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Saggio

La composizione negoziata dopo lo schema di decreto legislativo del C.d.M. del 17 marzo 2022*

Luciano Panzani, già Presidente della Corte d’Appello di Roma

19 Aprile 2022

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
L’Autore illustra i cambiamenti della composizione negoziata delineati dallo schema di decreto approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 17 marzo 2022.
Riproduzione riservata
1 . Premessa
La composizione negoziata rappresenta l’innovazione più significativa e promettente della nostra normativa in tema di crisi ed insolvenza. Di qui l’interesse ad un’indagine preliminare delle modifiche previste dall’imminente riforma del codice della crisi. 
Lo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri non rappresenta ovviamente la conclusione dell’iter legislativo diretto alla revisione del codice ed al suo adeguamento alla Direttiva 1023/2019 sui quadri di ristrutturazione preventiva.
Nelle pagine che seguono si è cercato di offrire un sintetico quadro di insieme delle modifiche introdotte dal legislatore che, per brevità di trattazione, adotta come termine di confronto la disciplina contenuta nel d.l. 118/21 attualmente in vigore, il cui testo è stato trasfuso nello schema, talvolta con modificazioni. Lo stato attuale della normativa ha sconsigliato un eccessivo approfondimento. 
Ci si è anche soffermati sulle modifiche al codice, soprattutto alle definizioni ed ai principi generali, oltre che alle restanti parti del titolo II, che sono più direttamente collegate alla disciplina della composizione negoziata. 
2 . La definizione di crisi
E’ cambiata la definizione di crisi, nel senso che è definita come lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza senza più un riferimento alla qualificazione di tale stato come squilibrio economico-finanziario. La parte della definizione di taglio aziendalistico non richiama più l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate, ma si riferisce più genericamente all’inadeguatezza di tali flussi a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi, senza alcun richiamo alla regolarità dell’adempimento. 
Complessivamente, tuttavia, il mutamento della definizione non sembra incidere sulla sostanza essendo evidente che la mancata indicazione di uno stato di squilibrio economico – finanziario non può cancellare il fatto che l’inadeguatezza dei flussi di cassa tale stato di squilibrio determina e che la valutazione dei flussi è pur sempre prospettica sì che le obbligazioni cui occorre far fronte non sono soltanto quelle pianificate, ma quelle comunque prevedibili. Rimane la soppressione dell’avverbio regolarmente, sì che non vi sarebbe stato di crisi quando l’adempimento delle obbligazioni nei successivi dodici mesi possa essere il frutto di adempimento non con mezzi ordinari, per esempio con il ricavato da dismissioni di asset. Ne deriva una nozione leggermente meno rigorosa di crisi. 
E’ invece innovativo la previsione di un arco massimo di dodici mesi di durata del periodo di valutazione dei flussi prospettici. 
La nozione di crisi rileva soltanto relativamente per quanto concerne la composizione negoziata perché il legislatore ha dettato con l’art. 12 dello schema di decreto legislativo, immutato rispetto all’art. 3 del dl 118/21, una diversa definizione del presupposto oggettivo di accesso, che è costituito dallo stato di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza. Rimane quindi l’apparente bisticcio di una crisi che è probabilità di insolvenza e che può essere preceduta da uno stato di squilibrio del debitore che rende probabile tale probabilità di insolvenza, essendo comunque evidente l’interesse del legislatore ad anticipare il più possibile l’ingresso nel percorso negoziale, senza impedirlo almeno inizialmente per chi già si trovi in stato di insolvenza.
3 . Il ruolo del P.M.
E’ affermato con chiarezza che il P.M. non ha poteri di iniziativa e/o intervento nella composizione negoziata (art. 12, co. 3) che del resto non è una procedura e non legittimerebbe quindi la partecipazione del P.M. secondo la formulazione dell’art. 38, comma 3, dello schema di decreto legislativo, secondo il quale il P.M. può intervenire in tutti i procedimenti per l’accesso ai quadri di ristrutturazione preventiva o a una procedura di insolvenza. Resta a chiedersi se il P.M. possa intervenire nei procedimenti relativi alle misure protettive e cautelari che assumono indubbiamente caratteristiche processuali e per gli altri provvedimenti che possono essere pronunciati dal tribunale su autorizzazione del giudice. Per tali ipotesi in astratto potrebbe trovare applicazione l’art. 70, comma 3, c.p.c. in forza del quale il P.M. può intervenire in ogni altra causa in cui ravvisa un pubblico interesse. Tuttavia è da ritenere che la mancata previsione di tale potere di intervento da parte dello schema di d.lgs. sia un chiaro indice dell’inesistenza di siffatto potere di intervento, che avrebbe dovuto essere contemplato dall’art. 12, co. 3.
4 . Gli assetti adeguati e la disciplina dell’allerta. Il coordinamento con la Direttiva 1023/2019
4.1. Il legislatore ha parzialmente riscritto l’art. 3 del codice della crisi che, a differenza dell’art. 2086 c.c., pure introdotto dal codice, non era immediatamente entrato in vigore per effetto del d.lgs. 14/2020. 
Va ricordato che l’art. 2086 c.c. aveva previsto gli assetti soltanto per quanto concerne le imprese costituite in forma societaria e collettiva e che l’art. 3 del codice ha ampliato gli obblighi a tutte le imprese, comprese le imprese individuali.
Ora con l’art. 3 il legislatore, riprendendo la definizione dettata dall’art. 2086 e prima ancora dall’art. 2381 c.c., precisa non tanto in che cosa consistono gli assetti organizzativi, amministrativi e contabili, ma quali sono gli obiettivi che tali assetti debbono garantire ai fini della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa. Questi obiettivi sono indicati nei commi 3 e seguenti della norma, che al secondo comma chiarisce anche che essi debbono essere soddisfatti non soltanto dagli assetti obbligatori per le società e le imprese collettive, ma anche dalle misure che debbono adottare le imprese individuali secondo il primo comma. 
Nella sostanza il legislatore riduce di molto la differenza di contenuto degli obblighi di tempestiva rilevazione della crisi a carico delle imprese societarie e collettive e delle altre imprese perché se è vero che soltanto le prime debbono istituire e mantenere assetti adeguati, gli obiettivi che le misure previste per le imprese individuali e gli assetti previsti per quelle collettive e societarie debbono assicurare sono i medesimi.
Si tratta:
a) di rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore. Si noti che la nozione di squilibrio, che si è visto esser stata espunta dalla definizione di crisi dettata dal codice, rientra nell’obiettivo della rilevazione affidata agli assetti adeguati ed alle misure;
b) verificare la non sostenibilità dei debiti e l’assenza di prospettive di continuità aziendale per i dodici mesi successivi e i segnali di allarme indicati al comma 4 della norma. Fermandoci per il momento al primo degli elementi indicati, il concetto di non sostenibilità del debito richiama immediatamente la definizione di crisi accolta dal legislatore perché comporta l’inadeguatezza dei flussi di cassa a far fronte alle obbligazioni per il medesimo arco di dodici mesi cui fa riferimento la definizione in parola. L’assenza di prospettive di continuità aziendale si riferisce ad una situazione certamente più grave che prospetta un’insolvenza irreversibile, ma che potrebbe anche comportare un arresto tempestivo dell’attività d’impresa, prima che si manifesti la crisi quando sia dovuta ad un fatto oggettivo di mercato ( ad esempio l’attuale crisi ucraina e l’impossibilità di produrre a costi competitivi).
c) ricavare le informazioni necessarie a seguire la lista di controllo particolareggiata e ad effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento previsto dall’art. 13, comma 2, per l’imprenditore che voglia accedere alla composizione negoziata. Il contenuto del test pratico e della lista particolareggiata di controllo sono chiariti dal decreto dirigenziale emanato dal Ministero della Giustizia il 28.9.2021 La check-list serve all’imprenditore per redigere un piano di risanamento affidabile sulla base di minimi requisiti organizzativi, della disponibilità di una situazione economico-patrimoniale aggiornata, dell’analisi della situazione in cui si trova l’impresa e dalle sue cause, della proiezione dei flussi finanziari, della determinazione del debito che deve essere servito da tali flussi anche per determinare il tipo ed il contenuto delle proposte da presentare ai creditori. Quindi in tanto gli assetti e le misure possono ritenersi adeguati in quanto permettano in ogni tempo all’imprenditore di predisporre un piano di risanamento grazie ad un adeguato sistema di rilevazione contabile che consenta di individuare i flussi finanziari presenti e futuri.
Va sottolineato che l’art. 13 dello schema di d.lgs. non prevede un adeguamento del decreto dirigenziale alle modifiche della disciplina legislativa da esso recate, come sarebbe stato opportuno. A differenza infatti del corrispondente art. 3 del d.l. 118, l’art. 13, comma 2, non indica che il decreto debba essere emanato entro un certo termine (come poi è avvenuto con il decreto 29.9.2021), ma si cita invece direttamente il decreto dirigenziale già adottato ai sensi dell’art. 3 d.l. 118.
Come si è già accennato, costituiscono segnali di allarme ai sensi del comma 4 dell’art. 3 alcune situazioni elencate dalla norma:
a) l’esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno 30 giorni pari ad oltre la metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni;
b) l’esistenza di debiti verso fornitori scaduti da oltre 90 giorni di ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti;
c) l’esistenza di esposizioni nei confronti di banche ed altri intermediari finanziari scadute da più di 60 giorni o che abbiano superato da almeno 60 giorni il limite degli affidamenti ottenuti in qualunque forma purché rappresentino complessivamente almeno il 5% del totale delle esposizioni.
d) l’esistenza di una o più delle esposizioni debitorie previste dall’art. 25 novies, comma 1, vale a dire il superamento delle soglie per la segnalazione dei creditori pubblici istituzionali.
Complessivamente queste situazioni sembrano indicare condizioni di forte difficoltà cui certamente corrisponde una crisi di liquidità, ma probabilmente una situazione di vera e propria insolvenza, non tanto per il superamento del termine di volta in volta previsto, ma per il rapporto tra il termine ed ulteriori condizioni che sono indicate, come ad esempio l’entità del debito scaduto non pagato rispetto a quello non scaduto.
Va peraltro detto che questa norma, a differenza del combinato disposto degli artt. 13 e 24 del testo originario del codice della crisi dai quali è tratta, non evidenzia indicatori di crisi veri e propri, ma ha una funzione diversa. Il superamento dei termini e delle soglie non è rilevante in se stesso, ma in rapporto all’idoneità degli assetti e delle misure a rilevarne l’esistenza. Si tratta quindi di fattori che vanno valutati come elementi che contribuiscono ad evidenziare la non sostenibilità del debito e l’eventuale assenza di prospettive di continuità aziendale.

4.2. Con lo schema di d.lgs. il legislatore ha introdotto un capo III del titolo II del codice che contiene gli artt. 25 octies, novies, decies ed undecies, che hanno in gran parte contenuto innovativo, anche se viene ripresa la disciplina dettata dal d.l. 152/201 convertito in legge 233/2021, artt. 30 quinquies e sexies.
Con l’art. 25 octies il legislatore riprende, lasciandola immutata, la disciplina delle segnalazioni dell’organo di controllo societario agli amministratori della sussistenza di condizioni per la presentazione dell’istanza di composizione negoziata, ivi compreso il regime limitativo della responsabilità dei componenti dell’organo di controllo che abbiano effettuato la segnalazione. Tale regola determina un meccanismo di allerta indiretto, perché stimola gli amministratori ad accedere tempestivamente alla composizione negoziata quando ad avviso dell’organo di controllo ne sussistano le condizioni.
A tale meccanismo di segnalazione e stimolo si affiancano le segnalazioni da parte degli enti pubblici che siano creditori istituzionali, secondo il meccanismo previsto dal d.l. 152/21, fortemente raccomandato dalla Commissione europea in attuazione degli impegni assunti dall’Italia con il PNRR. L’art. 25 novies non reca molte novità rispetto al testo dell’art. 30 sexies del d.l. 152, a parte l’inserimento accanto all’INPS ed all’Agenzia delle Entrate dell’INAIL. Nei primi commenti si è segnalato che le soglie perché scatti l’obbligo di segnalazione, la cui omissione a differenza del precedente regime di allerta previsto dal testo originario del codice della crisi non comporta più la perdita del privilegio sul credito per l’ente pubblico, sono molto basse sia in assoluto sia con riferimento ai parametri temporali presi in considerazione ( ad esempio per l’Agenzia delle Entrate l’omesso versamento dell’IVA sulla dichiarazione periodica in misura superiore a 5.000 euro). Va però aggiunto che la segnalazione contiene sì l’invito a presentare la domanda di composizione negoziata, ma soltanto se ne ricorrono i presupposti (art. 25 novies, comma 3, che conferma il testo dell’art. 30 sexies d.l. 152/21).
L’art. 25 decies prevede obblighi di comunicazione delle banche e degli altri intermediari finanziari di cui all’art. 106 t.u.b. che debbono dare notizia anche agli organi di controllo societari delle eventuali variazioni, revisioni o revoche degli affidamenti. Non si tratta di una novità, perché la norma figurava già nel codice della crisi al quarto comma dell’art. 14 ed è semplicemente stata spostata in questa sede. L’obbligo della banca di “dare notizia anche agli organi di controllo” delle comunicazioni inviate al cliente, nella specie agli amministratori della società beneficiaria degli affidamenti bancari, si inserisce nella dialettica tra gli organi amministrativi e gli organi di controllo della società affidataria. Consente che gli organi di controllo possano svolgere in modo rapido ed efficace i loro compiti di vigilanza ed, in particolare, possano avere notizie di prima mano su circostanze di rilievo al fine di individuare precocemente eventuali indizi di crisi. Va aggiunto che l’informazione è quella stessa rivolta al cliente. L’organo di controllo non viene a ricevere maggiori o diverse informazioni di quelle che già debbono esser state inviate o che vengono contestualmente inviate agli amministratori.
L’art. 25 undecies riproduce la disciplina contenuta nell’art. 30 quinquies del d.l. 152 relativamente all’istituzione di un programma informatico sulla piattaforma telematica nazionale destinata ad accogliere le domande di composizione negoziata diretto ad assicurare l’elaborazione dei dati necessari per accertare la sostenibilità del debito esistente e che consente all’imprenditore il test pratico di accesso alla composizione negoziata per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento.
E’ ripresa la norma, anch’essa caldeggiata dalla Commissione europea, di un programma di rateizzazione per l’ipotesi che l’indebitamento complessivo non superi i 30.000 euro. In tale ipotesi se il programma informatico consente di ritenere che il debito sia sostenibile, esso elabora anche il piano di rateizzazione che, se comunicato ai creditori senza che essi manifestino il loro dissenso, diventerà vincolante. Si tratta però di norme di carattere generale che necessitano delle disposizioni di attuazione tuttora da emanare ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 25 undecies, sì che è prematuro diffondersi ulteriormente su tale disciplina, destinata a riguardare comunque situazioni di crisi di modesta entità, comunque relative però ad attività d’impresa.
Al verificarsi della situazione di crisi o di insolvenza, evidenziata in base ad un adeguato sistema di assetti ovvero in forza delle segnalazioni dei creditori pubblici qualificati l’imprenditore ai sensi dell’art. 2086 e dell’art. 3 del codice, come rivisto dallo schema di decreto legislativo, sorge l’obbligo di attivarsi. L’art. 25 octies dello schema di d.lgs. è rimasto immutato rispetto all’art. 15 del d.l. 118/2015 con la conseguenza che su segnalazione dell’organo di controllo gli amministratori debbono attivarsi richiedendo la composizione negoziata, ovviamente se ne ricorrono le condizioni.
Va sottolineato che complessivamente questa disciplina dà attuazione non al regime dell’allerta originariamente previsto dal codice della crisi, che dopo i vari rinvii che ha subito viene definitivamente accantonato, ma all’art. 3 della Direttiva 1023/2019 che fa obbligo agli Stati membri di istituire un sistema in forza del quale i debitori “abbiano accesso a uno o più strumenti di allerta precoce chiari e trasparenti in grado di individuare situazioni che potrebbero comportare la probabilità di insolvenza e di segnalare al debitore la necessità di agire senza indugio”. Il par. 2 dell’art. 3 specifica che “Gli strumenti di allerta precoce possono includere quanto segue: a) meccanismi di allerta nel momento in cui il debitore non abbia effettuato determinati tipi di pagamento; b) servizi di consulenza forniti da organizzazioni pubbliche o private; c) incentivi a norma del diritto nazionale rivolti a terzi in possesso di informazioni rilevanti sul debitore, come i contabili e le autorità fiscali e di sicurezza sociale, affinché segnalino al debitore gli andamenti negativi”.
E’ evidente che gli obblighi di segnalazione agli amministratori a carico dell’organo di controllo e dei creditori pubblici istituzionali rientrano nella previsione della lett. c) ed a) della norma, mentre il programma informatico disponibile sulla piattaforma nazionale ed il test di ingresso fanno parte dei servizi di consulenza forniti da organizzazioni pubbliche e private considerati dalla lett. b). 
Il legislatore pertanto nella sostanza ha dato attuazione ad un meccanismo di allerta soft conforme al regime previsto dalla Direttiva, che fornisce informazioni e sollecitazioni ad attivarsi al debitore e non conta su sistemi di coercizione quali quelli che erano previsti dall’allerta affidata agli OCRI secondo la versione originale del codice della crisi.
Va ancora aggiunto che l’art. 5 bis dello schema di d.lgs. prevede che sui siti del Ministero della Giustizia e del MISE siano pubblicate informazioni pertinenti ed aggiornate sugli strumenti per l’anticipata emersione della crisi, sui quadri di ristrutturazione preventiva e sulle procedure di esdebitazione previsti dal codice e dalle leggi speciali in tema di amministrazione straordinaria e l.c.a. In tali siti deve essere prevista anche la lista di controllo particolareggiata, adattata anche alle PMI, con indicazioni operative per la redazione dei piani di risanamento. Il contenuto della lista è definito con decreto dirigenziale del Ministero della Giustizia. 
Anche queste disposizioni costituiscono attuazione dell’obbligo previsto dall’art. 3 della Direttiva 1023/2019 di istituire servizi di consulenza forniti da organizzazioni pubbliche e private.
5 . I doveri delle parti
Il legislatore ha parzialmente riscritto gli obblighi a carico delle parti disegnati dall’art. 4 del codice nell’ambito dei principi generali e li ha raccordati con gli obblighi a carico delle parti stesse regolati dall’art. 16 in sede di composizione negoziata e con gli obblighi gestori degli amministratori nella stessa occasione ai sensi dell’art. 21.
L’obbligo generale di buona fede e correttezza riguarda ora l’accesso ai quadri di ristrutturazione preventiva ed i relativi procedimenti nonché la fase delle trattative, anche se il legislatore ha soppresso l’inciso “che li precedono” che era contenuto nella versione originaria dell’art. 4, comma 1, del codice. Tale soppressione ha però il significato di riferire l’obbligo di buona fede a tutte le trattative con i creditori sia in pendenza di procedura che anteriormente, fatte salve le norme specifiche che riguardano la composizione negoziata.
Per il resto il testo dell’art. 4 non reca novità sostanziali, al di là di modifiche rese necessarie dall’adeguamento al diverso linguaggio del legislatore che fa riferimento ai quadri di ristrutturazione. Spicca invece la nuova disciplina contenuta nel comma 3 dell’art. 4 che prevede una speciale procedura di consultazione sindacale a carico del datore di lavoro che occupi più di 15 dipendenti, prima della predisposizione del piano nell’ambito di un quadro di ristrutturazione preventiva nel caso di rilevanti determinazioni che incidano sul rapporto di lavoro di una pluralità di lavoratori anche soltanto per quanto riguarda le modalità di organizzazione del lavoro o le modalità di svolgimento delle prestazioni. Si tratta di un indubbio appesantimento degli adempimenti, reso necessario dall’adeguamento alla disciplina lavoristica dell’Unione europea.
Come si è detto, l’art. 4 dello schema di d.lgs. fa salvo il contenuto dell’art. 16 che ripropone la disciplina dei doveri delle parti già contenuta nell’art. 4 del d.l. 118 nel caso di accesso alla composizione negoziata. I commi 4 e seguenti della norma sono stati riportati nei commi quattro e seguenti dell’art. 16 senza modificazioni eccezion fatta per l’inserimento anche qui nel comma 8, della speciale procedura sindacale di cui s’è già detto, che è prevista con le medesime caratteristiche a carico del datore di lavoro quando nel corso della composizione negoziata siano assunte, anche solo per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro o le modalità di svolgimento delle prestazioni, rilevanti determinazioni che incidono sui rapporti di lavoro di una pluralità di lavoratori.
Va sottolineato che vi sono differenze nella disciplina degli obblighi a carico dell’imprenditore nel caso della composizione negoziata e secondo i principi generali dettati dall’art. 4 che si riferiscono all’accesso ai quadri di ristrutturazione preventiva. Invero l’art. 16 fa obbligo all’imprenditore che accede alla composizione negoziata di gestire il patrimonio e l’impresa senza pregiudicare ingiustamente gli interessi dei creditori. Tale obbligo è ripreso dall’art. 21 (già art. 9 d.l. 118) che individua gli obblighi dell’imprenditore nella composizione negoziata prevedendo che in caso di crisi egli debba gestire in modo da evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell’attività e che in caso di insolvenza, purché reversibile, debba invece seguire il prevalente interesse dei creditori.
L’art. 4 dello schema di d.gls. prevede invece che nei quadri di ristrutturazione preventiva l’imprenditore debba gestire il patrimonio e l’impresa nell’interesse prioritario dei creditori, anche quando vi sia uno stato di crisi e non di insolvenza. La differenza di linguaggio non è certo casuale e dipende ragionevolmente dal fatto che nel caso dei quadri di ristrutturazione si apre una procedura che ha caratteri di concorsualità anche se ampiamente differenziati e comporta in misura maggiore o minore un controllo sull’attività dell’imprenditore, se non uno spossessamento attenuato.
Certamente peraltro sarà opportuno in futuro riflettere sulle scelte fatte dal legislatore anche perché l’interesse prioritario dei creditori va valutato con riferimento alle caratteristiche specifiche di ogni procedura ed anche alla scelta fatta dal legislatore con lo schema di d.lgs. di attuare la previsione della Direttiva 1023/2019 in ordine alla relative priority rule, che incide sul regime dettato dagli artt. 2740 – 2741 c.c.
La comparazione tra gli artt. 4 dello schema di d.gls. e 16 mostra ancora una differenza rilevante tra gli obblighi a carico delle parti nei quadri di ristrutturazione e nella composizione negoziata. Soltanto nel secondo caso, infatti, sorge l’obbligo a carico delle banche, degli intermediari finanziari, dei mandatari e cessionari dei loro crediti di partecipare alle trattative in modo attivo ed informato. Soltanto nel caso della composizione negoziata è previsto l’obbligo delle parti di dar riscontro alle proposte e richieste che ricevono con risposta tempestiva e motivata. 
Queste regole non sono state estese al comportamento delle parti durante i quadri di ristrutturazione ed alle relative trattative. La mancata estensione non appare ragionevole se si considera ad esempio la fase delle trattative dopo che l’imprenditore ha presentato domanda di accesso ad un quadro di ristrutturazione con riserva di presentazione della proposta e del piano.
6 . Ruolo dell’esperto ed adempimenti del debitore al momento della presentazione della domanda di composizione negoziata
6.1. Lo schema di d.lgs. ribadisce, con norma che pare diretta a fugare possibili interpretazioni di segno opposto, che il ruolo dell’esperto è diverso da quello dell’attestatore (art. 16, comma 2) e si aggiunge che l’esperto deve verificare la coerenza complessiva delle informazioni fornite dall’imprenditore chiedendo al medesimo ed ai creditori tutte le ulteriori informazioni utili o necessarie.
Per il resto la disciplina dei requisiti di indipendenza e dei doveri dell’esperto non muta rispetto a quanto già previsto dall’art. 4 del d.l. 118. 
L’art. 13 dello schema tuttavia differisce sotto qualche aspetto dall’art. 3 del d.l. 118 per quanto concerne la nomina dell’esperto perché è ora previsto che gli ordini professionali non soltanto verifichino la completezza della domanda e della documentazione ai fini dell’iscrizione del professionista nell’elenco degli esperti, ma che valutino la domanda stessa, con un sindacato che pare estendersi alla sussistenza dei requisiti di legge. Si prevede inoltre per evidenti esigenze di uniformità che la comunicazione alla camera di commercio avvenga da parte degli ordini professionali unitamente ad una scheda sintetica contenente le informazioni utili all’individuazione del profilo dell’esperto, sulla base di un modello uniforme predisposto dal Ministero della Giustizia. 
Vi sono stati, com’è noto, anche mutamenti che riguardano la composizione della commissione che deve nominare gli esperti dopo la domanda di composizione negoziata. Si prevedono due componenti per ogni categoria di appartenenti alla commissione, uno effettivo ed uno supplente, a garantire una maggior efficienza e tempestività nelle nomine. Si aggiunge ancora che in caso di incompletezza della istanza di nomina o della documentazione il segretario generale della camera di commercio inviti l’imprenditore ad integrarle e che, decorso invano il termine di trenta giorni, l’istanza non venga esaminata e possa essere riproposta. La commissione provvede alla nomina in base alla scheda sintetica esaminando ove occorra il curriculum vitae allegato.
Si aggiunge che la commissione provvede dopo aver esaminato il regolare deposito dell’istanza, il che consente di non provvedere alla nomina ove difettino i requisiti formali, anche relativamente agli allegati che debbono essere presentati ai sensi dell’art. 17. 
Si è anche previsto che gli elenchi con i nominativi degli esperti siano pubblicati sul sito Internet delle Camere di commercio.

6.2. L’art. 17, comma 3, richiede che l’imprenditore presenti oltre a tutta l’ulteriore documentazione già prevista dall’art. 5 del d.l. 118/21 un progetto di piano di risanamento redatto secondo le indicazioni della lista di controllo prevista dall’art. 13, comma 2, già art. 3, comma 2, d.l. 118/21. La norma già prevedeva che la lista di controllo deve contenere indicazioni operative per la redazione del piano di risanamento. In pratica occorrerà far riferimento soprattutto alle indicazioni contenute nel decreto dirigenziale già emanato dal Ministero della Giustizia in attuazione del dl 118/21 che non dovrà essere aggiornato perché il testo di schema di d.lgs. non prevede nessun aggiornamento e fa anzi riferimento al decreto già emanato. 
La necessità del progetto di piano di risanamento (non ancora il piano, ma un progetto di piano) rende meno rapido l’accesso alla composizione negoziata anche quando sia urgente l’esigenza di beneficiare delle misure protettive. Ciò aumenta i costi perché l’imprenditore dovrà munirsi di consulenti adeguati, ma nello stesso tempo facilita il lavoro dell’esperto ed assicura un più adeguato livello tecnico della proposta di ristrutturazione. 

6.3. L’art. 17, comma 9, prevede che l’archiviazione dell’istanza possa essere chiesta dall’esperto con le modalità previste per la presentazione dell’istanza di accesso alla composizione negoziata. In questo caso il termine per la presentazione di una nuova istanza, normalmente di dodici mesi, si riduce a 4. Ne deriva che in questo modo l’imprenditore può liberarsi di un esperto con cui i rapporti si stiano evolvendo in termini negativi per tentare una composizione fuori dalla composizione negoziata ovvero per attendere il termine e chiedere la nomina di un nuovo esperto, maggiormente compatibile con le sue esigenze.
La legge non dice se la Commissione in questo caso possa / debba nominare lo stesso professionista già in precedenza nominato, proprio per evitare che l’imprenditore possa liberarsi di un soggetto sgradito.
7 . La disciplina delle misure protettive
Il legislatore nello schema di d.lgs. non ha modificato l’impianto sostanziale della disciplina delle misure, ma ha effettuato numerose puntualizzazioni.

7.1. Al primo comma dell’art. 18 dello schema il divieto per i creditori di acquisire diritti di prelazione, se non concordati con l’imprenditore e di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari è limitato ai creditori “interessati”. Questa precisazione è conseguenza di un diverso linguaggio adottato dal legislatore nel definire i soggetti nei cui confronti le misure protettive producono effetti. L’art. 18, comma 5, infatti nel confermare la disciplina dell’art. 6 d.l. 118 che vietava ai creditori di rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti, risolverli, anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore per il solo fatto della richiesta delle misure, precisa che ciò non riguarda più i creditori “interessati”, ma i creditori “nei cui confronti operano le misure”, che possono essere tutti i creditori anteriori, ma possono essere anche una parte soltanto di essi, posto che il legislatore ora prevede che il debitore possa limitare la richiesta delle misure ad alcuni creditori o categorie di creditori soltanto. Al terzo comma dell’art. 18 si è aggiunto, infatti, che l’imprenditore può chiedere che l’applicazione delle misure protettive sia limitata a determinate iniziative intraprese dai creditori a tutela dei propri diritti o a determinati creditori o categorie di creditori.

7.2. Degna di nota è la modifica che il quarto comma dell’art. 18 introduce al divieto di far luogo alla pronuncia della liquidazione giudiziale, già fallimento, in pendenza delle misure protettive perché fa salvo il caso che il tribunale disponga la revoca delle misure stesse. Lo scenario quindi ipotizzabile è che il creditore istante per il fallimento chieda la revoca delle misure ai sensi dell’art. 19, comma 6, del d.lgs. e contestualmente la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale. Il legislatore precisa che sono fatte salve le misure cautelari già concesse ai sensi dell’art. 54, primo comma, del codice che non vengono meno per effetto della revoca delle misure protettive. Si tratta delle misure concesse nell’ambito del procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale, del concordato preventivo, di omologazione degli accordi di ristrutturazione e del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, procedimento di nuovo conio introdotto dallo schema di decreto legislativo nell’ambito dell’adeguamento della disciplina alla Direttiva UE 1023/2019. I provvedimenti cautelari in questione sono quelli, come recita l’art. 54, che appaiono più idonei ad assicurare provvisoriamente l’attuazione delle sentenze di omologazione dei quadri di ristrutturazione preventiva e di apertura delle procedure di insolvenza. 
Questi provvedimenti pertanto si conservano perché lo stesso art. 54, comma 1, prevede che essi possono essere concessi anche dopo la pubblicazione dell’istanza di concessione delle misure protettive relative alla composizione negoziata, tenuto conto delle misure già concesse e confermate ai sensi dell’art. 19. Sembra quindi di poter intendere che si tratterebbe di provvedimenti cautelari legati alla pendenza di procedimenti per l’apertura di un quadro di ristrutturazione o della liquidazione giudiziale che si aprirebbero dopo la conclusione della composizione negoziata e si salderebbero con le misure protettive o i provvedimenti cautelari già concessi in pendenza della composizione negoziata medesima. Dalla lettera dell’art. 19, quarto comma, sembra potersi ricavare che potrebbero sopravvivere alla revoca delle misure protettive e cautelari legate alla composizione negoziata quei provvedimenti cautelari che siano stati in precedenza concessi a seguito della proposizione di un’istanza di liquidazione giudiziale, poi non proseguita per la pendenza della composizione negoziata.
In realtà dall’art. 17, comma 3, lett. d), che ha ripreso l’omologo comma 3, lett. d) dell’art. 5 del d.l. 118/21, risulta che l’imprenditore deve allegare alla domanda di accesso alla composizione negoziata una dichiarazione in cui attesta di non aver in precedenza presentato domanda di accesso alla liquidazione giudiziale ed ai quadri di ristrutturazione preventiva, anche nelle forme della domanda con riserva, oltre che domanda di concessione delle misure protettive e cautelari in vista della presentazione della domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione. E l’art. 25 quinquies dello schema di d.lgs., riprendendo l’art. 23 del d.l. 118 ribadisce che l’istanza di composizione negoziata non può essere presentata in pendenza di una domanda presentata ai sensi degli artt. 40, 54 comma 3 e 74 del codice, vale a dire di concordato preventivo, omologa di accordo di ristrutturazione, concordato minore, anche nelle forme con riserva ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. a). Aggiunge poi che l’istanza non può essere presentata nei quattro mesi dalla rinuncia ad una domanda relativa a tali procedure.
La scelta di accedere al concordato preventivo, alla nuova procedura regolata dall’art. 64 bis dello schema di d.lgs. (il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, introdotto dal legislatore per meglio adeguare la nostra normativa alla disciplina della Direttiva 1023/2019), agli accordi di ristrutturazione o al concordato minore preclude l’accesso alla composizione negoziata. Analoga preclusione deriva dall’accesso alle forme di procedura con riserva disciplinate dall’art. 44, comma 1, dello schema, ed alle misure protettive in vista della presentazione della domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione, ai sensi dell’art. 54, comma 3, dello schema.
Il legislatore ha dunque confermato il principio già affermato dall’art. 23 del d.l. 118 meglio individuando il complesso di procedure, in parte con riserva ed in parte mere misure protettive o cautelari, che determinano l’effetto preclusivo.
Da queste premesse sembra possa ricavarsi che le misure cautelari che possono essere già state concesse prima dell’accesso alle misure protettive e cautelari proprie della composizione negoziata e che possono sopravvivere alla loro revoca ai sensi dell’art. 18, quarto comma, dello schema di d.gls., riguardano le istanze di liquidazione giudiziale che siano già state proposte nei confronti dell’imprenditore.
 
7.3. Innovativa è anche la norma che nell’ambito della disciplina delle misure protettive relative alla composizione negoziata prevede (art. 19, co. 5) che non può essere concessa la proroga della durata di tali misure se il centro degli interessi principali dell’impresa è stato trasferito da un altro Stato membro nei tre mesi precedenti la formulazione della domanda di accesso alle misure ai sensi dell’art. 18, comma 1. Tale norma costituisce applicazione dell’art. 6, par. 8, secondo periodo, della Direttiva. La norma unionale tuttavia ha contenuto diverso e più ampio. Essa s’inserisce nella disciplina dei limiti della proroga della sospensione delle misure protettive e prevede che, in deroga al generale limite di dodici mesi della durata complessiva della sospensione, essa non possa essere superiore a quattro mesi se lo Stato membro ha deciso di dare attuazione alla Direttiva per quanto concerne i quadri di ristrutturazione tramite misure o procedure che sono al di fuori del riconoscimento reciproco in base al Regolamento 2015/848 e non sono pertanto previste dall’Allegato A, quando il COMI del debitore sia stato trasferito da altro Stato membro nei tre mesi anteriori alla richiesta di apertura della procedura di ristrutturazione preventiva. 
La norma unionale, cioè, mira ad evitare il forum shopping da altro Stato membro diretto ad avvalersi di una procedura di ristrutturazione che non è riconosciuta ai sensi del Regolamento 2015/848. 
Tornando ora all’art. 19, co. 5 dello schema di decreto legislativo, il legislatore ritiene che poiché la composizione negoziata non è una procedura e pertanto non è certamente riconoscibile in un altro Stato membro ai sensi del Regolamento 2015/848, in cui comunque non è menzionata, debba trovare applicazione l’art. 6, par. 8, della Direttiva. Invece di regolare la proroga della misura, il legislatore ha tuttavia preferito vietarla tout court. 
In questo modo peraltro il legislatore ha anche espresso un autorevole avviso in ordine alla possibilità, in questo momento oggetto di discussione in dottrina, se, fermo restando che la composizione negoziata non è una procedura e non può rientrare nell’ambito della previsione del Regolamento 2015/848, si possa sostenere che le misure protettive concesse nel suo ambito, che hanno carattere pubblico, possano costituire una misura preliminare in vista del successivo accesso ad una procedura rientrante nell’Allegato A, come tale in tesi idonea a radicare la giurisdizione del giudice italiano in prevenzione rispetto al giudice di un altro ordinamento[1].

7.4. Anche la disciplina propriamente detta delle misure subisce delle modifiche. Coerentemente con la modifica della documentazione di accesso alla composizione negoziata che, come si è visto, deve ora comprendere anche un progetto di piano di ristrutturazione, anche i documenti da allegare all’istanza relativa alle misure comprendono ora un progetto di piano di risanamento redatto secondo le indicazioni della lista di controllo. 
Viene definito in termini più rigorosi il ruolo dell’esperto nel corso del procedimento relativo alle misure davanti al tribunale perché l’art. 19, co. 4, precisa ora che l’esperto è “chiamato (dal tribunale) ad esprimere il proprio parere sulla funzionalità delle misure richieste ad assicurare il buon esito delle trattative”. Si precisa inoltre che il tribunale può assumere informazioni dai creditori indicati al comma 2, lett. c) dello stesso art. 19, vale a dire dai creditori che figurano nell’elenco redatto dall’imprenditore. Non è da ritenere che le informazioni possano essere richieste soltanto ai primi dieci creditori per ammontare del credito che debbono essere separatamente indicati perché la norma fa riferimento non a questi creditori, ma a tutti i creditori di cui al comma 2 lett. c).
Si precisa con maggior rigore e completezza che la revoca delle misure può essere disposta dal tribunale anche a seguito dell’archiviazione della composizione negoziata sia su segnalazione dell’esperto che di rinuncia dell’imprenditore. L’espressione utilizzata dal legislatore nel comma 6 dell’art. 19 sembra consentire oltre che la revoca a seguito dell’archiviazione, anche l’abbreviazione della durata, ipotesi questa che tuttavia pare conciliabile con la lettera, ma non con la ratio della disciplina di legge.
Infine l’art. 19, comma 7, precisa quanto al rito, regolato come nel d.l. 118/21, dagli artt. 669 bis e ss. c.p.c., che non trovano applicazione gli artt. 669 octies, primo comma, e 669 novies, primo comma, perché in questo caso non occorre promuovere il giudizio di merito pena venir meno dell’efficacia del provvedimento cautelare. Le misure protettive e cautelari collegate alla composizione negoziata vengono in ogni caso meno con l’archiviazione a seguito della relazione finale dell’esperto o della rinuncia dell’imprenditore, mentre possono mantenere i loro effetti, come si è visto, i provvedimenti cautelari già concessi in relazione alle istanze di liquidazione giudiziale che siano già state presentate nelle more della composizione negoziata. 
Il legislatore è intervenuto anche sulla disciplina della sospensione degli effetti del verificarsi di una causa di scioglimento della società per perdita del capitale sociale e della disciplina dettata dagli artt. 2446, 2447, 2482 bis, 2482 ter c.c. La sospensione mantiene la sua caratteristica di effetto che segue all’autodichiarazione da parte dell’imprenditore al momento dell’accesso alla composizione negoziata. La disciplina dell’art. 20, comma 1, dello schema di decreto legislativo è del tutto identica a quella del primo comma dell’art. 8 del d.l. 118/21. E’ stato però aggiunto un secondo comma che precisa opportunamente che se l’imprenditore ha chiesto anche le misure protettive del patrimonio ai sensi degli artt. 18-19 dello schema, con la pubblicazione sul registro delle imprese del provvedimento del tribunale che dichiara l’inefficacia delle misure richieste o ne dispone la revoca, viene meno anche la sospensione degli obblighi e delle cause di scioglimento.
8 . Gestione dell’impresa in pendenza delle trattative e autorizzazioni del Tribunale. Conclusioni delle trattative
8.1. Anche in questo caso il legislatore ha conservato sostanzialmente la disciplina dettata in sede di composizione negoziata dagli artt. 9 e 10 del d.l. 118/21. Qualche significativa modifica riguarda il regime delle autorizzazioni.
Per quanto concerne la cessione d’azienda che, si ricorda, va autorizzata dal tribunale perché l’acquirente possa non rispondere dei debiti pregressi in deroga all’art. 2560, comma 2, c.c., si precisa che con il provvedimento autorizzativo il tribunale deve rispettare anche il principio di competitività nella selezione dell’acquirente. Si tratta di un requisito che era implicito anche nella precedente disciplina che già prevedeva che il tribunale dettasse le misure ritenute opportune. Poiché in questo caso il prezzo si sostituisce alla garanzia patrimoniale rappresentata per i creditori dall’azienda ceduta, è evidente che la sua determinazione deve avvenire nel rispetto dei criteri che assicurano il massimo realizzo. Si tratterà poi di vedere in concreto come si orienterà la giurisprudenza nel valutare il comportamento dell’imprenditore, richiedendo in ogni caso la gara o accontentandosi di adempimenti meno severi.

8.2. E’ stata riscritta la disciplina dell’autorizzazione alla rinegoziazione dei contratti ad esecuzione continuata o periodica in caso di eccessiva onerosità della prestazione o comunque di alterazione dell’equilibrio del rapporto per cause sopravvenute. L’art. 10, comma 2, del d.l. 118/21 prevedeva che, fallito il tentativo dell’esperto di addivenire ad un accordo delle parti per la rideterminazione del contenuto del contratto (intervento limitato però ai casi in cui l’alterazione dell’equilibrio contrattuale era il risultato della pandemia), il tribunale potesse intervenire autoritativamente se necessario per ripristinare la continuità aziendale, disponendo anche un indennizzo a favore della parte in bonis
Ora l’art. 22, comma 2, dello schema di d.lgs. non contiene più questa possibilità di intervento del tribunale, ritenuta evidentemente norma speciale giustificata soltanto dalla crisi pandemica. L’intervento dell’esperto viene invece mantenuto, ma sul piano esclusivamente negoziale. Per contro l’intervento non è più legato alla pandemia. Si citano infatti l’eccessiva onerosità della prestazione o l’alterazione dell’equilibrio del rapporto per circostanze sopravvenute. La norma, certamente meno efficace in assenza di un intervento autoritativo del giudice, afferma tuttavia che “le parti sono tenute a collaborare tra loro per rideterminare il contenuto del contratto o adeguare le prestazioni alle mutate condizioni”. L’invito dell’esperto riguarda gli obblighi delle parti secondo buona fede per cui la violazione può comportare una responsabilità di carattere risarcitorio, che non pare possa travolgere, allo stato, il contenuto del contratto originario. 
Ancora con riferimento al regime delle autorizzazioni del tribunale va segnalato che 
l’art. 24 dello schema di d.lgs. è stato adattato rispetto all’originario testo dell’art. 12 del d.l. 118/21 per dire che gli atti autorizzati mantengono i loro effetti non soltanto nel caso di concordato preventivo o accordi di ristrutturazione omologati, di liquidazione giudiziale ( il d.l. 118 faceva ovviamente ancora riferimento al fallimento), l.c.a, amministrazione straordinaria e concordato semplificato, ma anche nel caso di piano di ristrutturazione ex art. 64 bis, dello schema di d.lgs. omologato. Si tratta della nuova procedura inserita nel nostro ordinamento in attuazione della Direttiva UE 1023/2019 per il caso di piano che abbia riportato l’approvazione di tutte le classi senza quindi rientrare nella disciplina del concordato preventivo in senso proprio.

8.3. La disciplina dell’esito delle trattative a seguito della composizione negoziata non subisce rilevanti modifiche. L’art. 23 dello schema di d.lgs. riprende in grandissima parte l’art. 11 del d.l. 118/21. Tuttavia qualche ritocco è stato apportato.
Al primo comma tra le ipotesi di successo delle trattative la previsione dell’accordo sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori e dall’esperto che produce gli effetti del piano attestato, e quindi l’esenzione da revocatoria ai sensi dell’art. 166, comma 3, lett. d) CCII e da responsabilità penale ex art. 324 CCII, non reca più l’indicazione che non occorre l’attestazione prevista dall’art. 166, comma 3, citato. Non pare tuttavia che tale onere di attestazione sia ripristinato perché la lett. c) del comma 1 dell’art. 23 reca ora l’indicazione che “con la sottoscrizione dell’accordo l’esperto dà atto che il piano di risanamento appare coerente con la regolazione della crisi o dell’insolvenza”. Anche in questo caso la precisazione appare quasi superflua perché sia l’art. 11, primo comma, in apertura ed ora l’art. 23 condizionano le tre ipotesi di esito positivo al fatto che sia individuata una soluzione idonea al superamento della situazione di pericolo di crisi o di insolvenza che costituisce il presupposto di accesso alla composizione negoziata (ora ai sensi dell’art. 12, comma 1, schema d.lgs.). In ogni caso rimane escluso che si possa ritenere che l’esperto debba svolgere le funzioni di attestatore posto che l’art. 16 dello schema afferma espressamente che l’esperto non è equiparabile al professionista indipendente di cui all’art. 2, comma 1, lett. o) CCII, che deve attestare il piano ai sensi dell’art. 56, comma 3, CCII. 
E’ appena il caso di aggiungere che il legislatore ha mutato il testo della lettera c) del comma 3 dell’art. 23 rispetto al testo già recato dall’art. 11 del d.l. 118/21 semplicemente per affermare che la possibilità dell’imprenditore di accedere, in caso di esito negativo della composizione negoziata, a qualunque procedura, riguarda ora, essendo mutato il linguaggio del codice, i quadri di ristrutturazione preventiva e le procedure di insolvenza disciplinate dal codice, oltre all’amministrazione straordinaria che non fa parte della riforma organica ed è quindi menzionata separatamente.
9 . Conclusioni delle trattative nel caso di gruppi di imprese
Anche la disciplina della composizione negoziata dei gruppi di imprese non subisce troppe modifiche dallo schema di d.lgs. 
Il primo comma dell’art. 13 del d.l. 118/21 non è ripreso dall’art. 25 dello schema perché la definizione di gruppo sta ovviamente nell’art. 2, comma 1, lett. h). A tale proposito lo schema di d.lgs. riprende la definizione di gruppo che era già stata inserita nel primo comma dell’art. 13 del d.l. 118 e che già corrispondeva per molti versi al testo della definizione originariamente inserita nel codice della crisi come modificata dal decreto correttivo 147/2020. Rispetto a tale ultima definizione con il d.l. 118 si era abbandonata la precisazione, tutto sommato pleonastica, che la direzione e coordinamento derivassero da un vincolo partecipativo o da un contratto. La definizione contenuta nel d.l. 118 precisava anche, opportunamente, che la presunzione di sussistenza della direzione e coordinamento si applicasse, nei casi previsti, alle “società del gruppo” e non quindi alle imprese ed enti che del gruppo possono far parte, per la sola ragione che le ipotesi presuntive si riferiscono ad ipotesi di consolidamento o di esercizio del controllo diretto o indiretto su società. 
Per via dello spostamento della definizione di gruppo nell’art. 2 del codice nell’art. 25 dello schema i commi dell’art. 13 del d.l. 118 sono ora slittati nella numerazione.
Il nuovo primo comma reca la rilevante modificazione rispetto all’art. 13, comma 2, che il requisito della territorialità in Italia delle imprese del gruppo non è più riferito alla sede legale, ma al COMI, in coerenza con l’impianto generale del codice della crisi e della legislazione europea che radicano giurisdizione e competenza con riferimento a tale istituto e non all’ormai superata nozione di sede. Questo mutamento di linguaggio non aveva potuto essere inserito nel d.l. 118 perché si trattava di disciplina destinata ad essere applicata nella vigenza della legge fallimentare del 1942, che non era stata ancora aggiornata sul punto. 
Di conseguenza la domanda di accesso alla composizione negoziata di gruppo va presentata non più alla Camera di commercio presso la quale è iscritta la società od ente avente sede nel territorio dello Stato che in base alla pubblicità prevista dall’art. 2497 bis c.c. esercita la direzione e coordinamento, ma che ha il COMI nel territorio dello Stato. La presenza della sede legale in Italia, ma non del COMI, non consentirà l’accesso alla composizione negoziata. Lo stesso avviene se occorre far riferimento al criterio suppletivo della maggior esposizione debitoria tra le imprese del gruppo perché anche in questo caso la comparazione riguarda soltanto le imprese che hanno il COMI nel territorio dello Stato.
Le altre modifiche dell’art. 25 rispetto all’art. 13 del d.l. 118 sono soltanto di wording. Merita soffermarsi, molto brevemente, soltanto su due di esse. Al comma 5 si ribadisce che l’esperto può svolgere le trattative in modo unitario per tutte le imprese che hanno presentato la domanda di composizione negoziata di gruppo, salvo che lo svolgimento congiunto non renda eccessivamente gravose le trattative stesse. In questo caso secondo l’art. 13 l’esperto poteva decidere che le trattative potessero svolgersi per singole imprese. In base a tale formulazione poteva ritenersi che gli esperti nominati per le singole imprese operassero autonomamente. Ora l’art. 25, comma 5, più opportunamente recita che l’esperto “può svolgere le trattative per singole imprese”. Rimane quindi la gestione accentrata ancorché non congiunta.
Anche il comma 9 dell’art. 25, senza modificare nella sostanza la disciplina dell’art. 13, ultimo comma, d.l. 118, precisa che al termine delle trattative le imprese del gruppo possono stipulare in via unitaria uno dei contratti, convenzioni o accordi previsti dal primo comma dell’art. 23 ovvero accedere alle altre soluzioni previste dalla norma al secondo e terzo comma. Con una leggera innovazione rispetto alla disciplina dettata dall’art. 13 del d.l. 118 si precisa che tali soluzioni possono essere perseguite “separatamente o in via unitaria”. La ragione sta nel fatto che lo schema di d.lgs. fa riferimento, correttamente, all’intera disciplina del codice della crisi e quindi anche alla disciplina dei gruppi nel codice (artt. 284 e ss. CCII) che non era in vigore quando è stato emanato il d.l. 118. E’ quindi chiaro che tra gli strumenti per la soluzione della crisi o insolvenza di gruppo ci sono ora anche il concordato preventivo, gli accordi di ristrutturazione di gruppo e la liquidazione giudiziale di gruppo.
10 . Misure premiali. Compenso dell’esperto
L’art. 25 bis dello schema di d.lgs. non presenta innovazioni significative rispetto al testo dell’art. 14 del d.l. 118. Dal confronto tra le due norme non emergono cambiamenti della disciplina di legge, ma soltanto la miglior formulazione di alcune norme. Il regime delle misure premiali rimane lo stesso che era stato concepito dal legislatore nell’agosto 2021. Ci si può dolere che non siano stati individuati strumenti più efficaci di quelli presi in considerazione, ma non resta che prenderne atto.
Anche l’art. 25 ter che regola il compenso dell’esperto non presenta modifiche di sorta rispetto al testo dell’art. 16 del d.l. 118.
11 . Imprese sotto soglia
L’art. 25 quater dello schema di d.lgs. poteva offrire l’occasione al legislatore per una rimeditazione della disciplina della composizione negoziata delle imprese sotto soglia perché certamente l’art. 17 del d.l. 118 è norma scritta affrettatamente, che poteva essere migliorata dal punto di vista formale.
La prima precisazione omessa è che la rubrica della norma che fa riferimento alle imprese sotto soglia è errata, perché l’art. 25 quater riguarda tutte le imprese che si trovano nell’ambito della definizione di cui all’art. 2, comma 1, lett. c) del codice che riguarda anche soggetti per i quali non vigono criteri dimensionali, quali ad esempio gli imprenditori agricoli.
Poteva esser chiarito il curioso regime di condominio in virtù del quale l’esperto può essere nominato sia dall’OCC sia dal segretario generale della camera di commercio a seconda della scelta fatta dall’imprenditore di presentare all’uno o all’altro l’istanza di nomina. Il legislatore non ha mutato la disciplina ed il secondo comma è rimasto immutato, anche nel far riferimento alla camera di commercio nel cui ambito territoriale si trova la sede dell’impresa, anziché al COMI. L’ultimo comma della norma chiarisce poi che il compenso è liquidato da colui che ha nominato l’esperto. 
Le novità, non del tutto convincenti, riguardano il quarto comma con la disciplina dell’esito delle trattative, che già nel testo dell’art. 17 del d.l. 118 non era perspicuo.
Il primo comma della nuova norma fonde insieme le ipotesi previste dalle lettere a) e b) dell’art. 17, primo comma, ed aggiunge dell’altro.
La norma prevede che, quando sia individuata una soluzione idonea al superamento dello stato di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza – qui il legislatore ha scelto di non rinviare alla generale definizione dei presupposti di accesso alla composizione negoziata contenuta nell’art. 12, comma 1, dello schema, come ha invece fatto nell’art. 23, forse perché nella imprecisa nozione di imprenditore sotto soglia vengono in esame anche gli imprenditori agricoli – “all’esito delle trattative, le parti possono alternativamente:”
a) concludere un contratto privo di effetti nei confronti di terzi ed idoneo ad assicurare la continuità aziendale. A differenza dell’art. 23, comma 1, lett. a) per le imprese maggiori non si richiede che l’idoneità ad assicurare la continuità aziendale riguardi un periodo non inferiore a due anni;
b) concludere un contratto avente il contenuto di cui all’art. 62 CCII, vale a dire la convenzione di moratoria. Il legislatore ha in tal modo inserito nella disciplina di legge il richiamo della convenzione di moratoria che era già ricompreso tra gli esiti positivi della composizione negoziata per le imprese maggiori, ma non nel caso delle imprese sotto soglia.
c) concludere un accordo sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori e dall’esperto, idoneo a produrre gli effetti di cui all’art. 25 bis, comma 5. La norma nella sua originaria stesura nell’art. 17, comma 4, d.l. 118 era chiara nel riferirsi al piano attestato. Questa chiarezza è venuta meno perché per evidente disguido si è fatto riferimento agli effetti dell’art. 25 bis, comma 5, che regola le misure premiali ed i relativi effetti. E’ ben vero che il comma 5 in parola richiama l’accordo di cui all’art. 23, comma 1, lett. c), cioè il piano attestato cui si voleva far riferimento, ma il rinvio non è a questa disciplina, ma agli effetti del comma 5 dell’art. 25 bis. Che sia questione del piano attestato di risanamento si ricava dall’ulteriore periodo aggiunto al comma 4, lett. a) dove si dispone che con la sottoscrizione dell’accordo l’esperto dà atto che il piano di risanamento appare coerente con la regolazione della crisi o dell’insolvenza, come già previsto per l’esito positivo della composizione negoziata per le imprese maggiori.
Vi è comunque da augurarsi che la norma sia rivista e migliorata.
Alle ipotesi regolate dalla lett. a), che sono tutte ipotesi di contratto, convenzione o accordo con i creditori, sì che si giustifica la formula “all’esito delle trattative le parti possono alternativamente” con cui si apre il comma 4 dell’art. 25 quater, seguono tutti casi in cui è l’imprenditore che in via unilaterale accede ad un tipo di procedura ( il concordato minore, la liquidazione controllata, il concordato semplificato, l’omologazione degli accordi di ristrutturazione se impresa agricola). Per tali ipotesi la formula di apertura del comma 4 “le parti possono alternativamente” ha scarso senso perché non si tratta di iniziativa comune né risulta, diversamente dalla disciplina prevista per le imprese maggiori dall’art. 23, un collegamento tra l’esito delle trattative e l’iniziativa dell’imprenditore di chiedere l’apertura di una procedura. Il testo, come già del resto l’originario art. 17 del d.l. 118, andrebbe rivisto e migliorato.
Venendo ora ad un’analisi più specifica delle diverse ipotesi prese in considerazione dalle restanti lettere del comma 4 dell’art. 25 quater, va osservato che la lettera b) prevede che l’imprenditore sotto soglia possa proporre la domanda di concordato minore ex art. 74 CCII, sostituendo tale procedura all’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 7 legge 3/2012 già indicata dall’art. 17 lett. c) del d.l. 118, in coerenza con la disciplina in materia di sovraindebitamento prevista dal codice della crisi.
La lettera c) fa riferimento alla liquidazione controllata che ha sostituito la liquidazione ex art. 14 ter legge 3/2012 che era richiamata dalla lett. d) dell’art. 17 d.l. 118.
La lettera d) richiama il concordato semplificato, ora disciplinato dall’art. 25 sexies dello schema di d.lgs. Per il resto la norma corrisponde alla lettera e) dell’art. 17 del d.l. 118.
La lettera e) prevede per le sole imprese agricole l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi degli artt. 57, 60 e 61 CCII. La norma è più precisa della lett. c) dell’art. 17 del d.l. 118 che richiamava gli accordi di ristrutturazione senza precisare che soltanto le imprese agricole vi possono accedere, essendo per le altre obbligatorio far riferimento alla disciplina delle imprese minori ora nel codice e prima secondo la legge sul sovraindebitamento.
Questa elencazione, tuttavia, come già quella contenuta nella corrispondente norma dell’art. 17 del d.l. 118 non è felice. L’analogo regime dettato per le imprese maggiori distingue infatti con chiarezza le ipotesi di esito favorevole della composizione negoziata che danno vita alle ipotesi regolate dal primo e secondo comma dell’art. 23, dagli altri casi in cui l’imprenditore è legittimato ad accedere alle procedure di legge, sia i quadri di ristrutturazione che le procedure di insolvenza, ove salvo i casi di procedure concorsuali liquidatorie, permangono gli effetti premiali fiscali. Qui invece il legislatore elenca sia ipotesi di esito positivo che ipotesi di esito negativo, senza mai indicare, come già si è accennato, il necessario collegamento tra l’esito positivo o ritenuto positivo e l’andamento delle trattative, sì che vi è il rischio che l’imprenditore possa beneficiarne indipendentemente da come è stata condotta la composizione negoziata.
Va sottolineato che il legislatore ha ripreso nel comma 6 dell’art. 25 quater il corrispondente comma 6 dell’art. 17 del d.l. 118 in forza del quale “se all’esito delle trattative non è possibile raggiungere l’accordo, l’imprenditore può accedere ad una delle procedure disciplinate dal presente codice”. Tali procedure tuttavia sono già elencate nelle varie lettere del comma 4 dell’art. 25 quater, sì che la confusione causata da una disciplina non ben coordinata e ridondante rischia di aumentare. 
Per il resto l’art. 25 quater riprende senza modifiche la restante parte della disciplina dell’art. 17 del d.l. 118 sì che trovano applicazione, in quanto compatibili, le norme già richiamate dal d.l. 118 relative alla disciplina della composizione negoziata per le imprese maggiori. Il legislatore ha soltanto provveduto a coordinare il rinvio con la nuova numerazione dello schema di d.lgs. Rimane fermo il dovere dell’esperto di comunicare al tribunale l’esito della negoziazione con la previsione che il tribunale dichiara cessati gli effetti delle misure protettive e cautelari concesse.
12 . Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio
Il nuovo istituto introdotto dall’art. 18 del d.l. 118/21 è stato mantenuto dallo schema di d.lgs. con la conseguenza che è ormai chiaro che si tratta di uno strumento destinato ad assumere carattere strutturale nella disciplina dell’insolvenza. Non si tratta pertanto di un mezzo eccezionale per far fronte a situazioni di crisi o insolvenza in pendenza della pandemia, ma di un istituto fortemente innovativo che si affianca alle procedure già esistenti, a condizione però che la soluzione della crisi cui esso pone rimedio affondi le sue radici nelle trattative poste in essere in sede di composizione negoziata.
Il primo comma dell’art. 25 sexies riprende infatti le condizioni in questo senso già previste dall’art. 18, comma 1, del d.l. 118/21 come modificate e precisate dalla legge di conversione.
Per il resto il legislatore ha chiarito che la competenza è del tribunale dove si trova il COMI dell’impresa e non più la sede principale, come prevedeva l’art. 18, comma 2, d.l. 118. La proposta ai creditori va comunicata a mezzo pec se possibile e altrimenti a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento. Il comma 4 dell’art. 18 d.l. 118 non prevedeva la raccomandata ora inserita nel testo del corrispondente quarto comma dell’art. 25 sexies.
Il termine concesso all’ausiliario per la sua relazione è stato aumentato da trenta a quarantacinque giorni per evidenti esigenze operative. 
Degno di nota che l’art. 25 septies preveda ora che quando il piano di liquidazione preveda che il trasferimento dell’azienda debba essere eseguito prima della omologazione del concordato, all’offerta dia esecuzione l’ausiliario. Il testo originario dell’art. 19 del d.l. 118 prevedeva invece che ciò avvenisse quando l’offerta dovesse essere accettata prima dell’omologazione. La norma è in qualche modo più restrittiva anche se è verosimile che in caso di accettazione che debba intervenire prima dell’omologazione, anche l’esecuzione debba aver luogo precedentemente.

Note:

[1] 
Si tratta di questione tecnicamente complessa cui ci si limita ad accennare, riservando eventuali approfondimenti in altra sede.

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