimento d’ufficio.
Ad ogni modo la permanente legittimazione del PM chiarisce che il procedimento per la regolazione dell’insolvenza è il tipico luogo ove, mescolandosi pubblico e privato, vengono tutelati interessi che vanno al di là di quelli spiccatamente individuali che pure sono coinvolti nella crisi d’impresa (a tal proposito va rimarcato che lo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri in data 17.3.2022 prevede la soppressione dell’iniziativa del PM per l’apertura della procedura di liquidazione controllata nel caso di imprenditore insolvente).
Ma è bene chiarire sin da subito che il PM non è (diversamente da quello che venne provocatoriamente detto a proposito del fallimento d’ufficio) uno spettro che si aggira nelle aule del Tribunale civile. La sua iniziativa va vista, infatti, innanzitutto come “stimolo” per l’imprenditore a ricercare tempestivamente una soluzione alla propria crisi, possibilmente più conveniente rispetto all’alternativa puramente liquidatoria. E solo secondariamente come rimedio estremo al fine di espungere dal mercato situazioni imprenditoriali che hanno da tempo smarrito l’idea di economicità dell’attività. Questo secondo corno dell’alternativa, inteso come possibilità per il PM di accelerare la crisi giuridica dell’impresa, prima facie si pone in contrasto con una interpretazione “alternativa” della legge concorsuale, ispirata alla valorizzazione di tutti gli spunti in essa contenuti che consentano il salvataggio dell’impresa. Ma solo prima facie. I tentativi di salvataggio dei quali si potrebbero far carico ai giudici sono quelli che vengono posti in essere dopo e dentro la liquidazione giudiziale; un tentativo di salvataggio affidato all’abbandono della iniziativa del PM non è un uso alternativo, ma un disuso del “fallimento”. Ad ogni modo, va sottolineato che in entrambi i casi il ruolo del PM potrebbe essere visto come espressione di un potere di controllo sulle condizioni patrimoniali dei debitori e sulla stabilità finanziaria delle imprese.
Il comma 1, non contenendo più alcuno specifico riferimento alle modalità di apprensione della notizia medesima da parte del PM, rappresenta una chiara novità rispetto all’art. 7 l.fall. che fa riferimento al procedimento penale, come luogo “naturale” di acquisizione di tale notizia, ma anche all’alternativa rappresentata dall’elencazione casistica degli altri possibili sintomi da cui il PM avrebbe potuto acquisire la notitia decoctionis: sembra ora che l’unico presupposto sia che la notitia decoctionis sia stata acquisita dal PM nell’ambito della sua attività istituzionale, e non attraverso una mera ricerca di iniziativa dell’insolvenza.
L’atto di iniziativa del Pubblico ministero è equiparato al ricorso dei creditori, per lo specifico richiamo al PM contenuto nell’art. 37. Il ruolo di parte processuale del PM è reso esplicita dal fatto che egli deposita, al pari delle parti private, un ricorso e non una mera istanza: siamo al cospetto di una vera e propria azione a contenuto processuale e non di una mera segnalazione.
Come per il comma 1, la segnalazione al PM da parte del giudice (prevista dal comma 2) viene slegata dai vincoli soggettivi e procedimentali di cui all’art. 7, comma 2, l.fall., che pone l’obbligo della segnalazione di insolvenza al solo giudice che l’abbia rilevata “nel corso di un procedimento civile”. Il comma 2 dell’art. 38 fa riferimento all’”autorità giudiziaria”, senza, quindi, alcuna distinzione né tra quella ordinaria e speciale, né, nell’ambito di quella ordinaria, tra settori di appartenenza, con la conseguenza che tutti i giudici avranno l’obbligo di segnalare l’insolvenza rilevata nell’ambito di un qualunque “procedimento”, che potrà, dunque, essere anche un procedimento amministrativo o tributario o di qualsiasi altro tipo.
Tutte queste segnalazioni non devono essere viste in chiave punitiva, quanto piuttosto in una logica pienamente in linea con gli indirizzi più recenti del diritto dell’Unione europea. Ed allora, come è stato notato, deve riconoscersi che proprio il giudice dell’esecuzione - fra i diversi giudici con funzioni civili - è forse quello che può avere una “visuale” migliore sull’insolvenza, considerato che se è vero che l’inadempimento (così come il tentativo di realizzarne coattivamente il soddisfacimento) è solo uno dei possibili sintomi dello stato di decozione, certamente è uno di quelli più gravi ed inequivoci. Per questa ragione, proprio la “insufficienza” delle procedure esecutive individuali, quando inadempiente è un imprenditore con una pluralità di creditori per giunta muniti di forza diseguale, deve essere intesa con riferimento alle esigenze del concorso e della sistemazione dei rapporti di impresa, e non con riferimento alla migliore realizzazione del diritto sostanziale dei creditori (poco importando se poi, nella pratica, la finalità esclusivamente esecutiva del fallimento è assecondata dall’uso “improprio” della domanda di fallimento da parte di creditori come mezzo di pressione sul debitore per indurlo al pagamento, anche quando manchi l’insolvenza). La disciplina della crisi dell’impresa comprende ma non coincide, con il pagamento dei debiti dell’imprenditore.
Il decreto correttivo è intervenuto sull’art. 38 CCI, con l’inserimento dei commi 3 e 4: il primo rende esplicita la regola secondo la quale il PM, così come è legittimato a proporre istanza di apertura della liquidazione giudiziale può intervenire in tutti i procedimenti diretti all’apertura di una procedura di regolazione della crisi e dell’insolvenza. La norma di cui al comma 3 dell’art. 38 CCI, secondo la quale il PM “può intervenire in tutti i procedimenti diretti all’apertura di una procedura di regolazione della crisi e dell’insolvenza”, è una specificazione del principio generale di cui all’art. 70, comma 3, c.p.c. secondo cui il PM può intervenire in ogni causa in cui ravvisa un pubblico interesse. La norma sta a significare ed evidenziare che in tutti i procedimenti di regolazione della crisi sussiste un pubblico interesse che può astrattamente giustificare l’intervento del PM.
L’intreccio è ulteriormente complicato dalla valutazione dell’insolvenza che il PM è chiamato ad effettuare nell’ambito della procedura di concordato preventivo, essendo previsto dall’art. 40, comma 3, CCI che la domanda per l’accesso a una delle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza, unitamente ai suoi allegati è trasmessa al PM: la segnalazione in pendenza di una procedura di composizione della crisi o dell’insolvenza è apparentemente inutile avendo il CCI positivizzato nell’art. 7, comma 2, il principio della prioritaria trattazione delle procedure dirette a regolare la crisi dell’insolvenza con strumenti diversi dalla liquidazione giudiziale. Di qui l’ulteriore quesito: in pendenza della procedura di composizione della crisi o dell’insolvenza, il PM può comunque esercitare l’azione prima della definizione della procedura pendente?
Un altro aspetto meritevole di approfondimento è quello posto dall’art. 43 CCI, intitolato: “Rinuncia alla domanda”, il cui comma 1 prevede(va) che: “in caso di rinuncia alla domanda di cui all’articolo 40, il procedimento si estingue. E’ fatta salva la legittimazione del pubblico ministero intervenuto”. Secondo la Relazione illustrativa: “allo scopo di evitare un uso strumentale del potere di rinunciare alla domanda, è previsto che permanga comunque in capo al PM, che abbia partecipato al procedimento, il potere di chiedere la liquidazione giudiziale, senza necessità di proporre un nuovo ed autonomo ricorso”. In tale senso potendosi intendere il secondo inciso del primo comma dell’articolo 43 CCII secondo cui: “è fatta salva la legittimazione del pubblico ministero intervenuto”.
Lo schema del decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri il 17.3.2022 si propone di sostituire il comma 1 dell’art. 43, con il seguente testo: “In caso di rinuncia alla domanda di cui all’articolo 40 il procedimento si estingue, fatta salva la volontà di proseguirlo manifestata dagli intervenuti o dal pubblico ministero. Il pubblico ministero può rinunciare alla domanda”.
Va notata la semplificazione interpretativa mediante la soppressione dell’espressione “è fatta salva la legittimazione del pubblico ministero intervenuto”. È ora più chiara la possibilità per le altre parti intervenute e per il PM di proseguire il procedimento (anche se non intervenuto in precedenza).
3 . La gestione della notizia di insolvenza
Dopo l’inquadramento sistematico e l’analisi delle norme suindicate, potrebbe essere utile cercare di capire come e perché il CCI ha inteso restituire centralità al PM nelle procedure di risoluzione della crisi e dell’insolvenza nonostante tutte le difficoltà di approccio, anche culturale, che questo Ufficio ha dimostrato sin dalla entrata in vigore della legge del 1942.
Prima della riforma del 2006, secondo l’orientamento prevalente, in presenza delle situazioni tassativamente previste, il PM aveva l’obbligo di chiedere il fallimento: la previsione normativa del 1942 era infatti “deve richiedere”. L’orientamento che concludeva per l’obbligatorietà si fondava su un’interpretazione letterale della norma ma d’altro canto la considerazione che a legittimare l’azione del pubblico ministero degli affari civili fosse uno stato di insolvenza risultante in sede penale ove il pubblico ministero legittimato era quello che “procedeva contro l’imprenditore” ben giustificava l’affermazione dell’obbligatorietà dell’azione civile in linea con l’obbligatorietà dell’azione penale ad essa collegata.
Con la riformulazione dell’art. 7 l.fall, a seguito dell’art. 1, comma 6, lett. a), l. n. 80/2005, la sostituzione di “deve” con il termine “presenta” costituisce argomento di per sé sufficiente a sostenere la facoltatività dell’iniziativa da esercitare secondo “prudenza e proporzionalità”[8]. Secondo alcuni autori l’obbligo rimarrebbe nel caso del previo o contemporaneo esercizio dell’azione penale[9]. Sotto tale profilo indicazioni normative nel senso dell’obbligatorietà sono state tratte dal combinato disposto degli artt. 217, n. 4, l.fall. – che sanziona l’inadempimento dell’obbligo di chiedere il fallimento - e 238 l.fall. coordinati con il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. Osservazioni analoghe a quelle formulate con riferimento all’art. 7 l.fall potrebbero estendersi alla previsione di cui all’art. 38 CCI, trasposti gli art. 217, n. 4, e l’art. 238 l.fall. nell’art. 323, lett. d), e nell’art. 346 CCI.
L’affermazione di un dovere di pronuncia di ufficio richiama immediatamente la necessità di verificare quali possano essere le conseguenze di una sua omissione, sia in termini di responsabilità, sia in termini più generali di gravami contro l’inerzia.
Il tema è, quindi, quello della gestione della notitia decoctionis al di fuori delle ipotesi di reato e qui l’alternativa è duplice: iscrizione a mod. 45 o apertura di un “fascicolo civile”, parallelo a quello del giudice fallimentare, nel quale far confluire tutta la documentazione (i.e., l’istruttoria) del procedimento della regolazione della crisi e dell’insolvenza. Lo stesso problema sembra porsi anche in caso di procedimento penale iscritto a mod. 21 o a mod. 44: il mod. 45 o il “fascicolo civile” dovrà essere dedicato solo alla trattazione dell’insolvenza il cui accertamento ex officio, quando non sia approdata a inadempimenti o altri fatti esteriori, coinvolge sempre più spesso le scritture contabili e i bilanci delle imprese (oltre che ai programmi di risanamento concordati con la maggioranza dei creditori). I problemi che si pongono a questo proposito sono ancora una volta numerosi e gravi e riguardano la ufficiosità della ricerca di queste prove, e la loro interpretazione e rilevanza. Intanto va detto che il bilancio non può di per sé né provare né escludere l’insolvenza. Ma il fatto più importante è che le cd. analisi di bilancio finalizzate alla ricerca degli indicatori di insolvenza portano con sé l’esame del merito degli accordi con i creditori sulla sistemazione del passivo, la valutazione dei quali contiene anche margini di assoluta aleatorietà (come ad es. il giudizio sulla solvibilità del garante dell’operazione). Analisi dei bilanci e analisi dei programmi e accordi di salvataggio spesso si sovrappongono; ma si tratta di problemi forse diversi.
Lo schema del decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri il 17.3.2022 propone di inserire nel comma 1 dell’art. 43 la seguente espressione: “…...Il pubblico ministero può rinunciare alla domanda”.
È, quindi, sancito il principio in virtù del quale anche il PM può rinunciare alla domanda di apertura della liquidazione giudiziale se ritiene – melius re perpensa, anche all’esito dell’instaurazione del contraddittorio con il debitore - non sussistenti i relativi presupposti. Il legislatore ha così espressamente aderito all’opinione che sottolineava l’incongruità della soluzione volta a costringere il PM (che nel settore penale ben può presentare richieste di archiviazione o di assoluzione) ad insistere per una dichiarazione di fallimento ingiustificata alla luce degli atti.
Altro aspetto di grande interesse, non solo pratico, è quello della organizzazione delle Procure affinché vi sia un’adeguata strutturazione interna per la gestione di tali affari. In questo senso dovrebbero essere previsti pressi tutti gli uffici giudiziari dei protocolli d’intesa tra Procure e Tribunali al fine di regolamentare e quindi testare l’effettività e la tempestività dell’iniziativa del PM a seguito della segnalazione ex art. 38, comma 2, CCI, sul modello di quelle già in uso, in molti uffici giudiziari, con riferimento alle segnalazioni ex art. 7 l.fall.
La trattazione dei procedimenti nelle distinte fasi di merito determina poi l’opportunità di un regolamento dei rapporti tra la Procura presso il Tribunale e la Procura generale distrettuale, soluzione che appare oggi necessaria in considerazione della previsione della possibilità di partecipazione al giudizio di appello del pubblico ministero di primo grado, prevista dall’art. 38, comma 4, CCI.
4 . La composizione negoziata della crisi
Il D.L. n. 118/2021, convertito in L. n. 147/2021, ha introdotto il nuovo strumento di ausilio alle imprese in difficoltà: la composizione negoziale della crisi, destinata a sostituire la procedura di allerta e composizione assistita della crisi (v. schema di decreto legislativo di ulteriore modifica del CCI).
Per quanto d’interesse il nuovo istituto non prevede a carico dell’esperto un meccanismo di segnalazione analogo a quello previsto per l’OCRI nell’attuale art. 22 CCI. Ne deriva che le segnalazioni al PM potranno provenire dall’autorità giudiziaria evocata dal debitore ogni qual volta richieda l’emissione di provvedimenti funzionali al buon esito della composizione negoziale.
Coinvolgimento che può essere immediato qualora l’imprenditore chieda, contestualmente alla presentazione dell’istanza di nomina dell’esperto l’applicazione di misure protettive successivamente sottoposte alla conferma da parte del giudice, innanzi al tribunale competente.
L’intervento dell’autorità giudiziaria è inoltre previsto se l’imprenditore intende ottenere finanziamenti prededucibili, se è necessario cedere l’azienda nel corso della procedura ovvero rideterminare il contenuto dei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nel caso in cui non sia stato possibile raggiungere un accordo con i creditori per la loro modifica.
In tutte queste occasioni ove l’autorità giudiziaria accerti che il debitore si trova in uno stato d’insolvenza sarà tenuta a segnalarlo al PM. Circostanza che potrà sicuramente verificarsi dato che la norma sui requisiti oggettivi d’accesso alla procedura contenuta nell’art. 2 comma 1 fa un richiamo alle “condizioni di squilibrio patrimoniale o economico finanziario che rendono probabile la crisi o l’insolvenza”, evidenziando la volontà di introdurre una procedura “omnicomprensiva” che abbracci tutte le possibili tipologie della crisi, da quella appena iniziale all’insolvenza conclamata, sia pur potenzialmente reversibile.
In caso di archiviazione della procedura per insolvenza irreversibile, l’assenza di un meccanismo di segnalazione autonomo, endogeno al procedimento, rappresenta sicuramente un profilo di grande criticità, che rende evidente come l’istituto non rappresenti una compensazione integrale dell’accantonamento delle procedure di allerta e composizione della crisi del CCI con riferimento alla tempestiva emersione dell’insolvenza. Tempestiva emersione che dipenderà esclusivamente, come detto, dalle segnalazioni degli organi giudiziari il che rende evidente l’assoluta indifferibilità dell’adozione di protocolli che assicurino un flusso di informazioni adeguate tra tribunali e procure della repubblica.
Queste considerazioni sono destinate ad essere riconsiderate nel caso in cui lo schema di ulteriore modifica del CCI dovesse essere approvato così com’è, prevedendosi ora espressamente l’inapplicabilità dell’art. 38 CCI alla composizione negoziata, in dichiarata coerenza con la sua natura negoziale e stragiudiziale (v. relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo).
Ai sensi dell’art. 6, comma 4, D.L. n. 118/2021 dal giorno della pubblicazione dell’istanza di cui al comma 1 e fino alla conclusione delle trattative o all’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata, la sentenza dichiarativa di fallimento o di accertamento dello stato di insolvenza non può essere pronunciata.
La pubblicazione dell’istanza non impedisce quindi, fino alla sua archiviazione, l’instaurazione o la prosecuzione dei procedimenti per la dichiarazione di fallimento o per l’accertamento dello stato di insolvenza, ma soltanto l’apertura della procedura di liquidazione.
Ne deriva che nel corso della procedura di composizione negoziata il PM (il quale potrà aver acquisito la notizia di insolvenza anche del tutto indipendentemente dalla segnalazione dell’autorità giudiziaria che si occupa della procedura di composizione negoziata) può depositare l’istanza per la dichiarazione di fallimento, o mantenere ferma quella già depositata, ed anche richiedere, ove ne ricorrano le condizioni, le misure cautelari[10]. 
5 . Il concordato semplificato
L’art. 18 del D.L. n. 118 del 2021 ha introdotto il nuovo istituto del concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, attivabile quando l’esperto, nella sua relazione finale, dichiara che le trattative non hanno avuto esito positivo e che le soluzioni di cui all’art. 11, commi 1 e 2, D.L. cit. non sono praticabili.
Il comma 2 dell’art. 18 espressamente prevede che il ricorso con cui l’imprenditore chiede l’omologazione del concordato sia comunicato al Pubblico ministero presso il Tribunale del luogo in cui l’impresa ha la propria sede principale. Trattasi di disposizione che ricalca quella dell’art. 161, comma 5, l. fall., destinato per il futuro a confluire nel più penetrante art. 40, comma 3, CCI.
Poiché l’art. 18, comma 2, non prevede distinzioni, la domanda di omologazione andrà comunicata al Pubblico ministero anche nel caso in cui a presentarla è l’imprenditore commerciale o agricolo che possieda congiuntamente i requisiti di cui all’art. 1, comma 2, l.fall. (art. 17). In tal caso (ma per l’imprenditore agricolo in ogni caso), la comunicazione non ha la finalità di consentire al Pubblico ministero di presentare la richiesta di fallimento.
A tal proposito, va rammentato che l’art. 6, comma 4, D.L. n. 118 del 2021, dispone che dal giorno della pubblicazione dell'istanza con cui viene chiesta la nomina dell’esperto per la composizione negoziata “e fino alla conclusione delle trattative o all'archiviazione dell'istanza di composizione negoziata, la sentenza dichiarativa di fallimento o di accertamento dello stato di insolvenza non può essere pronunciata”.
Tale divieto permane anche nel concordato semplificato, che costituisce, come detto, una delle soluzioni praticabili all’esito negativo delle trattative e che contempla, con il richiamo dell’art. 168 l.fall. il divieto delle azioni esecutive e cautelari, nonché la cristallizzazione, negli stessi limiti disposti per il concordato preventivo, del patrimonio del debitore in applicazione delle norme indicate nell’art. 169 l.fall. Ed è appena il caso di ricordare che la priorità dell’esame delle domande di concordato su quelle di dichiarazione di fallimento e il divieto della tale dichiarazione in pendenza di una procedura volontaria costituiscono principi codificati dall’art. 49 CCI, sì come anticipati dalla giurisprudenza.
La domanda di concordato semplificato non è diretta, come nel concordato preventivo, all’ammissione alla procedura, bensì direttamente all’omologazione del concordato. Il vaglio di “ammissione”, al pari di quanto già previsto nel concordato fallimentare, viene circoscritto al profilo di disamina della ritualità della proposta con acquisizione della relazione finale dell’esperto (nominato nell’ambito della composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa), arricchita d’un ulteriore suo parere dedicato ai presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte.
Anche in questa primordiale fase sarà rilevabile l’eventuale abuso di diritto allorché, ad esempio, già dalla relazione dell’esperto emergano manifesti profili di infattibilità o atti in frode (anche in conseguenza del compimento di atti pregiudizievoli di cui all’art. 9, commi 3 e 4) ancor più facili da rilevare ora che l’esperto dovrà - qualora, come sembra, l’emendamento diverrà legge - dichiarare che “le trattative si sono svolte secondo correttezza e buona fede”.
Ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 18, si applicano poi, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli artt. 173, 184, 185, 186 e 236 l.fall.
Molto importante, ai fini che ne occupano, è il richiamo all’art. 173 l.fall., relativamente al quale viene precisato che - ai fini del comma 1 dell’art 173 - il decreto che dispone la comunicazione della proposta (unitamente al parere dell’ausiliario e alla relazione finale dell’esperto) ai creditori è equiparato all’ammissione al concordato. Il concordato potrà, dunque, essere revocato sia nel caso di scoperta di pregressi atti di frode non rivelati dal debitore, sia nell’eventualità in cui questi compia atti di straordinaria amministrazione non autorizzati o atti comunque diretti a frodare le ragioni dei creditori, sia infine qualora risultino mancanti le condizioni prescritte per l’ammissibilità del concordato (pur non essendo in realtà previsto un provvedimento di ammissione).
Gli espressi richiami alla disciplina del concordato preventivo, in particolare agli art. 173, 185 e 186 l.fall., consentono di affermare che l’intervento del Pubblico ministero nel concordato semplificato non assume, nella sostanza, connotati diversi da quelli previsti per la procedura di concordato preventivo. Il che rende irrilevante, almeno per questo aspetto, stabilire se il nuovo istituto integri un sottotipo di concordato preventivo, ovvero un tipo concorsuale a sé.
Il mancato richiamo del comma 7 dell’art. 180 l. fall. non esclude che il tribunale qualora non omologhi il concordato possa contestualmente pronunciare il fallimento con sentenza, sia perché il ricorso iniziale è comunicato al Pubblico ministero, che può quindi formulare domanda di fallimento in vista della definizione negativa dell’omologa, sia perché, non essendo vietata in quel momento (ossia dopo il rigetto dell’omologa) la pronuncia di insolvenza, nulla impedisce che questa possa essere emessa contestualmente al decreto di rigetto dell’omologa, ricorrendone ovviamente i presupposti.

Note:

[1] 
V. F. De Santis, Il ricorso del pubblico ministero per l’apertura della liquidazione: tra interesse pubblico e modelli processuali comuni, in www.dirittodellacrisi.it.
[2] 
Cfr. sull’argomento A. Nigro, “Privatizzazione” delle procedure concorsuali e ruolo delle banche, in AA.VV., Le soluzioni concordate della crisi d’impresa, Torino, 2007.
[3] 
P. Filippi, Il ruolo del PM nel codice della crisi e dell’insolvenza, in www.giustiziainsieme.it.
[4] 
Si tratta dell’atto leggibile in https://www.procuracassazione.it/procuragenerale-resources/resources/cms/documents/21.11.17_Ruolo_PM_nella_crisi_di_impresa.pdf, su “Il ruolo del pubblico ministero nella crisi d’impresa tra legge fallimentare, Codice della crisi e dell’insolvenza e decreto-legge n. 118 del 2021”. 
[5] 
S. De Flammineis, Il “nuovo” ruolo del p.m. tra crisi e perdita della continuità aziendale, Alcune osservazioni al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in www.dirittopenalepontemporaneo.
[6] 
M. Gambardella, Il nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: un primo sguardo ai riflessi in ambito penale, in www.dirittopenalecontemporaneo
[7] 
Cfr. F. De Santis, Il ricorso del pubblico ministero per l’apertura della liquidazione: tra interesse pubblico e modelli processuali comuni, in www.dirittodellacrisi.it.
[8] 
M. Fabiani, Postilla allo scritto di Alberto Jorio dal titolo “Composizione negoziata e pubblico ministero”, in www.dirittodellacrisi.it.
[9] 
Riferimenti in S. De Matteis, Istruttoria prefallimentare: il procedimento, in A. Caiafa (a cura di), Le procedure concorsuali, Cedam, 2011, p. 82 ss. 
[10] 
Per A. Jorio, Composizione negoziata e pubblico ministero, in www.dirittodellacrisi.it, Se si vuole concedere adeguato spazio e “respiro” al nuovo istituto della composizione negoziata è opportuno trovare il modo per evitare di farle crescere accanto la malapianta della procedura fallimentare”.

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Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

Dati di contatto - Società per lo studio del diritto della crisi con sede in via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN); email: ssdirittodellacrisi@gmail.com.

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Il TITOLARE

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Società per lo studio del diritto della crisi

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