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Saggio

Le mobili frontiere della responsabilità patrimoniale: distribuzione del valore tra creditori e soci nel concordato in continuità secondo la negozialità concorsuale del codice della crisi*

Bruno Inzitari, Professore di Diritto Civile nell’Università Bocconi di Milano

27 Febbraio 2023

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
La responsabilità patrimoniale, un tempo incentrata sulla proprietà e diritti reali, comprende oggi valori patrimoniali espressi dai rapporti obbligatori e contrattuali, nei quali la stessa attività d’impresa si realizza. Il concordato in continuità consente la liberazione di un ulteriore valore. La distribuzione di esso tra creditori e soci avviene attraverso la negoziazione concorsuale, che il debitore intraprende secondo una attività di gestione dell’impresa, volta alla regolazione della crisi o dell’insolvenza.
Riproduzione riservata

Sommario:

1 . La responsabilità e la garanzia patrimoniale: dalla proprietà al diritto delle obbligazioni

2 . Le alterne vicende degli strumenti di governo del concorso dei creditori: l’erosione della par condicio creditorum

3 . L’espansione dei privilegi assottiglia la soddisfazione dei chirografari e per l’insostenibilità dei livelli di soddisfazione richiesti, frena il ricorso al concordato di liquidazione, ormai emarginato come masso erratico tra le procedure di regolazione della crisi

4 . Ascesa e caduta dell’azione revocatoria delle rimesse in conto corrente. Le riforme della legge fallimentare ed il nuovo codice della crisi e dell’insolvenza

5 . Le due tipologie di concordato nel CCII: concordato liquidatorio e concordato in continuità

6 . l generale principio del soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale, contraddittorietà del perdurare dei requisiti di apporto esterno e di soddisfazione minima nel concordato di liquidazione

7 . Superamento del criterio della prevalenza nel concordato in continuità

8 . La verifica di ammissibilità e fattibilità per il concordato di liquidazione e di ritualità della proposta per il concordato in continuità. Valutazione di convenienza del concordato in continuità attraverso l’approvazione da parte di tutte le classi dei creditori

9 . L’obbligatorietà della suddivisione dei creditori in classi nel concordato in continuità

10 . Legittimazione esclusiva degli amministratori all’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società

11 . L’assorbimento dei diritti corporativi e patrimoniali dei soci nel processo di regolazione della crisi della società

12 . La destinazione del valore risultante dalla ristrutturazione: modalità del concorso dei soci e dei creditori

13 . L’approvazione da parte di tutte le classi dei creditori comporta l’omologa del concordato in continuità

14 . Diverse regole distributive del valore di liquidazione e del valore eccedente quello di liquidazione ed autonomia del debitore nel determinare il contenuto della proposta e del piano nella distribuzione del valore e nella graduazione delle classi dei creditori

15 . Relative Priority Rule RPR, limiti della verifica della proposta approvata da tutte le classi dei creditori nel concordato in continuità. Mancata approvazione da parte di una o più classi, richiesta d’omologa del debitore e verifica del tribunale

16 . L’approvazione a maggioranza delle classi, di cui una di creditori prelatizi ammessi al voto. Approvazione solo da parte di una classe che, approvando la proposta, ha accettato il trattamento deteriore previsto nella proposta, conseguente omologa

1 . La responsabilità e la garanzia patrimoniale: dalla proprietà al diritto delle obbligazioni
La responsabilità patrimoniale, nel sistema del diritto delle obbligazioni del codice del 1865, era intesa come elemento costitutivo dell’obbligo del debitore (art. 1948 Chiunque sia obbligato personalmente è tenuto ad adempiere le contratte obbligazioni con tutti i suoi beni mobili e immobili, presenti e futuri). La responsabilità patrimoniale era quindi lo strumento dell’adempimento dell’obbligazione. L’attuazione del rapporto obbligatorio da parte del debitore veniva a realizzarsi mettendo a disposizione del creditore il proprio patrimonio, volontariamente attraverso il pagamento o coattivamente attraverso l’esecuzione forzata.
Questa concezione della responsabilità patrimoniale e lo stretto rapporto con l’obbligazione rimasero radicate fino alle porte del nuovo Codice civile. Ancora il progetto preliminare del 1940 manteneva una stretta connessione tra obbligazione e responsabilità patrimoniale, al punto che alla definizione dell'obbligazione veniva fatta seguire, in stretta connessione, la definizione della responsabilità patrimoniale.
Il codice del 1942 costruisce una sistematica del tutto rinnovata: separa nettamente la disciplina della obbligazione da quella delle responsabilità patrimoniale, realizza significative ed innovative scelte sistematiche e colloca la responsabilità patrimoniale nell’ultimo libro, il libro sesto Della tutela dei diritti, in un ambito del tutto diverso e distante rispetto alla disciplina dell’obbligazione contenuta nel quarto libro.
Il collegamento tra responsabilità patrimoniale ed obbligazione è mediato dalla categoria della garanzia patrimoniale. Questa, nella disciplina del Codice civile ed in quella concorsuale, viene ad assumere una funzione ed un ruolo unificante dei principi e degli istituti, attraverso i quali la responsabilità patrimoniale si realizza. 
La successiva dottrina conferma il rifiuto della concezione della responsabilità patrimoniale, quale strumento dell'adempimento dell'obbligazione, e segna una netta separazione tra l'obbligazione e la responsabilità [1].
Per altri versi l’art. 2740, attraverso lo stretto ed esclusivo riferimento ai beni che compongono il patrimonio del debitore, mantiene pressoché immutata la prospettiva proprietaria della funzione della responsabilità patrimoniale. 
Sono infatti la dimensione del patrimonio e la sua suscettibilità ad essere oggetto di liquidazione, gli elementi che consentono la realizzazione funzionale della garanzia patrimoniale.
L’interesse del creditore alla soddisfazione del credito mediante esecuzione della prestazione dovuta in caso di inadempimento del debitore, si trasforma in interesse del creditore sui beni oggetto del patrimonio del debitore, realizzato con l’esecuzione forzata volta alla soddisfazione del creditore.
Evidente è lo stretto collegamento tra il sesto e il terzo libro del codice civile, vale a dire tra la disciplina della garanzia patrimoniale e quella della proprietà e dei beni. Se da un lato la responsabilità patrimoniale non è più intesa quale strumento dell'adempimento dell'obbligazione, secondo quanto previsto dall'art. 2740, è pur sempre il patrimonio costituito dai beni presenti e futuri del debitore, l'oggetto della responsabilità patrimoniale 
L’evoluzione successiva ha investito la composizione del patrimonio. Accanto ai valori proprietari relativi ai beni mobili e immobili, hanno acquistato importanza nel corso del tempo altre risorse non riconducibili ai diritti reali ma piuttosto alle più diverse dimensioni dei diritti obbligatori, la cui rilevanza e il cui valore arriva spesso a sovrastare quello della proprietà[2]. Al primato della proprietà si è venuta man mano a sostituire il primato del credito, quale fattore determinante dell'attività di qualsiasi operatore economico[3].
Sono i crediti, piuttosto che i beni, gli elementi che compongono una parte sempre più significativa del patrimonio, sino a costituire per le imprese l’oggetto prevalente della responsabilità patrimoniale. Nelle componenti del patrimonio la stessa titolarità delle disponibilità monetarie, una volta regolata dalle categorie del possesso, dei diritti reali, della proprietà, è da tempo assorbita dal diritto delle obbligazioni. La detenzione del danaro, il trasferimento e l’attribuzione delle unità monetarie si realizzano attraverso rapporti contrattuali, governati dalla disciplina delle operazioni bancarie, che trovano attuazione nel conto corrente bancario, nei depositi bancari, nelle aperture di credito, articolati secondo prassi e modelli in costante evoluzione.
L'attività economica è il risultato dell'organizzazione dei più diversi rapporti contrattuali dai quali, attraverso la costruzione di rapporti obbligatori, scaturiscono prodotti o servizi che costituiscono nuovi valori.
L’immobilizzazione di capitali nella proprietà degli strumenti di produzione frena il decollo dell'impresa, ne appesantisce la gestione. I capitali disponibili vengono piuttosto investiti in rapporti obbligatori, che consentono l'utilizzazione di beni e servizi, secondo la finalità e la misura strettamente necessaria per l'esercizio dell'attività economica. 
I beni aziendali vengono tra loro combinati prevalentemente attraverso titoli giuridici di carattere obbligatorio piuttosto che reale. Di qui l'intreccio di rapporti contrattuali obbligatori, volti a consentire la messa a disposizione di risorse esterne all'impresa, attraverso strumenti contrattuali della più diversa natura e in continua evoluzione.
Una gamma sempre più articolata di operazioni creditizie ha fatto tramontare nel tempo la propensione a creare riserve di liquidità monetaria nell'impresa, la cui immobilizzazione può risultare antieconomica. Bloccare nel patrimonio le risorse irrigidisce la gestione e l'iniziativa economica, frena quella flessibilità che è il primo strumento per competere sul mercato.
Un ulteriore modificazione risiede nel fatto che lo stesso credito viene erogato con riferimento a un patrimonio caratterizzato non necessariamente dai beni immobili ma piuttosto da crediti e da rapporti obbligatori. Questo costituisce un tratto caratterizzante della società contemporanea, che ha comportato l’allargamento dell'esercizio del credito per impieghi di consumo da parte di nuovi ceti sociali 
Operazioni economiche di grande portata e diffusione, quale il credito al consumo, la cessione del quinto, vengono erogate a fronte di un patrimonio costituito prevalentemente da redditi futuri. Nello stesso tempo l’accesso al credito da parte dell’impresa si fonda su cessione di crediti attuali o solo potenziali, aperture di credito su c.d. autoliquidante, basate su fatture, ordini, aspettative contrattuali, riserve sugli appalti, crediti futuri verso la clientela[4].
La staticità del patrimonio di un tempo è stata assorbita dal dinamismo del valore delle aspettative di flussi di cassa, dovuti alla continuazione dell'attività produttiva e alle risorse che prospetticamente potranno derivare dalla continuazione dell’attività.
2 . Le alterne vicende degli strumenti di governo del concorso dei creditori: l’erosione della par condicio creditorum
Il principio della par condicio creditorum, che nel concorso dei creditori è stato la proiezione della responsabilità patrimoniale, ha subìto un vistoso ridimensionamento, principalmente per effetto dell’incremento delle fattispecie di nuove cause di prelazione, man mano introdotte dal legislatore.
L’eguale diritto dei creditori ad agire esecutivamente sui beni del debitore che sono la garanzia comune dei suoi creditori, sancito all’art. 1949 del codice civile del 1865, e prima ancora dall’art. 1963 del codice napoletano del 1819[5], era espressione del più ampio principio di uguaglianza di unicità del soggetto diritto e, conseguentemente, del superamento di ogni particolarismo giuridico, retaggio dei passati ordinamenti.
Le limitate deroghe all’eguale diritto dei creditori erano costituite dalle garanzie reali, l’ipoteca ed il pegno, governate dall’’autonomia privata e da un numero assai contenuto di privilegi legali, secondo una disciplina ampia e consolidata, la quale nella funzione di garanzia, proiettava la proprietà, assunta quale categoria centrale del diritto patrimoniale nella tradizione civilistica, 
La disciplina dei privilegi, sensibilmente rivisitata e razionalizzata nel codice del 1942, volta in particolare a dare tutela ai crediti di lavoro e previdenziali[6], prevedeva fattispecie contenute nel numero, nella incidenza ed estensione applicativa. Il concorso dei creditori trovava, pertanto, ancora condizioni che ne consentivano, il rispetto e l’effettiva attuazione.
Nei decenni successivi, la materia dei privilegi viene complessivamente riordinata ed incrementata, nelle fattispecie e nella portata con la legge 29 luglio 1975, n. 426 e successivamente si registrano ulteriori interventi volti ad introdurre nuovi privilegi, come pure ad apportare significative modificazioni agli art. 2751 e seguenti del Codice civile.
L’avvento dell’amministrazione straordinaria con la c.d. legge Prodi, L. n. 95/1979, incide profondamente nel diritto concorsuale, in particolare con l’introduzione di diffuse previsioni della prededuzione[7], fattispecie sino ad allora non prevista nei codici, né nella legge fallimentare,  ed alla quale veniva data una limitata rilevanza processuale, soprattutto in relazione ai crediti sorti nel corso della procedura dell’amministrazione controllata, concordato preventivo e fallimento, in relazione al compenso degli organi della procedura ed alle spese ed oneri della procedura stessa. 
Di qui la crisi della par condicio creditorum, che la dottrina riscontrava non soltanto con riferimento alle procedure volte al risanamento delle grandi imprese ma anche alle procedure concorsuali tradizionali e principalmente al fallimento[8].
Con le nuove misure dell’amministrazione straordinaria vennero ad emergere interessi diversi e talora contrastanti anche con quelli posti alla base della disciplina del codice civile, come pure della legge fallimentare del 1942. L’interesse alla sopravvivenza dell’impresa appariva caratterizzato da connotazioni pubblicistiche, volte a tutelare l’occupazione il mantenimento dei posti di lavoro, anche a scapito degli interessi dei creditori.
A questo si accompagnava una crescente diffusione di nuovi rapporti, spesso ordinati secondo tipi contrattuali provenienti da altri sistemi, quali il leasing, il factoring, pegni speciali, pegno omnibus, pegno rotativo, pegno senza spossessamento, pegno rotativo, patto marciano, clausole di postergazione del credito. Essi comportavano, direttamente o indirettamente, deroghe al sistema del concorso tra i creditori, modificando la destinazione dei beni e dei valori oggetto della garanzia patrimoniale ai creditori. 
Non diverse furono le esperienze di altri paesi, basta pensare alla Sicherungsubereinigung tedesca[9], alla cessione dei crediti a garanzia nel diritto americano, alla gage sans depossession del diritto francese.
Il contesto in cui si è maggiormente sviluppata l’elaborazione e la ricostruzione della concreta disciplina di questi rapporti è stato necessariamente il diritto concorsuale, governato dalla giurisprudenza dei tribunali  fallimentari, chiamati a giudicare la compatibilità di questi rapporti contrattuali d’impresa con i principi, che danno attuazione alla responsabilità patrimoniale, particolarmente in relazione alla sorte dei rapporti contrattuali posti in essere prima della dichiarazione di fallimento o dell’apertura della procedura di concordato[10].
È questo l’ambiente in cui si è venuta a sviluppare una delle più ampie e serrate elaborazioni di diritto delle obbligazioni, che ha plasmato nuovi tipi contrattuali. Significativo è l’esempio del leasing, che nell’ambito concorsuale ha visto realizzarsi la ricostruzione del tipo, la regolazione delle obbligazioni inerenti l’investimento nei beni oggetto del leasing, il riconoscimento e/o restituzione del corrispettivo, secondo una giurisprudenza che ha opportunamente saputo inserire il nuovo modello contrattuale nel nostro sistema del diritto civile dei contratti e delle obbligazioni, che ha consentito di risolvere le ampie e complesse problematiche conseguenti al sopravvenire del fallimento sul leasing in corso, con la disciplina della risoluzione della vendita con riserva di proprietà[11].
Lo stesso è accaduto per l’opponibilità delle cessioni del factoring, per il riconoscimento dell’efficacia e l’opponibilità del pegno rotativo[12].
Il diritto concorsuale è del resto il campo in cui i rapporti contrattuali ed obbligatori subiscono tutte le criticità che la crisi può comportare sull’attività d’impresa, con il verificarsi dell’inadempimento e della risoluzione e quindi dei conseguenti profili di criticità con gli interessi e i diritti dei creditori che partecipano al concorso.
3 . L’espansione dei privilegi assottiglia la soddisfazione dei chirografari e per l’insostenibilità dei livelli di soddisfazione richiesti, frena il ricorso al concordato di liquidazione, ormai emarginato come masso erratico tra le procedure di regolazione della crisi
Una rinnovata attenzione verso i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, si è manifestata nell’ambito delle procedure concorsuali, dove sono divenuti centrali nella elaborazione della giurisprudenza, nell’attenzione del legislatore e nella considerazione della dottrina.
La sostanziale marginalità dell’azione revocatoria ordinaria, talora in passato descritta quale istituto di difficile e marginale applicazione, è stata ribaltata negli ultimi decenni del secolo scorso. La brusca riduzione delle aspettative di soddisfazione dei creditori chirografari, dovuto all’incremento dei privilegi ed al più ampio ricorso a strumenti di segregazione del patrimonio, attraverso forme di garanzia diretta ed indiretta, ha comportato come reazione un esteso ricorso all’azione revocatoria fallimentare, come strumento di attuazione e difesa della garanzia patrimoniale.
Le finalità del recupero e dell’incremento del patrimonio oggetto della responsabilità patrimoniale, ha dato vita a nuove fattispecie costruite attraverso un serrato confronto tra la dottrina e la giurisprudenza, quali la revocatoria delle rimesse in conto corrente, la revocatoria degli atti dispositivi, con la rivisitazione delle categorie della corrispettività e della gratuità.
La finalità recuperatoria di queste azioni, diretta alla ricostruzione della garanzia patrimoniale dei creditori concorsuali ed alla protezione della parità di trattamento dei creditori concorrenti, hanno caratterizzato una elaborazione giurisprudenziale che, per la dimensione e l’approfondimento di principi e categorie di diritto civile, non ha avuto eguali nella tradizione giurisprudenziale del diritto delle obbligazioni. 
Questi profondi cambiamenti del quadro complessivo, nel quale opera il concorso dei creditori, hanno inciso sulla capacità ed efficacia delle procedure concorsuali ad assicurare una ragionevole ed effettiva soddisfazione ai creditori. A farne le spese sono stati i creditori chirografari, in quanto buona parte dell’attivo ricavato dalla liquidazione del patrimonio del debitore viene assorbito prevalentemente dai creditori prelatizi e privilegiati a scapito dei creditori chirografari.
Le conseguenze sono rilevanti: fallimenti con percentuali di soddisfazione sostanzialmente irrisorie per i creditori chirografari e crescenti difficoltà per il debitore di accedere al concordato preventivo. 
Significativi sono stati gli effetti sul concordato preventivo che nella legge fallimentare costituiva l’unica procedura alternativa al fallimento. Sino alle modificazioni della disciplina registrate nel primo decennio del secolo, la proposta di concordato preventivo doveva assicurare ai creditori chirografari la soddisfazione minima del 40 % del credito. Ma una tale percentuale di soddisfazione, per effetto del numero e del peso dei privilegi man mano introdotti nel sistema, è risultata nel tempo un obiettivo sempre più difficile e remoto.
Vanno considerate inoltre altre difficoltà, quale quella originariamente prevista nella legge fallimentare del requisito della meritevolezza del debitore, profilo dai contorni incerti particolarmente insidioso per la sua indeterminatezza, considerato che il debitore almeno nel passato, nella completa assenza di una cultura e tantomeno di una disciplina dell’early warning, solo successivamente introdotta, presentava la domanda di concordato sulla base di una crisi che certamente metteva a dura prova la capacità dell’imprenditore di contrastare e risolvere il dissesto e reagire adeguatamente all’aggravarsi del dissesto.
Va rilevato che le ragioni che hanno indotto il legislatore a ricorrere alla introduzione di nuove cause di prelazione e nuove figure di privilegio, piuttosto che essere dettata dall’effettivo riconoscimento di una causa del credito meritevole di protezione nel concorso dei creditori, risiedevano piuttosto in contingenti necessità di politica economica talora finalizzata ad obiettivi settoriali e contingenti.
L’introduzione di nuovi privilegi ha in concreto svolto la funzione di esaudire le richieste di sostegno e assistenza di categorie di creditori portatori di interessi che il legislatore non era in grado di contrastare. 
Di conseguenza con la creazione di nuove cause di prelazione, di privilegi e della stessa prededuzione, si è verificato il trasferimento sui creditori chirografari dell'onere di interventi di politica economica, preclusi all’intervento pubblico da vincoli di bilancio o da vincoli normativi. 
La conseguenza è stata una generale riduzione delle probabilità di soddisfazione dei crediti chirografari e contemporaneamente l’assottigliarsi delle possibilità per il debitore di accedere a soluzioni concordatarie, Infatti, spettando ai creditori prelatizi l’integrale soddisfazione del credito, l’attivo che poteva residuare, dopo l’assorbimento della prelazione, non consentiva la soddisfazione dei chirografari, se non in percentuali assai contenute, rendendo impossibile la soluzione concordataria.
Va peraltro considerato che, secondo l’interpretazione della disciplina in vigore sino al 2005, alle cause legittime di prelazione veniva attribuita una portata che superava l’effettivo valore dei beni sui quali le stesse insistevano. Si affermava che nel concordato preventivo (e solo nel concordato preventivo ma non nell’esecuzione forzata), i creditori prelatizi avrebbero dovuto essere soddisfatti integralmente, grazie alla prelazione che assisteva il loro credito ed indipendentemente dall’effettivo valore di realizzo del bene oggetto della prelazione. Il debitore concordatario era obbligato quindi ad assicurare la piena soddisfazione all’ipotecario con garanzia su immobili privi di valore oppure ad ipotecari di secondo o terzo grado, privi sin dal momento della iscrizione d’ipoteca di qualsiasi prospettiva di realizzo. Lo stesso diritto veniva riconosciuto ai privilegiati mobiliari, anche in assenza di valori apprezzabili dei beni ed assets aziendali.
Si trattava di una interpretazione erronea ed ingiustificata, contrastante con i principi che regolano il diritto di prelazione che, nonostante le analitiche contestazioni e critiche della dottrina[13], evidentemente riteneva che la soddisfazione integrale anche dei prelatizi incapienti fosse un “prezzo” che il debitore concordatario dovesse pagare per evitare il fallimento e conseguire l’eccezionale beneficio degli effetti esdebitatori del concordato preventivo.
Non a caso la situazione è mutata, quando il concordato ha cessato di essere inteso quale procedura cui poteva eccezionalmente ricorrere l’imprenditore “onesto ma sfortunato” ma piuttosto quale procedura che prescindeva da qualsiasi valutazione di meritevolezza del debitore, al quale comunque era richiesta trasparenza sulle cause della crisi o dell’insolvenza, per consentire ai creditori una complessiva valutazione della proposta. 
Al concordato venne quindi riconosciuta la funzione di risolvere la crisi o l’insolvenza con le risorse di natura proprietaria per il concordato liquidatorio ed anche con le risorse create dall’attività imprenditoriale in quello in continuità, attraverso modalità alternative alla liquidazione fallimentare nel miglior interesse dei creditori. In un tale rinnovato contesto, è risultato insostenibile continuare ad esigere la soddisfazione di crediti prelatizi in tutto o in parte incapienti, a danno degli altri creditori chirografari e dello stesso debitore, oltre che del tutto anacronistico e contraddittorio con lo stesso scopo della procedura.
Il nuovo art. 160 L. fall. così come sostituito dall’art. 2, comma 1, lett. d), del D.Lgs. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con L. 14 maggio 2005, n. 80, ha riportato il trattamento dei creditori prelatizi al diritto comune ed al secondo comma ha stabilito: La proposta può prevedere che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano soddisfatti integralmente, perché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione. L’art. 84, comma 5, del CCII ha chiaramente stabilito in via generale il principio secondo cui i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, possono essere soddisfatti anche non integralmente, purché in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione dei beni e dei diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, specificando chiaramente che la soddisfazione di tali creditori deve avvenire al netto del presumibile ammontare delle spese di procedura inerenti il bene o diritto e della quota parte delle spese generali., e che la quota residua è trattata come credito chirografario.
4 . Ascesa e caduta dell’azione revocatoria delle rimesse in conto corrente. Le riforme della legge fallimentare ed il nuovo codice della crisi e dell’insolvenza
Un’ulteriore significativa modificazione del modello di realizzazione della responsabilità patrimoniale ha riguardato l’azione revocatoria ed in particolare, la revocatoria delle rimesse in conto corrente, la cui applicazione negli ultimi vent’anni del secolo scorso aveva raggiunto dimensioni particolarmente significative e costituiva lo strumento recuperatorio più rilevante azionato dal curatore fallimentare per incrementare la massa attiva e ripristinare la par condicio creditorum[14].
L’insofferenza del settore bancario alla diffusa e penetrante applicazione dello strumento della revocatoria delle rimesse in conto corrente, mai raccolta dal giudice delle leggi, pur chiamato più volte valutarne la compatibilità costituzionale, assunse un significato nettamente politico, che ebbe il suo epilogo con una rilevante modifica delle norme sulla revocatoria dei pagamenti nella legge fallimentare direttamente finalizzato attraverso una radicale modificazione della disciplina della revocatoria dei pagamenti[15], degli atti a titolo oneroso e delle garanzie, giungendo  ad “abrogare” quel diritto giurisprudenziale che certamente è stato il più incisivo strumento di difesa ed incremento della garanzia patrimoniale nell’interesse dei creditori concorrenti[16].
Il brusco ridimensionamento degli strumenti recuperatori ed il peso crescente dei privilegi e della prededuzione hanno favorito la ricerca di nuove modalità di realizzazione della garanzia patrimoniale alternative rispetto alla liquidazione fallimentare, inefficiente ed  antieconomica, perché non soddisfa adeguatamente i creditori, disperde o distrugge i valori aziendali, soffre di tempi di realizzazione di una durata incompatibili con i principi di durata del processo e per questo più volte censurata e sanzionata dall’unione europea.
Di qui i ripetuti e serrati interventi che dal 2005 hanno trasformato la legge fallimentare consentendo al debitore di ricercare la soluzione della crisi ed anche dell’insolvenza, attraverso procedure negoziali finalizzate alla regolazione dei rapporti con i creditori.
L’introduzione di nuovi strumenti quali il piano attestato e l’accordo di ristrutturazione dei debiti, ha reso possibile al debitore di regolare l’esposizione debitoria che contrassegnava la crisi o l’insolvenza con l’accordo dei creditori attraverso la più ampia scelta di modalità negoziali, volte a consentire sia la continuazione dell’attività nell’interesse ei creditori o anche dei creditori, sia la liquidazione ordinata dell’attivo dell’impresa[17].
Nello stesso tempo, per effetto di ripetuti interventi, da ultimo culminati nel Codice della crisi, così come novellato con il D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, che ha dato attuazione alla Direttiva 20 giugno 2019/1023, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva , l’esdebitazione, e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione e che modifica la direttiva (UE) 2017/1132 (direttiva sulla ristrutturazione e sull’insolvenza), la disciplina del nuovo tipo di concordato in continuità ha definitivamente abbandonato la risalente impronta liquidatoria ed è divenuto strumento che regola la crisi e l’insolvenza. Questo attraverso l’assorbimento del passivo incapiente (si potrebbe dire con l’assorbimento delle perdite, nel linguaggio della disciplina europea della crisi bancaria), e l’utilizzazione sia delle risorse generate dalla continuità, sia delle risorse patrimoniali ma anch’esse finalizzate alla continuità piuttosto che alla liquidazione, secondo modalità che richiedono il consenso di tutte le classi dei creditori per la regolazione della crisi.  
5 . Le due tipologie di concordato nel CCII: concordato liquidatorio e concordato in continuità
La nuova disciplina del concordato preventivo in continuità incide direttamente sulle modalità di realizzazione della responsabilità patrimoniale. L’oggetto della garanzia patrimoniale può risultare sensibilmente spostato dai beni aziendali suscettibili di liquidazione, ai valori derivanti dalla continuazione dell’attività. L’attività dell’impresa, attuata col piano condiviso con i creditori, libera risorse che realizzano la responsabilità patrimoniale. 
La suddivisione dei creditori in classi (secondo posizione giuridica ed interessi economici omogenei, già introdotta nella legge fallimentare L. fall. art. 160, comma 2, lett. c) sin dal 2005), determina le modalità di destinazione delle risorse e i livelli di soddisfazione dei creditori, consentendo il contenimento delle cause legittime di prelazione e in taluni casi anche della graduazione, incidendo quindi sulle possibilità di soddisfazione dei creditori chirografari o di creditori appartenenti a classi meno favorite nella graduazione della prelazione.
Le rilevanti modifiche, apportate dal D.Lgs. n. 83/2022 al CCII della crisi d’impresa e dell’insolvenza, sono accompagnate da una significativa ridefinizione delle funzioni della procedura di concordato, la quale costituisce, non solo storicamente ma anche nel confronto con le altre procedure nel tempo introdotte, una delle più significative procedure concorsuali alternative al fallimento ed ora alla liquidazione giudiziale[18].
La rubrica della Sezione I del Capo III del Concordato preventivo (art. 84 e segg.), che nell’originario testo del CCII conteneva un mero riferimento tecnico ai Presupposti e inizio della procedura, nell’attuale nuova formulazione Finalità del concordato preventivo e tipologie di piano, assume, come tratto qualificante, le finalità con le quali introduce la disciplina del concordato.
Queste non a caso sono indicate al plurale in considerazione della articolazione che la procedura di concordato può assumere a seconda delle possibili tipologie di piano, cui corrispondono i due tipi di concordato. 
La procedura di concordato, originariamente introdotta dalla legge 24 maggio 1903, n. 19, in parte riformata con la legge 10 luglio 1930, n. 995, successivamente disciplinata nella legge fallimentare e ripetutamente novellata dal 2005, è distinta oggi nella disciplina del CCII della crisi, così come rinnovata dal D.Lgs. n. 83/2022, in due tipi di concordato, regolati da discipline profondamente diverse, secondo finalità ed assetti causali molto distanti. 
Per effetto della progressiva evoluzione verificatasi sin dal 2005 e, da ultimo, con il recepimento della Direttiva europea 1023/2019, il concordato presenta una distinta articolazione nel concordato liquidatorio e nel concordato in continuità. Essi sono caratterizzati da discipline che per il tenore e la portata delle rispettive finalità, integrano tipologie di procedimenti funzionalmente e causalmente distinti [19].
La funzione causale nel concordato liquidatorio risiede, i) nella valorizzazione del patrimonio aziendale e delle risorse aggiuntive, imposte dalla legge per l’operatività della liquidazione concordataria (apporto di risorse esterne che incrementino di almeno il 10 per cento l’attivo, art. 84, comma 4) e, ii) nella previsione di tassativi livelli di soddisfazione dei creditori particolarmente elevati (ed in realtà antistorici), del 20 per cento dell’ammontare del credito per i chirografari ed per i privilegiati degradati per incapienza in chirografo.
La causa tipologica del concordato in continuità è assorbita in modo prevalente dalla valorizzazione delle risorse che derivano dalla continuazione dell’attività imprenditoriale e da quelle esistenti nel patrimonio, messe a servizio della continuazione dell’attività.
Il CCII supera il riferimento alla ammissibilità che nella legge fallimentare scandiva l’incipit della domanda di concordato, art. 160 L. fall, con la più generica espressione apertura del concordato preventivo, art. 47. Modifica necessaria e significativa in quanto, a differenza della abrogata legge fallimentare, con il CCII la verifica di ammissibilità è prevista solo per il concordato liquidatorio ma non per il concordato in continuità, per il quale è richiesta la verifica della sola ritualità della domanda[20].
6 . l generale principio del soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale, contraddittorietà del perdurare dei requisiti di apporto esterno e di soddisfazione minima nel concordato di liquidazione
La disciplina del concordato risulta faticosamente distribuita in diversi capi e sezioni del CCII. 
Alla procedura di concordato è specificamente dedicata la Sezione I del Capo III, art. 84 e segg. mentre l’accesso al concordato è in parte disciplinato negli artt. 40 e segg. del procedimento unitario ed in parte nella Sezione VI bis, che è stata inserita dal D.Lgs.17 giugno 2022, n. 83 in attuazione della direttiva 1023/2019[21]. 
In questa nuova Sezione VI bis, l’art. 120 bis regola l’accesso delle società agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza ed anche il trattamento dei soci nelle procedure relative a tali strumenti.
L’art. 84, nell’aprire la sezione I, ribadisce il principio, declinato non solo per il concordato ma in tutti gli strumenti di regolazione della crisi, secondo cui la finalità della procedura è il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale. 
Con il CCII viene definitivamente superato il criterio, introdotto nella passata disciplina fallimentare all’art. 180 L. fall. (sostituito dall’art. 16, comma 2, del D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169), secondo il quale la soddisfazione dei creditori non doveva essere inferiore alle alternative concretamente praticabili, aprendo ad una serie di soluzioni comparative, che lasciavano spazi interpretativi anche opinabili.
Con l’introduzione nel CCII di questo nuovo più chiaro e lineare criterio del soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale, non si richiede che il concordato soddisfi i creditori in misura più elevata rispetto alla liquidazione giudiziale, ma soltanto non inferiore e, quindi, anche nella stessa misura raggiungibile in sede di liquidazione. Questo in qualsiasi tipologia di concordato, sia in caso di continuità aziendale, che di liquidazione del patrimonio, che di attribuzione delle attività ad un assuntore o in qualsiasi altra forma.
Il passaggio è certamente significativo, in quanto se non è richiesto un maggiore livello di soddisfazione rispetto alla liquidazione giudiziale, la finalità risiede nell’interesse dei creditori ad una più efficiente e celere soddisfazione, rispetto alla liquidazione giudiziale, ormai considerata procedura residuale e soprattutto, sul piano complessivo, meno conveniente.
Tale criterio risulta costantemente reiterato nella medesima formulazione nei diversi strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, che a parità di livello di soddisfazione concorrono e prevalgono rispetto alla liquidazione giudiziale. A tale criterio fa riferimento l’art. 62, comma 2, lett. c) sulla convenzione di moratoria; l’art. 64 bis) comma 8, del piano soggetto a ristrutturazione, l’art. 70 comma 9, nell’omologazione del piano nelle procedure di sovraindebitamento, l’art. 80, comma 3, nell’omologazione del concordato minore, comma 8; l’art. 84 commi 1, per il concordato liquidatorio ed in continuità, l’art. 88 comma 1, sul trattamento dei debiti tributari e previdenziali; l’art. 112, comma 3, in relazione all’omologa del concordato in continuità aziendale.
Questo principio orienta l’intera disciplina e trova concreta e significativa applicazione operativa, in caso di opposizione all’omologa del concordato in continuità aziendale, da parte di un creditore dissenziente, anche appartenente ad una classe assenziente. Il difetto di convenienza fatto valere in via d’eccezione dall’opponente, è suscettibile, se accolto, di impedire l’omologa del concordato approvato all’unanimità da tutte le classi, quando secondo la proposta, il credito risulta soddisfatto in misura inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale. Analogamente nel concordato con liquidazione del patrimonio in caso di opposizione da parte di un creditore dissenziente, appartenente ad una classe dissenziente art. 112, comma 5.
Nel concordato in continuità il principio acquista una ulteriore rilevanza, con una disposizione del tutto innovativa in relazione alla tutela assegnata al creditore, che lamenta un eventuale difetto di convenienza. Secondo quanto disposto dall’art. 53 comma 5 bis, al creditore opponente può spettare il solo risarcimento del danno, determinato nella eventuale differenza tra il trattamento che avrebbe potuto conseguire nella liquidazione giudiziale rispetto a quello assegnatogli nel concordato in continuità.
Ben diverso è il discorso per il concordato liquidatorio del quale va considerata la particolare disciplina prevista dall’art. 84, comma 4, il quale richiede, da un lato l’apporto di risorse esterne che incrementino di almeno il 10% l’attivo disponibile al momento della presentazione della domanda e dall’altro che la proposta assicuri il soddisfacimento dei creditori chirografari e dei creditori privilegiati degradati in chirografo in misura non inferiore al 20 % del loro ammontare complessivo. 
Questi ultimi principi si sovrappongono a quello generale dell’art. 84, comma 1, secondo cui è sufficiente che la soddisfazione dei creditori avvenga in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale. Considerata la necessità dell’apporto di risorse esterne, la soglia della soddisfazione dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale, finisce in concreto per essere difficilmente applicabile e piuttosto superata per effetto degli oneri quantitativi imposti al debitore. 
7 . Superamento del criterio della prevalenza nel concordato in continuità
Mentre la procedura di concordato liquidatorio continua ad essere contrassegnata da oneri difficilmente sostenibili per il debitore insolvente, quella di concordato in continuità, per effetto delle modifiche apportate dal D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, è stata liberata dall’osservanza degli obblighi previsti nella originaria versione dell’art. 84, comma 2, che ricadevano sia sul debitore che sul terzo, di mantenimento o riassunzione di un numero di lavoratori pari ad almeno alla metà della media di quelli in forza nei due anni precedenti al deposito del ricorso, come pure dagli obblighi di soddisfare i creditori in misura prevalente col ricavato del prodotto della continuità aziendale, obblighi che risultavano ulteriormente appesantiti da presunzioni collegate al mantenimento di almeno la metà dei lavoratori nei primi due anni.
La disciplina dell’art. 84 è stata completamente rinnovata. La continuità aziendale è divenuto l’elemento fondante, conferendo una significativa flessibilità all’intera procedura. 
Secondo quanto prescritto dal rinnovato art. 84, comma 1, la continuità aziendale è lo strumento attraverso il quale si attua la tutela dell’interesse dei creditori e si realizzano le condizioni attraverso le quali i posti di lavoro possono essere, nella misura possibile, preservati e quindi non più attraverso l’imposizione di rigidi ed il più delle volte inattuabili vincoli quantitativi e temporali[22].
Non si tratta di affermazioni retoriche (come a volte avviene in alcuni testi legislativi), il successivo comma 3, specifica le modalità di realizzazione di tale tutela prevedendo che la proposta di concordato deve prevedere per ciascun creditore un’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile, che può consistere anche nella prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa.
Emerge un quadro di significativa flessibilità, nel quale alla garanzia patrimoniale offerta dal debitore non viene più attribuito il ruolo e la funzione di unico, esclusivo e diretto strumento di realizzazione della responsabilità patrimoniale, che viene realizzata secondo una nuova e più ampia dimensione dell’interesse dei creditori.  È un interesse di segno diverso, in quanto più che ai beni di cui il debitore è proprietario e quindi ai valori statici del patrimonio, è piuttosto indirizzato all’articolato ventaglio di risorse liberate e prodotte dalla continuità. Si tratta di interessi e valori dinamici non riconducibili ai valori patrimoniali tradizionali e che infatti vengono indicati dal legislatore con espressioni che fanno riferimento al vantaggio che deriva dalla attività dell’impresa, primo fra tutti, valore eccedente quello di liquidazione, come pure  utilità specificamente individuate ed economicamente valutabili, che possono consistere anche nella prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa, art. 84 comma 3.
Il primo degli indici di questa rinnovata flessibilità risiede nella espressa previsione dell’art. 84, comma 3, così come formulata con le modifiche apportate dal D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, che, nel definire le modalità di soddisfazione nel concordato in continuità aziendale, stabilisce che i creditori vengono soddisfatti in misura anche non prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta. 
Con questa nuova e chiara disposizione è definitivamente venuta meno la possibilità di ricorrere al cosiddetto criterio di prevalenza per l’applicazione della disciplina dell’uno o dell’altro tipo di concordato.
Nella vigenza della abrogata legge fallimentare, novellata con l’introduzione del concordato in continuità, pur in mancanza di qualsiasi previsione di legge, era stata tentata la costruzione di una ulteriore figura di concordato, da collocare tra il concordato liquidatorio e il concordato di continuità, nel jargon denominato concordato misto. Questa espressione voleva indicare un concordato dal contenuto complesso il cui piano preveda, accanto ad una continuazione della continuità d’impresa, una liquidazione dei beni non funzionali all’esercizio della stessa [23].
Muovendo da queste premesse, come ha osservato in modo critico la Cassazione, taluna giurisprudenza di merito, spinta dalla preoccupazione di evitare abusi del ricorso allo strumento concordatario in continuità, soprattutto successivamente al 2015, e cioè da quando è stata prevista l’esenzione della soglia minima di soddisfazione per i creditori, ha ritenuto di poter governare le proposte di concordato che prevedessero accanto alla continuità anche la liquidazione dei beni dell’impresa, immaginando nuovi e non nominati criteri, che avrebbero dovuto imporre l’individuazione della prevalenza del concordato liquidatorio oppure  in continuità.
Nonostante la giurisprudenza della Cassazione non avesse accolto tali argomentazioni [24] e piuttosto a chiare lettere le avesse escluse, queste avevano avuto accoglimento e talora ulteriore sviluppo nella redazione dell’art. 84 del CCII, che al comma 3, prevedeva nel concordato in continuità aziendale i creditori vengono soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta, ivi compresa la cessione del magazzino. La prevalenza si considera sempre sussistente quando i ricavi attesi dalla continuità per i primi due anni di attuazione del piano derivano da una attività d’impresa alla quale sono addetti almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il momento del deposito del ricorso.
Si trattava di un ulteriore ed anche più ampio sviluppo del criterio della prevalenza, che utilizzava riferimenti in molti contesti ormai non appropriati, quali la forza lavoro impiegata e trovava le sue ragioni nella diffidenza che ha accompagnato l’introduzione del concordato in continuità, talora ritenuta procedura poco ortodossa rispetto alla liquidazione giudiziale, considerata quale archetipo e assorbente modello della procedura concorsuale. 
La prima versione dell’art. 84, comma 3, CCII, imponeva una selezione delle fonti di provenienza delle risorse destinate alla soddisfazione dei creditori, attraverso un rigido collegamento tra la mano d’opera impiegata ed i ricavi attesi dalla continuità, secondo una visione che individuava nel valore proprietario dei beni, degli strumenti di produzione e dimensione della mano d’opera occupata, i fattori funzionali della continuità e della soddisfazione dei creditori[25].
Tutto questo è stato definitivamente superato dal rinnovato testo dell’art. 84 CCII, che non solo ha cancellato il criterio di prevalenza, ma ha espressamente stabilito come irrilevante la proporzione tra l’apporto delle risorse derivanti dalla continuazione dell’attività e quelle ottenute dalla liquidazione, essendo sufficiente che i creditori vengano soddisfatti con le prime anche in misura non prevalente.
Questa disciplina introdotta con l’attuazione della Direttiva Insolvency è del tutto coerente con l’elemento causalmente qualificante e tipologicamente portante il concordato in continuità, che si realizza attraverso la destinazione di tutte le risorse alla continuazione dell’attività, in quanto è prevalentemente con la continuità che possono essere raggiunti i risultati e gli obiettivi previsti nel piano.
È mancato purtroppo un intervento adeguato per il concordato di liquidazione ove il vincolo dell’apporto delle risorse esterne per almeno il 10 per cento dell’attivo disponibile al momento della presentazione della domanda e della soglia minima del 20 per cento di soddisfazione dei chirografari, ha definitivamente reso pressoché impossibile l’accesso ad una tale procedura.
Nel panorama ampio e profondamente rinnovato delle diverse opportunità offerte dal nuovo CCII alla regolazione della crisi e dell’insolvenza, il concordato liquidatorio appare oggi come un masso erratico immobile e grave, del tutto estraneo rispetto agli altri strumenti e procedure che ormai, con diverse modalità, sono diventati i nuovi protagonisti della regolazione della crisi.
Per effetto del mantenimento dei predetti vincoli (dell’apporto esterno e della soglia minima di soddisfazione dei chirografari), come precedentemente rilevato, il livello di soddisfazione richiesto, dovrebbe in concreto risultare più elevato rispetto a quello stabilito al primo comma dell’art. 84, del soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale, confermandosi in questo modo la estraneità e contraddittorietà, anche sistematica, della disciplina del concordato liquidatorio, rispetto ai generali principi che regolano la materia del concordato.
La circostanza che secondo la rinnovata disciplina del concordato in continuità, i creditori possano essere soddisfatti solo in misura non prevalente dai ricavi della continuità aziendale e conseguentemente in misura anche prevalente dai ricavi della liquidazione, comporta un ampliamento della accessibilità rispetto al concordato con liquidazione del patrimonio, art. 84, comma 3. Questo sempre che vi sia la possibilità della continuazione dell’attività, che peraltro risulta più agevole, considerate le ampie possibilità di gestione della continuità, secondo quanto previsto dall’art. 84, comma 1.
Nella determinazione delle modalità di realizzazione del concordato, l’art. 84 ricorre ad una formulazione più sintetica e più chiara, non solo rispetto al precedente art. 160 L. fall., ma anche alla prima versione dell’art. 84 del CCII, precedente alle modifiche apportate con il recepimento della direttiva insolvency.
Il riferimento è concentrato in modo asciutto su un numero contenuto di fattispecie, quali la continuità aziendale, la liquidazione del patrimonio, l’attribuzione delle attività ad un terzo come assuntore, per poi espandere la previsione, ricorrendo all’espressione “in qualsiasi altra forma”, verso un numero aperto di possibili anche atipici contenuti.
I successivi commi 2 e 3 dell’art. 84 definiscono e regolano la continuità diretta o indiretta. La prima con prosecuzione dell’attività d’impresa da parte dell’imprenditore, che ha presentato la domanda di concordato. La seconda con la gestione dell’azienda in esercizio o la ripresa dell’attività da parte di soggetto diverso dal debitore, attraverso una serie di strumenti quali la cessione, l’usufrutto, il conferimento d’azienda in una o più società, ovvero in forza d’affitto, anche stipulato anteriormente, purché in funzione della presentazione del ricorso, oppure a qualunque altro titolo, con previsione, pertanto del tutto aperta e suscettibile di ricomprendere i più diversi strumenti e soluzioni.
Per effetto del recepimento della Direttiva 1023/2019 Insolvency, l’esercizio della continuità aziendale, volta a generare flussi di cassa adeguati a realizzare contemporaneamente la soddisfazione dei creditori e la complessiva ristrutturazione dell’azienda, richiedono che la proposta ed il connesso piano intercettino il consenso dei creditori che, se raggiunto con l’approvazione da parte di tutte le classi, conduce all’omologa del concordato.
A questo riguardo per la prima volta vengono presi in considerazione i diversi stakeholder, vale a dire non solo i creditori ma anche i soci quali soggetti interessati direttamente, al pari dei creditori, alla definizione e regolazione della crisi d’impresa. I vantaggi che derivano dalla continuità sono i fattori che possono essere decisivi per attrarne il consenso e la collaborazione.
I risultati positivi connessi al mantenimento dell’attività possono sovrastare l’interesse alla soddisfazione del credito, che può essere limitato in una misura non inferiore a quella che avrebbe potuto essere raggiunta con la liquidazione giudiziale e conseguentemente può risultare pari, purché non inferiore alla misura di soddisfazione che potrebbe essere raggiunta dalla liquidazione giudiziale. 
La convenienza per i creditori non si misura in termini di maggior livello di soddisfazione rispetto alla procedura liquidatoria, ma deriva piuttosto dai vantaggi offerti dalla continuazione dell’attività dell’impresa, dalla rapidità di soddisfazione, dalla prevedibilità della misura e dei tempi di soddisfazione dei crediti, che, a differenza che nella liquidazione giudiziale, sono già fissati nella proposta concordataria.
La differenza è particolarmente evidente con il concordato di liquidazione, ove il vantaggio per i creditori è determinato e misurato in termini strettamente patrimoniali e monetari, con l’imposizione degli obblighi di incremento dell’attivo e di percentuali di soddisfazione ai chirografari. Nel concordato in continuità deriva dalle utilità, anche indirette, liberate dalla prosecuzione dell’attività, peraltro specificamente indicate dall’art. 84, comma 3, secondo il quale, come si è visto, la proposta prevede per ciascun creditore un’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile, che può consistere anche nella prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa.
Le scelte della distribuzione delle risorse e dei ricavi della continuità tra creditori e soci segnano l’esito della negoziazione e dell’approvazione della proposta. È rilevante a questo riguardo la distinzione tra le risorse che provengono dalla liquidazione e quelle che provengono dall’esercizio dell’azienda in continuità. Questa è stata cristallizzata nelle due categorie del valore di liquidazione e valore eccedente quello di liquidazione o valore di continuità.
8 . La verifica di ammissibilità e fattibilità per il concordato di liquidazione e di ritualità della proposta per il concordato in continuità. Valutazione di convenienza del concordato in continuità attraverso l’approvazione da parte di tutte le classi dei creditori
La precedente versione del primo comma. dell’art. 47 del CCII, senza distinguere tra concordato di liquidazione e di continuità, richiedeva che il tribunale procedesse alla verifica dell’ammissibilità giuridica della proposta e della fattibilità economica del piano, sulla base di un approfondimento istruttorio svolto, se necessario, anche acquisendo il parere del commissario giudiziale[26].
Il nuovo testo del primo coma dell’art. 47, così come modificato dal D.Lgs. 17 giugno 2022, n, 83, articola la valutazione del tribunale a seconda della natura e del tipo di concordato, se di liquidazione o in continuità, prevedendo un più stringente e pervasivo controllo per il concordato di liquidazione, rispetto al concordato in continuità.
Per il concordato liquidatorio, secondo quanto disposto dall’art. 47, primo comma lett. a), la verifica investe l’ammissibilità della proposta e la fattibilità. Questa deve essere intesa come non manifesta inattitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati. I criteri di valutazione lasciano spazi più aperti e flessibili sul tema della fattibilità, in quanto non ne è richiesto l’accertamento in positivo ma piuttosto in negativo, in termini di non manifesta inattitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati. Appare quindi escluso che sia richiesta una specifica condivisione del piano da parte del tribunale, consentendo quindi l’ammissibilità di un piano costruito secondo criteri inconsueti e atipici, purché l’incertezza sulla idoneità al raggiungimento degli obiettivi prefissati, non sia tale da escludere con sicurezza (non in modo manifesto), gli obiettivi.
Le modificazioni più rilevanti hanno investito il concordato in continuità nella funzione e nella finalità. Esso si conferma come un nuovo tipo di concordato rispetto al concordato liquidatorio, che in passato, sino all’introduzione nella legge fallimentare dell’art. 186 bis, L. fall. con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, costituiva l’unica figura conosciuta.
La verifica dell’ammissibilità, che segna l’introduzione del concordato liquidatorio, non è infatti prevista per il concordato in continuità, ove il controllo viene ridotto alla verifica della ritualità della proposta.
Per il concordato in continuità, l’art. 47, lett. b), prevede: i) che la verifica del Tribunale sia limitata alla ritualità della proposta senza riferimenti alla ammissibilità ed alla fattibilità del piano; ii) che il potere del Tribunale di dichiarare l’inammissibilità del concordato sia limitata all’ipotesi del piano manifestatamente inidoneo alla soddisfazione dei creditori e alla conservazione dei valori aziendali.
Successivamente spetta ai creditori apprezzare o meno le prospettive di soddisfazione, collegate con la conservazione dei valori aziendali attraverso la continuità. Tale valutazione da parte dei creditori è espressa o meglio assorbita nella più ampia complessiva valutazione che si manifesta con l’espressione di voto sulla proposta.  Se la proposta di concordato in continuità raccoglie il voto favorevole di tutte le classi dei creditori, il concordato è approvato ed il tribunale procede alla omologazione del concordato stesso, artt. 109, comma 5; 112, comma 1.
L’approvazione della proposta da parte di tutte le classi assorbe l’esigenza di un controllo del tribunale delle prospettive di soddisfazione dei creditori o della conservazione dei valori aziendali. Questo in quanto il consenso espresso da tutti i creditori, attraverso l’approvazione di tutte le classi, sostituisce e supera la necessità che il tribunale proceda ad ulteriori verifiche al riguardo.
Come si vedrà nel prosieguo, il dissenso di una o più classi di creditori, se ricorrono le condizioni di cui al secondo comma dell’art. 112, comma 2, può consentire ai creditori di verificare il livello e le modalità di soddisfazione assegnate dal piano.
Diversamente, i poteri del tribunale in sede d’omologa sono scanditi da una norma di chiusura, che consente di verificare che il piano non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza e che eventuali nuovi finanziamenti necessari per l’attuazione del piano non pregiudichino ingiustamente gli interessi dei creditori.
Anche questa è una verifica in negativo (il piano non sia privo di ragionevoli prospettive), che permette di escludere l’omologa del concordato, quando risulta palesemente inidoneo a perseguire la stessa causa fondante dell’istituto del concordato e svolge una funzione di norma di chiusura che indirettamente conferma come spetti in modo assorbente ai creditori la valutazione e l’accettazione della proposta attraverso l’approvazione di tutte le classi.
La mancata previsione della verifica di ammissibilità e della fattibilità del piano, si giustifica infatti per la circostanza che siffatte valutazioni sono assorbite, come vedremo, da una più ampia valutazione di convenienza, cui sono chiamati i creditori, obbligatoriamente suddivisi in classi (art. 85, comma 3), con una votazione idonea ad approvare il concordato solo con il consenso unanime espresso con il voto favorevole di tutte le classi (art. 109, comma 5).
Al debitore, che intraprende la ristrutturazione attraverso il concordato in continuità, sono quindi concessi spazi ben più ampi che nel concordato liquidatorio. La proposta ed il piano possono essere costruiti ricorrendo alle risorse che provengono dal valore di liquidazione e dal valore eccedente quello di liquidazione (art. art. 84, comma 6), dagli apporti dei soci (artt. 102, 120 quater, comma 4) ed eventualmente di terzi (art. 99, 101), come pure dagli ulteriori vantaggi che potranno derivare ai creditori anche dalla continuità (art. 84, comma 3). Il complesso di questi elementi potrà essere idoneo ad offrire ai creditori, livelli e modalità di distribuzione ragionevolmente adeguati ad agevolare l’approvazione del concordato con l’unanimità di tutte le classi.
Il piano che accompagna la proposta (art. 47, comma 1), deve contenere i diversi elementi indicati all’art. 87 ed in particolare, l’indicazione del valore di liquidazione del patrimonio in ipotesi di liquidazione giudiziale alla data della domanda di concordato (art, 87, comma 1, lett. c), e, per il concordato in continuità, il piano industriale e la copertura finanziaria per la prosecuzione dell’attività d’impresa (art. 87, comma 1, lett. e), f). 
È con riguardo alla prosecuzione dell’attività che viene previsto un particolare vincolo di ammissibilità, che investe una sfera diversa da quella consueta della misura della soddisfazione dei creditori o delle modalità di trattamento concorsuale. Per la prima volta viene infatti richiesto il rispetto di due importanti profili di sostenibilità. Questi investono il complesso delle condizioni sociali, culturali e morali secondo le quali l’impresa opera con una particolare attenzione per i principi ESG (Environmental, Social, Governance). Nella previsione della copertura dei costi per la continuazione dell’attività, il piano deve infatti prevedere anche i costi necessari per assicurare il rispetto della normativa in materia di sicurezza sul lavoro e di tutela dell’ambiente.
La verifica di ritualità della proposta operata dal tribunale per il concordato in continuità investe la completezza di questi elementi, la plausibilità del progetto industriale e della prosecuzione dell’attività. L’eventuale mancanza può comportare, se il piano è manifestamente inidoneo alla soddisfazione dei creditori e alla conservazione dei valori aziendali, l’inammissibilità della proposta (art. 47 comma 1, lett. b)).
Si tratta quindi di una valutazione che investe la completezza e la sussistenza degli elementi richiesti per l’efficacia e la validità della proposta concordataria, destinata ad essere sottoposta ai creditori. La previsione, secondo cui il tribunale può dichiarare inammissibile la proposta, se il piano è manifestamente inidoneo alla soddisfazione dei creditori e alla conservazione dei valori aziendali, costituisce una norma di chiusura volta ad impedire che i creditori vengano impegnati in una procedura priva di prospettive a causa della manifesta inidoneità del piano a realizzare i due elementi caratterizzanti il concordato in continuità, vale a dire la soddisfazione di creditori e la conservazione di valori aziendali [27].
9 . L’obbligatorietà della suddivisione dei creditori in classi nel concordato in continuità
Nel concordato la platea dei creditori votanti può comprendere anche i prelatizi, quando questi risultano incisi nei loro diritti dalla proposta concordataria. La suddivisione dei creditori in classi è in ogni caso obbligatoria nel concordato in continuità, art. 85, comma 3, in quanto richiesta per l’approvazione del concordato, art. 109, comma 5.
I creditori muniti di privilegio, pegno ipoteca, interessati dalla ristrutturazione sono anche essi suddivisi in classi. Sono interessati i creditori per i quali il piano e la proposta prevedono la soddisfazione con utilità diverse dal danaro, inoltre devono essere classati i creditori di garanzie prestate da terzi art. 85, comma 2.
Il pagamento tempestivo in danaro dei prelatizi (entro 180 giorni dall'omologazione), esclude che essi possano essere considerati incisi dalla ristrutturazione. L’art. 109, comma 5, richiamato dall’art. 85, comma 3, prevede che se la proposta ne prevede il pagamento oltre 180 giorni, siano considerati interessati dalla ristrutturazione. Conseguentemente i creditori prelatizi votano e sono suddivisi in classi, che sono chiamate, assieme alle classi dei creditori e dei soci, alla approvazione del concordato (art. 85, comma 3 e art. 112, comma 2, lett. d)).
Nella stessa classe possono essere collocati i creditori titolari di diverse cause di prelazione, purché il trattamento sia il medesimo. In un’unica classe possono essere ricompresi, ad es., artigiani e professionisti se per l’intera classe così formata, è stabilita la stessa previsione temporale di pagamento oltre i 180 giorni. Infatti, in questo caso la diversità del grado di privilegio non rileva, in quanto lo stesso trattamento è applicato ad entrambe le categorie ricomprese (nel nostro esempio artigiani e professionisti), che, pur avendo cause di prelazioni diverse, subiscono, quali appartenenti alla stessa classe, lo stesso trattamento consistente nel medesimo differimento del tempo del pagamento. Andrebbero al contrario create due classi se la proposta prevedesse differenziati tempi del pagamento, ad es. gli artigiani 20 mesi e i professionisti 12 mesi, in ragione del diverso trattamento riservato ai titolari delle due diverse prelazioni.
Allo stesso modo i crediti assistiti da privilegio di cui all'art. 2751 bis n. 1 del codice civile debbono essere soddisfatti entro 30 giorni ed in questo caso non votano, in quanto non vengono incisi dalla ristrutturazione. Al contrario, se per effetto della ristrutturazione vengono soddisfatti in un tempo superiore ai 30 giorni, essi sono interessati alla ristrutturazione e quindi votano.
La divisione in classi dei creditori e dei soci assolve nello stesso tempo a diverse funzioni ed esigenze: i) raccoglie la volontà dei componenti della classe consentendo di valutare il  trattamento della classe di appartenenza anche in comparazione con quello riservato alle altre classi; ii) giustifica la distribuzione selettiva delle risorse sulla base delle posizioni giuridiche ed interessi economici omogenei di ciascuna classe; iii) consente nello stesso tempo di raccogliere la volontà della classe secondo le modalità di formazione della maggioranza previste dalla legge; iv) consente di valutare il complessivo livello di adesione di tutte le classi; v)  fornisce agili strumenti di verifica e controllo alle classi dissenzienti, secondo una legittimazione che prescinde dalla consistenza numerica o patrimoniale della classe.
Il ricorso alla suddivisione dei creditori in classi, in considerazione delle potenzialità che ad essa si accompagnano, si è certamente ampliato, sino a divenire la forma tipica ed obbligatoria nel concordato in continuità, art. 85, comma 3 e nel piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, art. 64 bis, comma 1. 
La partecipazione al voto dei creditori prelatizi interessati, perché incisi nei loro diritti, svolge poi una funzione che può essere decisiva nel caso in cui il concordato non sia stato approvato da tutte le classi ma soltanto a maggioranza, art. 112 comma 2, lett. d).
La circostanza che almeno una classe di prelatizi abbia approvato la proposta, supplisce infatti alla mancata approvazione da parte di tutte le classi e consente l’omologazione del concordato da parte del tribunale. La ragione della disposizione è comune a quella della approvazione da parte di una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione, anche essa prevista dall’ art. 112, comma 2, lett. d).
In entrambe le ipotesi è decisivo che, nonostante il trattamento previsto nella proposta per la loro classe sia peggiore rispetto a quello previsto dalla legge per i prelatizi, essi stessi con il voto favorevole della classe l’abbiano ritenuta conveniente, consentendo, anche in mancanza di approvazione da parte di tutte le classi ma solo della maggioranza, l’omologazione del concordato.
L’omologa del concordato a seguito della approvazione di tali classi, che per rapidità chiamiamo svantaggiate dalla proposta, segna l’esito positivo della negoziazione che il debitore ha intrapreso con i creditori per i quali la complessiva convenienza della proposta prevale sul possibile pregiudizio del trattamento deteriore ad essi riservato. La svolta è significativa ed è possibile per il carattere dispositivo della disciplina della prelazione, la cui deroga viene disposta infatti con l’approvazione delle classi dei prelatizi o dei creditori svantaggiati.
Specifiche disposizioni obbligano alla suddivisione dei creditori in classi per i crediti tributari, previdenziali, per i quali non è previsto l’integrale pagamento, per i titolari di garanzie prestate da terzi, per i creditori che vengono soddisfatti anche in parte con utilità diverse dal danaro, e per i creditori proponenti il concordato e per le parti ad essere correlate, art. 85, comma 2. 
Nel concordato in continuità, una volta unificata l’intera platea dei creditori nelle classi, queste non solo veicolano la volontà dei creditori, ma svolgono una funzione essenziale nel procedimento di omologazione del concordato. 
Gli esiti della votazione determinano il possibile percorso del concordato in continuità. Se tutte le classi votano a favore, il concordato è omologato. In mancanza, il procedimento di omologa segue un altro percorso. Il dissenso di una o più classi o di tutte le classi piuttosto che comportare l’arresto della procedura, apre una nuova fase nella quale il debitore può comunque richiedere al tribunale l’omologa, previa verifica dell’avvenuto rispetto di alcuni presupposti, che riguardano il trattamento dei creditori ed il trattamento dei soci (art. 112, comma 2).
10 . Legittimazione esclusiva degli amministratori all’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società
Come si è già osservato, l’apertura del concordato preventivo è disciplinata nell’ambito del novello procedimento unitario, di cui al Capo IV, Sezione II, art. 40 e segg., ma, per effetto delle modifiche ed integrazioni apportate, col recepimento della Direttiva Insolvency, tale disciplina è stata necessariamente completata con le rinnovate previsioni relative all’accesso delle società agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza ed al trattamento patrimoniale e corporativo dei soci.
A tal fine è stata inserita una del tutto nuova Sezione VI bis (art. 120 bis e segg.), denominata Strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società, che riproduce, con riferimento alle società, la stessa rubrica Strumenti di regolazione della crisi del Titolo IV (art. 56 e segg.)[28]. 
La Sezione VI bis, introdotta con la novella, costituisce l’ultima delle Sezioni del Capo III del Concordato preventivo ed è riferita non solo al concordato ma, più diffusamente, alla più ampia categoria degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, dei quali anche il concordato fa parte. Nel suo complesso la disciplina appare articolata in previsioni in prevalenza agevolmente applicabili al concordato ed in particolare al concordato in continuità. Questo è confermato dai riferimenti di cui all’art. 120 bis, comma 5, che fa espresso riferimento all’art. 90, in relazione alla presentazione di proposte concorrenti, all’ art. 120 quater, comma 1 e 4, in relazione al concordato in continuità aziendale, come pure all’art. 116 in relazione alla trasformazione, fusione, o scissione previste dal piano di concordato[29]. 
Va comunque considerato che tutta la Sezione VI bis è sempre riferita, non solo nella rubrica ma anche nelle diverse norme, agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, che abbraccia dunque, in quanto applicabile, anche l’accordo di ristrutturazione e il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione. Necessari adattamenti possono derivare dall’assenza di un sistema incentrato, come nel concordato in continuità, sulla obbligatorietà delle classi con conseguente inoperatività del controllo che nel concordato in continuità viene realizzato dalle classi dissenzienti. A questo possono però supplire gli strumenti di cui all’art. 48, comma 2, che legittimano all’opposizione qualsiasi interessato e quindi anche i soci, che potranno opporsi all’omologazione dello strumento di regolazione della crisi al fine di far valere il pregiudizio che ritengono di aver subito rispetto all’alternativa liquidatoria.
La nuova disciplina della Sezione VI bis, art. 120 bis, riveste una decisiva rilevanza per l’intero sistema degli Strumenti di regolazione della crisi, considerata la necessaria applicazione alla quasi totalità delle imprese, in quanto costituite in forma societaria[30].
Si tratta di una disciplina assai innovativa, Essa prevede che l’accesso alla procedura di concordato, secondo il nuovo art. 120 bis, comma 2, come pure ad ogni altro strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, competa in via esclusiva agli amministratori. 
Tale previsione mancava del tutto nella originaria disciplina del procedimento unitario per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza Sezione II, art. 40 e seguenti. Conseguentemente, il rinnovato testo dell’art. 40 del CCII al secondo comma, contiene ora una disposizione di collegamento con la Sezione VI bis, con la quale viene espressamente specificato che per le società, la domanda dì accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza è approvata e sottoscritta a norma dell’articolo 120 bis.
Con il riconoscimento ai soli amministratori della competenza all’accesso agli strumenti di regolazione delle crisi, è stata esclusa la derogabilità di tale principio negli statuti sociali. Gli amministratori sono gli unici legittimati alla decisione della presentazione della proposta, alla determinazione del contenuto e delle condizioni del piano.
La decisione deve risultare da verbale redatto da notaio, è depositata ed iscritta nel registro delle imprese. La domanda deve essere sottoscritta da coloro che hanno la rappresentanza della società.
Agli amministratori, nello stesso tempo, è fatto obbligo di informare i soci della decisione di accedere ad uno strumento di regolazione e di riferirne periodicamente del suo andamento.
L’attribuzione in via esclusiva agli amministratori di tali poteri di intervento si pone in continuità con i doveri degli amministratori stessi, di cui agli artt. 3 e 4 del CCII. Questi, infatti, sono volti non soltanto a prevenire la crisi con l’adozione di tutte le misure idonee a rilevarla ma anche a farvi fronte tempestivamente con il ricorso a tutti gli strumenti per la regolazione della crisi e dell’insolvenza. L’attività di ristrutturazione, di regolazione della crisi e dell'insolvenza, per effetto delle modifiche introdotte con il recepimento della Direttiva Insolvency, costituisce uno specifico dovere che incombe sugli amministratori, quale attività di governo della società, che deve essere svolta in una fase di crisi.
In coerenza con i doveri di cui all’art. 2086 c.c., agli amministratori viene attribuito l’esclusivo potere di intervento, attraverso l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, escludendo ogni potere di intervento dei soci, in quanto, conformemente ai principi stabiliti dalla Direttiva 1023/2019, viene esclusa la possibilità che i soci possano impedire l’iniziativa degli amministratori. Dall’iscrizione della decisione nel registro delle imprese e fino all’omologazione, i poteri di revoca degli amministratori sono limitati alla sola giusta causa della revoca, con l’espressa precisazione che la domanda di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, in presenza delle condizioni di legge, non costituisce giusta causa di revoca degli amministratori stessi, art. 120 bis, comma 4.
La conferma della limitazione del potere dei soci e del prevalente interesse alla realizzazione degli strumenti di regolazione della crisi emerge dalla previsione dell’art. 120 bis, comma 4, ultima parte, che sospende l’efficacia della delibera di revoca e la condiziona all’approvazione da parte della sezione specializzata del tribunale delle imprese, cui è rimessa la competenza ed il compito di approvare o meno la delibera di revoca, sentiti gli interessati. 
Il giudice della sezione specializzata è chiamato ad una valutazione più ampia della verifica della correttezza formale del comportamento degli amministratori. Ad esso spetta infatti l’ulteriore e più rilevante compito di approvare la deliberazione di revoca.  Un siffatto e del tutto inedito intervento del giudice volto all’approvazione o meno della delibera di revoca, investe direttamente il merito del comportamento degli amministratori, in relazione alle esigenze imposte dalla crisi d’impresa.
Il giudice della sezione specializzata potrebbe ad esempio, approvare la delibera di revoca motivata dal comportamento inerte o inadeguato degli amministratori di fronte alla crisi. Questi potrebbero essere stati inadempienti all’obbligo di porre mano alle iniziative più opportune per la regolazione della crisi e dell’insolvenza, perché rimasti inerti o per aver manifestato comportamenti inadeguati, che possono presentarsi con i più diversi contenuti, quali iniziative palesemente irrealistiche per impossibilità degli obiettivi, insostenibilità dei mezzi, inattuabilità dei procedimenti, ecc.. 
Allo stesso modo ma in senso inverso, il giudice della sezione specializzata potrebbe non approvare la delibera di revoca perché motivata da una ingiustificata contrarietà dei soci all’iniziativa di regolazione della crisi o dell’insolvenza. In sostanza il tribunale potrebbe approvare o non approvare la revoca in ragione dell’interesse della società alla ristrutturazione, ritenendo tale risultato più rilevante o prevalente sulla volontà e sull’interesse dei soci ad ottenere la revoca degli amministratori.
Nello stesso tempo i soci non sono privati del potere di intervento per la risoluzione della crisi d’impresa, purché tali iniziative, piuttosto che contrastare, siano costruttivamente volte verso soluzioni alternative. 
La non condivisione della decisione degli amministratori, infatti, se non può essere contrastata con la revoca, art. 120 bis, comma 4, può essere costruttivamente incanalata da soci, che rappresentino almeno il 10 % del capitale, nella presentazione di proposte concorrenti ai sensi dell’art. 90, rendendo in questo modo i soci protagonisti della contendibilità dell’impresa, al pari dei terzi, attraverso proposte concorrenti.
11 . L’assorbimento dei diritti corporativi e patrimoniali dei soci nel processo di regolazione della crisi della società
I poteri riconosciuti agli amministratori dall’art. 120 bis assorbono, nella situazione di crisi, l’intero governo della società sia sotto il profilo patrimoniale, che della stessa struttura giuridica- organizzativa della società stessa.
La proposta ed il piano diretto alla regolazione e della crisi e dell’insolvenza possono infatti prevedere non solo la disposizione dell’attivo e delle risorse generabili dalla continuità ma anche la modificazione dell’assetto della società, della struttura patrimoniale della stessa, della partecipazione dei soci.
Gli amministratori, ai fini del buon esito della ristrutturazione, nel determinare il contenuto del piano possono porre mano alle più ampie modificazioni dello statuto della società debitrice, ivi inclusi aumenti di capitale anche con limitazione del diritto d’opzione ed altre modificazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci, nonché fusioni e scissioni.
Emerge un più che rilevante cambiamento di prospettiva, in quanto la stessa società nel suo complesso, senza alcuna esclusione delle sue componenti patrimoniali, organizzative e degli assetti proprietari, diviene parte dello strumento adottato dagli stessi amministratori per la regolazione della crisi.
Questi penetranti interventi, che sono a disposizione degli amministratori, costituiscono elementi del piano volto alla regolazione della crisi. La modifica dello statuto e la trasformazione della società, l’apertura alla partecipazione di nuovi soci, le conseguenti anche radicali modifiche della compagine sociale nelle sue componenti, maggioranze, o gruppi di controllo, possono essere elementi risolutivi nel reperimento di nuove risorse patrimoniali o di governo. Inoltre, è di chiara evidenza che essi possono essere fattori determinanti affinché nella approvazione della proposta, possano convergere, secondo le modalità previste nei diversi strumenti di regolazione della crisi, non solo gli interessi dei creditori ma anche dei soci, come pure di investitori esterni[31].
L’accesso agli strumenti di regolazione della crisi si conferma in perfetta continuità con i compiti di gestione e amministrazione della società. La circostanza del manifestarsi della crisi in una fase precoce o avanzata obbliga gli amministratori a porre mano agli strumenti di risoluzione più adeguati, sulla base del complesso di dati e di conoscenze già maturati nell’adempimento dei doveri di cui agli artt. 3 e 4 e art. 2086 c.c. Questi compiti, volti alla prevenzione e risoluzione della crisi nell’interesse della società e dei creditori sociali, spettano in via esclusiva agli amministratori mentre ai soci è preclusa la possibilità di interferire o ostacolarne le iniziative. Essi possono piuttosto partecipare come classe dei soci assieme ai creditori al voto sulla proposta, in misura proporzionale alla quota di capitale posseduta anteriormente alla presentazione della domanda, art. 120 ter, comma 3, come pure esercitare il diritto di opporsi, se dimostrano che il trattamento assegnato dal concordato, arrecherebbe loro un pregiudizio maggiore che con la liquidazione giudiziale, art. 120 quater, comma 3.
Conseguentemente il potere di revoca da parte dei soci in questa delicata e peculiare fase di attività di governo della società per la risoluzione della crisi, è limitato alla sola ipotesi della ricorrenza della giusta causa della revoca, i cui confini sono espressamente specificati in relazione all’attività ed alle iniziative svolte per l’accesso e la realizzazione degli strumenti di risanamento. Infatti, viene espressamente previsto che non costituisce giusta causa di revoca la presentazione di una domanda di accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza in presenza delle condizioni di legge, art. 120 bis, comma 2.
Nello stesso tempo gli amministratori, non in via preventiva ma una volta avvenuta la decisione di accedere a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, devono darne informazione ai soci, continuando successivamente a fornire periodiche informazioni sull’andamento della procedura.
L’accesso da parte degli amministratori allo strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza viene a modificare l’ambito e le modalità entro i quali i soci possono far valere e realizzare l’interesse ed i diritti di cui sono portatori nella società e in relazione alla partecipazione sociale. La possibile non condivisione o contestazione del piano di risanamento proposto dagli amministratori, può essere fatta valere dai soci attraverso la presentazione di una proposta concorrente. Questa consente infatti di trasferire il dissenso dei soci nell'ambito più costruttivo della competizione, nella quale i creditori e tutti gli interessati potranno operare e concorrere, secondo le scelte ritenute più opportune       
L’attivazione del processo di risanamento comporta rilevanti modifiche nelle modalità della realizzazione dei diritti dei soci.
Gli interessi patrimoniali e corporativi dei soci vengono assorbiti e convertiti in diritti di partecipazione al procedimento di risanamento e ristrutturazione della società.
All’interno di questo i soci vengono chiamati, al pari dei creditori, sia a presentare proposte alternative o concorrenti, sia a partecipare al processo di valutazione ed approvazione della proposta presentata dagli amministratori o da altri legittimati.
Al pari dei creditori anche i soci possono essere inseriti in una classe o in più classi, se esistono categorie di soci con diritti diversi. La classazione di soci è obbligatoria quando il piano incide direttamente sui diritti di partecipazione e rende rilevante l’interesse dei soci alle iniziative di regolazione intraprese dagli amministratori.
Il voto della o delle classi dei soci viene esercitato nelle stesse forme e modalità previste per l’espressione del voto dei creditori e, conformemente alla natura corporativa dell’interesse del socio, il voto si misura in proporzione della quota di capitale posseduta in quote o in azioni.
Nell’espressione del voto della classe o delle classi dei soci vengono anche stabiliti principi volti ad assicurare la trasparenza della posizione e della volontà dei soci stessi. L’art. 120 ter, comma 2, prevede infatti che il socio che non ha espresso il proprio dissenso, si ritiene consenziente. Il socio, dunque, ha certamente il potere di non approvare la proposta ma deve manifestare il proprio dissenso, rendendo in questo modo possibile anche ai terzi ed ai creditori di valutare la portata e le ragioni del dissenso. La previsione appare in linea con quanto stabilito dalla Direttiva 1023/2019, che prevede che ai detentori di strumenti di capitale non sia consentito di impedire o ostacolare irragionevolmente l'attuazione del piano di ristrutturazione, in quanto una volta che è stata data la possibilità ai soci di votare in ordine alla proposta di concordato, la mancata dichiarazione di voto non può essere assimilata ad una dichiarazione ostile che, al contrario, deve essere espressa.
Ai soci è riconosciuta la legittimazione dell’opposizione all’omologazione del concordato ma solo limitatamente al pregiudizio subito rispetto alla alternativa liquidatoria. Il pregiudizio che potrebbe essere eccepito potrebbe consistere nell’insufficiente riconoscimento della misura del valore perché non consente al socio di conseguire alcun vantaggio rispetto alla alternativa liquidatoria.
Va ricordato a questo proposito che in caso di risoluzione o di annullamento del concordato, gli effetti delle operazioni di trasformazione, fusione o scissione restano irreversibili e che ai soci è riconosciuto il solo risarcimento del danno, danno che l’art. 116, comma 3, determina ai sensi degli artt. 2500 bis, comma 2; 2504 quater, comma 2, e 2506 ter, comma quinto, c.c. In concreto tale danno potrà essere quantificato con la verifica della esistenza e delle eventuali dimensioni del pregiudizio rispetto alla alternativa liquidatoria, come del resto affermato anche in caso di opposizione alla omologazione, ove il socio può far valere il pregiudizio subìto rispetto all’alternativa liquidatoria, art. 120 quater, comma 4.
La complessiva disciplina dei soci nella regolazione della crisi realizza per la prima volta il coinvolgimento di tutte le risorse che a vario titolo convergono nell’impresa. I diritti dei soci, tanto patrimoniali che corporativi, alterati dal sopravvenire delle crisi, vengono rinnovati e convertiti in strumenti per la regolazione della crisi stessa. La posizione dei soci si fonde nel complesso degli strumenti e dei mezzi che con il piano gli amministratori hanno finalizzato alla regolazione della crisi e non comporta alcuna lesione dei diritti dei soci, e tantomeno dei principi di tutela costituzionale della proprietà o dell’iniziativa economica. 
Questo in considerazione della costante proporzionalità dei rimedi assegnati ai soci, come pure ai creditori, rispetto alla finalità ed esigenza della soluzione di crisi, costantemente comparata con l’alternativa della liquidazione giudiziale.
È stata avanzata [32] l’ombra di un possibile contrasto con i principi costituzionali dell’art. 32 e 41 Cost. della disciplina di cui agli artt. 120 bis e segg., perché sarebbe espropriativa e penalizzante dei diritti dei soci. Ma sono timori che appaiono espressione di una complessiva insofferenza verso la nuova disciplina dell’insolvenza delle società del CCII, la quale, come si è già detto, non può pregiudicare i soci o anche i creditori più di quanto non li pregiudicherebbe l’unica possibile alternativa, vale a dire quella liquidatoria, certamente sempre ancor più pregiudizievole per i soci, i creditori e lo stesso debitore.
12 . La destinazione del valore risultante dalla ristrutturazione: modalità del concorso dei soci e dei creditori
Il CCII, come novellato in attuazione della Direttiva 1023/2019, prende in considerazione e disciplina le modalità ed i limiti entro i quali ai soci possano essere riconosciuti gli effetti positivi del risanamento della società, attuato attraverso il concordato in continuità.
A differenza che nel concordato liquidatorio, nel quale l’intero patrimonio viene liquidato e ripartito ai creditori, nel concordato in continuità, una volta soddisfatti i creditori con il ricavato della continuità diretta e solo eventualmente della continuità indiretta[33], permangono elementi patrimoniali positivi materiali o immateriali, quali l’avviamento ed altri intangibles, che si consolidano nella società, rinnovandone la capacità produttiva e quindi accrescendone il valore.
Di conseguenza il valore delle azioni o delle quote potrà incrementarsi a favore dei soci che ne sono titolari. I soci possono aver concorso alla produzione di tale valore attraverso conferimenti, contributi a fondo perduto o apporti erogati in qualsiasi altra forma per sostenere la stessa ristrutturazione.
Nello stesso tempo, si deve tenere conto del fatto che alla produzione di tale valore hanno concorso in modo rilevante gli stessi creditori attraverso la partecipazione alle perdite, realizzata con l’accettazione della dilazione e della riduzione dei crediti prevista dal piano concordatario, secondo le diverse linee di intervento che può assumere la ristrutturazione del debito nella regolazione della crisi.
Le diverse attese dei creditori e dei soci richiedono dunque un meccanismo di conciliazione, che l’art. 120 quater, nell’attuazione della Direttiva 1023/2019, ha individuato: i) nella determinazione del valore risultante dalla ristrutturazione riservato ai soci anteriori alla presentazione della domanda; ii) nella previsione di un test di convenienza attivabile da parte dei creditori dissenzienti.
Tale valore riservato ai soci risultante dalla ristrutturazione, denominato valore effettivo, costituisce categoria del tutto nuova, che può essere definita quale risultato utile conseguente alla omologazione della proposta, la quale ha comportato effetti positivi sul valore delle partecipazioni e degli strumenti che attribuiscono ai soci il diritto di acquistarle.
Secondo la nuova disciplina introdotta in attuazione della direttiva europea, alla formazione di tale valore possono aver contribuito i soci stessi attraverso conferimenti e contributi a fondo perduto, che hanno evidentemente interagito con le previsioni del piano, agevolando il processo di ristrutturazione e quindi l’omologazione del concordato.
Il valore effettivo, che può essere riservato ai soci, è dunque determinato al netto degli apporti effettuati dai soci stessi per la ristrutturazione della società. Questo vuol dire che i soci godono degli incrementi di valore delle partecipazioni entro i limiti degli apporti effettuati: il socio fa proprio l’aumento di valore della sua partecipazione perché ha effettuato apporti nella stessa misura o in misura superiore.
Ma se il socio non ha effettuato apporti o li ha effettuati in misura ridotta, il risultato utile dell’incremento di valore della partecipazione deve essere contendibile con i creditori, i quali, accettando e sopportando gli oneri della ristrutturazione, hanno consentito la valorizzazione della società e quindi anche l’incremento di valore della partecipazione, di cui si avvantaggia il socio titolare della partecipazione stessa.
Il valore riservato ai soci è definito all’art. 120 quater, comma 2, ed è determinato al netto del contributo apportato dai soci stessi ai fini della ristrutturazione, in forma di conferimenti o di versamenti a fondo perduto. 
Nella determinazione di tale valore si tiene conto dell’eventuale plusvalore che le partecipazioni hanno ricevuto per effetto della continuità. Questo viene definito dalla legge valore effettivo, in quanto esso è il valore che effettivamente deriva dalla continuazione dell’attività sociale, resa possibile dal concordato e quindi dal concorso di tanti fattori, tra i quali riveste un ruolo decisivo la partecipazione concorsuale delle perdite subita dai creditori.
Nello stesso tempo, il valore effettivo è contendibile tra i soci ed i creditori. Infatti, da un lato i soci accedono a tale valore, in quanto esso si incorpora proporzionalmente nelle partecipazioni sociali di cui sono titolari, dall’altro ai creditori è anche riconosciuto il diritto di fare proprio tale valore per mitigare le perdite subite dal concordato[34]. 
Il processo di contendibilità fa ricorso nella sostanza agli stessi principi e strumenti della distribuzione del valore eccedente quello di liquidazione. Il piano, dopo aver determinato il valore effettivo conseguente all’omologazione, può attribuirlo ai soci anteriori alla ristrutturazione nella forma dell’accresciuto valore delle partecipazioni, di cui essi continuino ad essere titolari. 
La correttezza di tale attribuzione di valore ai soci è suscettibile di essere valutata dai creditori secondo il sistema proprio del concordato in continuità, che rende i creditori stessi arbitri della sorte della proposta di concordato.
È necessario fare riferimento all’art. 112 che fissa le condizioni per l’omologa del concordato. A causa della più volte rilevata originaria carenza di sistematicità del CCII, questa norma, pur di portata generale, non prevede alcun riferimento al trattamento dei soci, la cui disciplina, anche a causa delle modifiche apportate con l’attuazione della Direttiva 1023/2019, è contenuta nei successivi art. 120 bis e segg. e soprattutto art. 120 quater, introdotti con il D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83.
Secondo un necessario coordinamento dell’insieme delle norme citate, le modalità attraverso le quali può essere compiuta la valutazione dell’attribuzione del valore effettivo ai soci, debbono svolgersi all’interno del procedimento dell’approvazione e omologazione del concordato. 
Al voto favorevole di tutti i creditori, espresso con l’approvazione della proposta di concordato da parte di tutte le classi di creditori (nelle quali obbligatoriamente i creditori sono suddivisi, art 85, comma 3), fa seguito l’omologazione del concordato, art. 112, comma 1. L’approvazione da parte di tutte le classi dei creditori comporta l’approvazione complessiva della proposta e conseguentemente con il voto unanime di tutte le classi dei creditori, risultano approvate anche le previsioni del piano relative all’attribuzione del valore riservato ai soci inteso come valore effettivo conseguente all’omologazione della proposta, art. 120, comma 3.
Se il concordato non risulta approvato da tutte le classi, si apre la possibilità della verifica del trattamento riservato ai soci, secondo il procedimento tratteggiato in via generale all’art. 112 comma 2 e quindi assorbente anche il test previsto all’art. 120 quater.
Diversi sono gli attori di tale procedimento di verifica: i) il debitore che richiede l’omologazione del concordato; ii) il tribunale che (come stabilito dalla prima frase dell’art. 120 comma 3 - fermo quanto previsto dall’art.112), dovrà procedere alle verifiche di cui alle lett. a), b), dell’art. 112, comma 2, e alla verifica di cui all’art. 120 quater, comma 1; iii) la o le classi dissenzienti in relazione alle quali si svolge il test di convenienza di cui all’art. 120 quater, co, 1, che ha per oggetto la comparazione del trattamento riservato ai soci, rispetto a quello riservato alla classe o alle classi di creditori dissenzienti, in relazione alla correttezza della attribuzione ai soci del valore effettivo
Nel caso in cui una o più classi di creditori siano dissenzienti, l’esito positivo della comparazione apre alla omologazione, in quanto il concordato può essere omologato se il trattamento proposto a ciascuna classe di creditori dissenzienti sarebbe almeno tanto favorevole rispetto a quello proposto a creditori del medesimo rango e più favorevole di quello proposto alle classi di rango inferiore, anche se a tali classi venisse destinato il valore complessivamente riservato ai soci.
In questo caso non si tratta e non può trattarsi, di una mera diretta comparazione dei livelli monetari percentuali di soddisfazione, come avviene di norma nella comparazione del trattamento tra classi di creditori secondo i principi della relative priority rule ma piuttosto del calcolo di quanto verrebbe a modificarsi la percentuale di soddisfazione delle classi dei creditori del medesimo rango o di rango inferiore alla classe dissenziente, se a tali classi fosse stato attribuito il valore effettivo che il piano riserva ai soci.
L’incremento dell’attivo così virtualmente operato potrà comportare un incremento virtuale della percentuale di soddisfazione che tali classi avrebbero potuto raggiungere. Se, per effetto di tale incremento virtuale, la percentuale di soddisfazione della classe di pari grado o di grado inferiore, risulterà superiore a quello riservato alla classe dissenziente, il concordato non potrà essere omologato a causa dell’eccesso di valore effettivo attribuito ai soci. Se risulterà inferiore sarà omologabile, perché, nonostante l’attribuzione del valore effettivo ai soci, il livello di soddisfazione della classe dissenziente risulterà superiore al livello di soddisfazione virtuale delle classi di pari grado o di grado inferiore.
Si tratta di un test di convenienza, che viene attivato in caso di dissenso di una o più classi di creditori. Anche in questo caso è interesse del debitore, nel predisporre la proposta, valutare attentamente la possibilità che, in caso di mancata approvazione da parte di una o più classi e di persistenza dell’interesse all’omologazione del concordato, il trattamento riservato ai soci debba essere sottoposto al già descritto test di convenienza. 
Inoltre, la natura di tale valore effettivo è strettamente inerente alle azioni o quote detenute dai soci anteriori alla presentazione della domanda. Esso, infatti, consiste nell’incremento di valore delle stesse azioni o quote ma si tratta di un valore non suscettibile di diretto trasferimento o redistribuzione. 
L’attribuzione ai creditori potrà avvenire in modo più agevole in via indiretta, redistribuendo piuttosto che l’astratto valore effettivo, i titoli partecipativi che incorporano tale valore. Ciò potrà avvenire con specifiche operazioni societarie opportunamente previste, anche dettagliatamente, ex ante nella proposta e nel piano. 
La proposta ed il piano a loro volta dovrebbero prevedere il procedimento di accertamento e quantificazione del valore effettivo, il quale, pur essendo definito dall’art. 120 quater, comma 3, come valore conseguente all’omologazione della proposta, deve essere in concreto verificato e quantificato in un momento avanzato o meglio ancora finale, nel quale le obbligazioni concordatarie sono state adempiute ed il valore effettivo risulta più esattamente valutabile. 
Le componenti di tale valore effettivo risiedono nel valore dell’azienda ristrutturata per la quale dovrà essere prevista, già nel piano, una stima sulla base dei valori previsionali indicati nel piano industriale con possibilità di verifica ex post. Tale valore effettivo potrà essere articolato anche tenendo conto di una parte degli utili prodotti durante la continuità del concordato destinati a riserva, e questo se il piano avesse consentito di non destinarli ai creditori. In ogni caso concorrono alla   determinazione del valore effettivo i valori immateriali, come i valori dei marchi e dell’avviamento che possono avere avuto incrementi significativi nel corso della procedura. In ogni caso ai soci è consentito di profittare del valore effettivo solo nei limiti di cui all’art. 120 quater, comma 3, dovendo la restante parte essere distribuita direttamente ai creditori secondo la graduazione e percentuali previste nel piano.
Lo stesso risultato può essere raggiunto con un aumento di capitale gratuito per un importo pari alla parte di riserve da destinare ai creditori e/o pari ai valori immateriali patrimonializzati ad es. per rivalutazione del marchio o dell’avviamento, ecc. Ai creditori potrebbero essere destinate quindi entità monetarie provenienti dai flussi formatisi nel corso della procedura ed anche diritti corporativi. 
Il piano potrebbe prevedere un aumento di capitale gratuito di ammontare pari al valore effettivo con emissione di azioni da assegnare gratuitamente ai creditori secondo la consueta articolazione per classi, anche in misura non omogenea ma comunque nel rispetto della relative priority rule. 
La distribuzione dei diritti partecipativi ai creditori ed il corrispondente annacquamento delle partecipazioni dei soci, consentirebbero di evitare che la misura del valore risultante dalla ristrutturazione, destinato ai soci, possa risultare prevalente rispetto al trattamento assegnato ai creditori nella graduazione delle diverse classi. Nello stesso tempo potrebbe consentire ai soci di fare proprio, nei limiti predetti, il valore risultante dalla ristrutturazione, stimolando quindi anche una partecipazione attiva dei soci alla ristrutturazione.
Anche in questo caso sono i creditori a verificare l’avvenuto rispetto della corretta destinazione del valore effettivo. Si tratta di un controllo eventuale, nel caso in cui la proposta di concordato non sia stata approvata dalla totalità delle classi dei creditori.
Nell’esaminare la proposta i creditori potranno verificare, anche sulla base della relazione del commissario, il rispetto dei principi che regolano il trattamento dei soci e pertanto orientarsi per l’approvazione o meno della proposta, dando luogo, in quest’ultimo caso, allo specifico controllo sulla corretta destinazione del valore effettivo, di cui al secondo comma dell’art. 120 quater.
13 . L’approvazione da parte di tutte le classi dei creditori comporta l’omologa del concordato in continuità
La differente natura di liquidazione e in continuità comporta una diversa disciplina dell’approvazione e dell’omologa del concordato, in ragione della differente tipologia, che risulta determinante nell’intero procedimento[35].
Nel concordato di liquidazione, la proposta ed il piano sono soggetti a limitazioni più rigide e controlli più pervasivi. La legge determina la percentuale minima di soddisfazione dei creditori e la soglia di consistenza dell’attivo richiesta per l’ammissibilità della proposta, fissata nell’apporto di risorse esterne pari almeno al 10% dell’attivo, art. 84, comma 4.
In considerazione della rigidità di tali condizioni volte ad assicurare ai creditori un determinato livello di soddisfazione nella liquidazione concordataria, l’approvazione della proposta non richiede l’accettazione da parte di tutti i creditori (come richiesta nel concordato in continuità con l’approvazione da parte di tutte le classi) ma segue le consuete regole della maggioranza dei creditori ammessi al voto e, ove previste le classi,  la maggioranza dei crediti nella maggioranza delle classi. 
Nel concordato in continuità, la maggiore autonomia consentita al debitore nella determinazione del piano, richiede l’adesione unanime dei creditori, espressa, secondo le modalità di formazione della volontà concorsuale.
L'approvazione del concordato in continuità avviene infatti con il voto favorevole di tutte le classi (art. 109, comma 5), al quale segue l'omologa del tribunale, previa verifica che il piano non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza e che eventuali nuovi finanziamenti previsti come necessari per l’attuazione del piano, non pregiudichino gli interessi dei creditori (art. 112, comma 1 lett. f).
Nel concordato in continuità, a differenza che per il concordato con liquidazione, per la formazione della maggioranza all’interno delle classi, non è richiesta la maggioranza dei crediti ammessi al voto ma è sufficiente il voto favorevole dei due terzi dei votanti, purché abbia votato la metà dei creditori titolari del diritto di voto nella classe.
L’approvazione è, dunque, raggiungibile, con il voto favorevole dei due terzi degli aventi diritto, che equivale al 33,33 dei votanti per ciascuna delle classi. Il maggior favore della disciplina che regola il raggiungimento della maggioranza all’interno delle classi, si bilancia con il contrapposto principio, della necessità del voto favorevole di tutte le classi per l’approvazione del concordato (artt. 109, comma 5; 112, comma 1)[36]. 
È inconsueto e forse senza precedenti, che nelle procedure concorsuali e nella formazione della volontà degli enti collettivi, venga richiesto il consenso totalitario di tutte le classi, piuttosto che la volontà maggioritaria dei creditori. 
In realtà l’approvazione da parte di tutte le classi costituisce il cuore dell’intero procedimento, così come riscritto e rinnovato con l’attuazione della Direttiva Insolvency. Il voto totalitario favorevole realizza l’accettazione da parte dell’intero ceto creditorio della proposta, la quale riassume un progetto che, per il suo particolare contenuto e portata, deve essere condiviso senza eccezioni dai creditori. 
Il debitore offre ai creditori risorse che derivano dalla continuazione dell’attività. Da questo discende che la misura della possibile soddisfazione dei crediti dipende non solo dagli esiti della continuità ma anche dal ruolo che le diverse categorie di creditori vengono a rivestire nell’attuazione del progetto di continuità, in quanto da questo deriva l’articolazione delle diverse modalità e misure di trattamento secondo le regole della relative priority rule[37]. Di qui l’esigenza della condivisione totalitaria di tutte le classi. Questa realizza l’accettazione delle modalità di soddisfazione dei crediti, secondo l’articolazione delle graduazioni percentuali del piano, come pure può realizzare l’adesione e il coinvolgimento diretto ed indiretto nel progetto industriale di regolazione della crisi, attraverso il recupero e rilancio dell’impresa in regime di continuità.
In modo del tutto speculare al principio della approvazione con il voto totalitario di tutte le classi, il difetto di convenienza della proposta può essere fatto valere da qualsiasi creditore art. 112, comma 3. La legittimazione è riconosciuta a qualsiasi creditore dissenziente anche se appartenente a classe assenziente, considerato che il concordato in continuità è approvato con il voto favorevole di tutte le classi.
L’eccezione di mancanza di convenienza fatta valere dal creditore dissenziente non apre alcun giudizio di merito sulla proposta, in quanto questa è stata comunque già accettata dai creditori con il voto favorevole espresso da tutte le classi.
Su tale eccezione il tribunale decide con la mera verifica se il credito portato dal creditore dissenziente opponente, risulta soddisfatto in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale. La violazione di questo generale principio (che informa il concordato, secondo la generale previsione del dell’art. 84, comma 1), impedisce l’omologa e comporta il rigetto della domanda di omologa se presentata.
Al tribunale non è comunque consentito di estendere d’ufficio la verifica del trattamento ad altri creditori o classi di creditori, in quanto, in mancanza di espresse eccezioni di dissenso o dissenso da parte dei creditori, l’accettazione manifestata con l’approvazione da parte di tutte le classi prevale e non consente di comparare il trattamento assegnato ai creditori o classi dei creditori assenzienti al livello di trattamento nella liquidazione giudiziale. 
Peculiare e nuova è la portata dell’opposizione del creditore dissenziente, anche di un solo creditore purché dissenziente. Essa apre ad un controllo di convenienza che resta rigidamente circoscritto al generale principio di ammissibilità del concordato, il quale consiste nel principio secondo il quale il concordato deve realizzare il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale, art. 84, comma 1. 
L’accoglimento dell’opposizione del singolo creditore dissenziente impedisce l’omologa, con effetti per il debitore e per tutte le classi dei creditori che avevano approvato la proposta. Il rigetto dell’opposizione del singolo dissenziente dà luogo alla sentenza d’omologa del concordato, restando irrilevante il trattamento riservato ai creditori che non si erano opposti all’omologa.
Una volta conseguita l’omologazione del concordato le possibilità che questa venga revocata nei successivi gradi di giudizio risultano significativamente limitate.
Infatti, per effetto delle modificazioni introdotte con il recepimento della direttiva 1013/2019, alla disciplina che nel procedimento unitario regola la revoca della liquidazione giudiziale, dell’omologazione del concordato e degli accordi di ristrutturazione, l’art. 53, è stato modificato con l’inserimento del comma 5 bis, che prevede una nuova ed opportuna disciplina sugli esiti del giudizio d’appello. 
Viene infatti previsto che la Corte d’Appello nel caso in cui accolga il reclamo contro la sentenza d’omologazione del concordato preventivo in continuità aziendale, su richiesta delle parti, piuttosto che rimuovere la sentenza d’omologa del concordato, può confermarla sulla base di un accertamento di convenienza, che ha per oggetto la verifica della prevalenza dell’interesse generale dei creditori e dei lavoratori. L’interesse alla conferma e stabilità dell’omologazione del concordato prevale rispetto al pregiudizio subito dal reclamante, riconoscendo a quest’ultimo il risarcimento del danno, se dimostrato.
Questa pragmatica ed opportuna soluzione consente di escludere il venir meno dell’utile risultato raggiunto con la procedura di concordato in continuità, consistente nella avvenuta regolazione della crisi o dell’insolvenza, che debitore e creditori hanno raggiunto. Viene infatti mantenuta la stabilità dell’omologa del concordato, che è seguita all’approvazione da parte di tutte le classi dei creditori.
Il legislatore del CCII, dando attuazione alla Direttiva Insolvency, in questo caso ha ripreso strumenti introdotti con la disciplina europea in materia di crisi e ristrutturazione bancaria. 
Anche nel concordato in continuità l’interesse complessivo alla stabilità del risanamento dell’impresa, conseguito con l’omologa del concordato, prevale rispetto all’interesse all’opposizione all’omologa fatto valere dal creditore dissenziente. La rilevanza del difetto di convenienza è nettamente ridimensionata e circoscritta all’eventuale pregiudizio subito dal creditore dissidente reclamante.
Particolarmente appropriata ed efficiente risulta la misura di tutela del creditore dissenziente reclamante in appello, il cui interesse viene soddisfatto con il risarcimento del danno per il pregiudizio subito, senza alcuna incisione sulla tenuta dell’avvenuta omologa.
Questo consente, inoltre, di evitare che le sorti del concordato restino incerte sino al raggiungimento della sentenza definitiva nei vari gradi del giudizio. L’efficacia degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza si basa sulla rapidità dell’intervento mentre ogni ritardo ed incertezza compromettono, sino a vanificare la capacità e le prospettive di risanamento del concordato, con conseguenze ancora più dannose per i creditori, oltre che per il debitore e per il sistema nel suo complesso.
Va rilevato che, con la rinnovata disciplina del concordato in continuità aziendale, per la prima volta nel diritto concorsuale (potremmo dire nel diritto comune concorsuale e non solo nella disciplina della crisi bancaria), l’interesse dei creditori alla stabilità della sentenza di omologa del concordato in continuità, viene a prevalere rispetto all’interesse del creditore pregiudicato dal concordato omologato, assegnando ad esso una tutela individuale e alternativa.
L’art. 53, comma 5 bis, prevede infatti che la proposta di concordato pregiudizievole per il creditore, approvata da tutti i creditori con l’unanimità espressa da tutte le classi e conseguentemente omologata, mantenga pienamente la sua efficacia mentre al creditore che dimostri il pregiudizio subìto, viene riconosciuta una tutela risarcitoria per equivalente e non una tutela in forma specifica.
La determinazione della misura della tutela del debitore pregiudicato attraverso la comparazione del trattamento che avrebbe avuto attraverso la liquidazione giudiziale e quello del concordato, trova le sue radici nel decreto legislativo 16 novembre 2015 n. 180 di attuazione della Direttiva 2014/59 sulla crisi e risoluzione della banca in dissesto.
Questa importante disciplina ha per la prima volta segnato il superamento del sistema della soddisfazione attraverso la liquidazione del patrimonio, attuando il concorso con la partecipazione dei creditori stessi all’assorbimento delle perdite, secondo il cosiddetto burden sharing. La procedura di risoluzione bancaria interviene sulle passività e ne determina la riduzione nella misura necessaria per assicurare la continuazione dell’attività bancaria. Le perdite vengono distribuite sugli azionisti e sui creditori della banca, i quali con la liquidazione concorsuale del patrimonio avrebbero in realtà subito un analogo o maggiore pregiudizio. Infatti, se la banca fosse stata liquidata essi avrebbero sopportato almeno la stessa perdita, in quanto le azioni sarebbero state integralmente svalutate e i crediti azzerati per incapienza dell’attivo, non sarebbero stati soddisfatti.
Il burden sharing, nella sostanza, anticipa gli effetti dell’incapienza dell’attivo sulla base di una valutazione prospettica di quelli che sarebbero stati gli esiti per i creditori e per gli azionisti di una liquidazione del patrimonio attraverso le classiche procedure concorsuali. Anticipa cioè al momento della apertura della procedura di risoluzione il concorso dei creditori sulle perdite, evitando che i creditori e l’intero sistema sopportino gli inevitabili pregiudizi connessi ad una procedura di liquidazione della banca.
La correttezza del procedimento di assorbimento delle passività e di distribuzione delle perdite sui creditori viene garantita dalla previsione del principio definito no creditor worse off, NCWO.  La distribuzione della perdita avviene sulla base di stime previsionali compiute da un esperto indipendente, art. 88, D.Lgs. n. 180/2015. L’esperto deve procedere alla valutazione della differenza di trattamento che azionisti e creditori avrebbero ricevuto se l’ente fosse stato sottoposto a liquidazione coatta amministrativa e quindi accertare l’eventuale differenza di trattamento che essi hanno ricevuto per effetto delle azioni di risoluzione.
Di qui il principio stabilito all’art. 89 dello stesso D.Lgs. n. 180/2015, volto a mitigare ex post le conseguenze subite per effetto dell’azione di riduzione e riconosce loro, laddove avessero subito perdite maggiori di quelle che avrebbero sopportato in caso di liquidazione coatta amministrativa, il diritto di ricevere a titolo di indennizzo una somma equivalente alla differenza determinata sulla base della valutazione della differenza di trattamento.
La soluzione adottata nel CCII presenta sotto questo profilo, la stessa ratio della risoluzione bancaria. La determinazione del danno risarcibile o indennizzabile avviene sulla base di quello che avrebbe potuto essere il trattamento dei creditori con la liquidazione giudiziale o coatta amministrativa. La liquidazione del patrimonio viene considerata meno conveniente o addirittura pregiudizievole rispetto ai complessivi interessi dei creditori e del sistema. L’eventuale pregiudizio subito per effetto della procedura alternativa alla liquidazione (risoluzione della banca e, nel nostro caso, omologazione del concordato) non intacca la stabilità della procedura e, nello stesso tempo, il pregiudizio subito dal creditore viene agevolmente risolto attraverso una tutela per equivalente, di natura indennitaria nella risoluzione bancaria o risarcitoria nel concordato in continuità [38].
In entrambi i casi ci troviamo di fronte ad un superamento del sistema e delle regole della responsabilità patrimoniale. I valori che si sarebbero ottenuti attraverso la liquidazione del patrimonio, piuttosto che essere direttamente distribuiti ai creditori con la liquidazione ed il riparto concorsuale, costituiscono il termine di paragone per valutare ed eventualmente correggere la misura della soddisfazione attuata attraverso la risoluzione della banca o il concordato in continuità nel nostro caso.
14 . Diverse regole distributive del valore di liquidazione e del valore eccedente quello di liquidazione ed autonomia del debitore nel determinare il contenuto della proposta e del piano nella distribuzione del valore e nella graduazione delle classi dei creditori
Come si è già accennato, all’apertura della procedura, la verifica del tribunale ha una diversa portata e contenuto a seconda che si tratti di concordato liquidatorio o di concordato in continuità[39].
La verifica per il liquidatorio investe l’ammissibilità della proposta e la fattibilità del piano mentre per il concordato in continuità riguarda la ritualità della proposta. La valutazione della proposta del concordato in continuità spetta ai creditori i quali, sulla base delle informazioni fornite dal debitore, verificate e valutate dal commissario, decidono sulla proposta con il voto espresso dalle classi di appartenenza. 
Lo stesso principio vale per il piano, che accompagna la proposta. Non è previsto un controllo di fattibilità. Spetta ai creditori nel maturare delle loro scelte, collegare la valutazione tecnica del piano con l’interesse alla continuazione dell’attività dell’impresa rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale.
Viene comunque previsto il potere del tribunale di dichiarare l’inammissibilità del piano se è manifestamente inidoneo alla soddisfazione dei creditori e alla conservazione dei valori aziendali, art. 47, comma 1, lett. b). 
Anche questa è una previsione in negativo, con la funzione di norma di chiusura. Il tribunale non accerta l’idoneità del piano rispetto agli obiettivi di risanamento tipici dello strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza. Piuttosto compie una verifica in negativo e cioè che il piano, per come è formulato, non sia tale da comportare un risultato opposto al risanamento, perché antitetico alla finalità di regolazione della crisi e di tutela del patrimonio e dei valori aziendali per inattitudine del piano stesso o perché neanche suscettibile di essere definito tale.
Con le modifiche apportate dal D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, nel concordato con continuità aziendale, la destinazione delle risorse ai creditori è stata collegata alla circostanza che queste siano provenienti dal patrimonio dell’impresa o siano il risultato della continuazione dell’attività dell’impresa stessa.
Dal patrimonio deriva il valore di liquidazione, inteso secondo la definizione di cui all’art. 87 comma 1, lett. c), quale valore di liquidazione del patrimonio alla data della domanda di concordato. Esso è destinato ad essere distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione, art. 85, comma 6,
Dalla continuità deriva il valore eccedente quello di liquidazione, che comprende tutti i ricavi derivanti dall’esercizio in continuità dell’impresa e gli apporti in qualsiasi forma erogati dai soci o dai terzi, quali conferimenti, versamenti a fondo perduto, in conformità con quanto previsto anche dall’art. 120 quater, comma 2, sulle condizioni di omologazione del concordato con attribuzioni dei soci. Tale valore di continuità, secondo quanto previsto dall’art. 84, comma 6, può essere distribuito ai creditori in deroga agli art. 2740 e 2741 c.c. ma a condizione che i creditori inseriti in una classe ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore[40].
La suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica ed interessi economici omogenei aveva già consentito di operare trattamenti differenziati tra creditori chirografari appartenenti a classi diverse art. 160, comma 1, lett. c) e d), L. fall. Con l’attuazione della Direttiva Insolvency, le possibilità di differenziare la distribuzione delle risorse tra i creditori si sono ampliate e collegate alla provenienza delle risorse stesse, se dal patrimonio o dalla continuità. 
Il vincolo del rispetto delle cause legittime di prelazione nella distribuzione del valore di liquidazione, contrapposto alla maggiore libertà di distribuzione del valore eccedente, è espressione della prevalenza delle ragioni della proprietà, rispetto a quelle dell’impresa.
Nella liquidazione, infatti, il diritto di credito si realizza attraverso l’apprensione da parte del creditore, del patrimonio del debitore. Questo avviene mediante l’esercizio dell’azione esecutiva singolare o collettiva fallimentare, le quali sono governate dagli artt. 2740 e 2741, come principi di razionalità dell’esecuzione stessa.
La natura imprenditoriale della prosecuzione dell’attività nel concordato in continuità restituisce al debitore la facoltà di operare la destinazione delle risorse per i pagamenti ai creditori secondo scelte di convenienza imprenditoriale. Queste seguono criteri che non necessariamente coincidono con il rigido rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione, art. 84, comma 6, APR, e piuttosto possono seguire una diversa strategia che consente all’imprenditore di scandire i tempi e la misura dei pagamenti secondo le esigenze di maggiore funzionalità ed utilità dei creditori (fornitori strategici, ecc.), e quindi realizzare nella regolazione della crisi un diretto governo del concorso tra i creditori secondo le regole della Relative Priority Rule, art. 84, comma 6, che appunto consente di intervenire sulla graduazione sulla misura e sui tempi di soddisfazione.
Le risorse che il debitore nel concordato con continuità aziendale può destinare ai creditori, secondo la nuova disciplina dell’art. 84 comma 6, vengono principalmente distinte tra il valore di liquidazione, che deve essere distribuito tra i creditori nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione (APR) e valore eccedente quello di liquidazione. 
Quest’ultimo può essere distribuito anche in deroga alla graduazione delle cause legittime di prelazione, purché i crediti inseriti in una classe ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore (RPR).
La facoltà di derogare alle cause di prelazione trova un ulteriore riconoscimento nell’ambito della disciplina della suddivisione dei creditori in classi. L’art. 85, comma 4, nell’affermare il principio secondo cui il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l’effetto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione, ne prevede, nello stesso tempo, la deroga in relazione alle previsioni dell'art. 84, commi 5, 6 e 7, relativi alla degradazione in chirografo del credito prelatizio incapiente ed alla distribuzione del valore eccedente quello di liquidazione tra le diverse classi.
Questa disciplina deve essere necessariamente coordinata con quanto previsto in relazione all'omologa del concordato in continuità. 
Secondo l’art. 112, comma 1, lett. f), in caso di concordato in continuità aziendale, una volta che tutte le classi abbiano votato favorevolmente, il tribunale omologa il concordato e verifica che il piano non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza e che eventuali nuovi finanziamenti siano necessari per l’attuazione del piano e non pregiudichino gli interessi dei creditori.
Se il concordato è stato approvato all’unanimità da tutte le classi, il tribunale omologa il concordato in continuità aziendale ed anche in questo caso l’intervento del tribunale si limita ad una verifica in negativo. Si tratta di un controllo del tutto coerente nel contenuto e nel metodo con quello che spetta al tribunale al momento dell’apertura della procedura, che è limitato alla verifica se il piano è manifestamente inidoneo alla soddisfazione dei creditori, come proposta dal debitore, e alla conservazione dei valori aziendali, art. 47, comma 1, lett. b).
Nel concordato in continuità, il livello di soddisfazione, le modalità attraverso le quali essa realizza, il trattamento tra le diverse classi dei creditori sono assorbite dall’accettazione di tutti i creditori alla proposta ed al piano, espressa con l’approvazione del concordato da parte di tutte le classi. 
In questo caso, come si è detto, il tribunale omologa il concordato limitandosi a verificare la completezza della fattispecie in relazione alla regolarità della procedura, all’esito della votazione, alla corretta formazione delle classi, alla parità di trattamento dei creditori all’interno di ciascuna classe e alla contraddittorietà del piano rispetto alla finalità di impedire o superare l’insolvenza, la quale costituisce il presupposto di ogni strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza. 
Il livello di soddisfazione dei creditori, le modalità di distribuzione del valore tra le classi dei creditori sono elementi della proposta e del piano che, per effetto della avvenuta approvazione da parte di tutte le classi dei creditori, hanno già ricevuto una definizione, che non può essere rimossa in sede d’omologa dal tribunale. 
La previsione di cui all’ultima parte dell’art 120, comma 2, lett. f), consente inoltre al tribunale di omologare il concordato anche nell’ipotesi in cui sia emersa la necessità di sorreggere l’attuazione del piano con ulteriori finanziamenti, in relazione ai quali al tribunale è richiesto solo di verificare che gli oneri conseguenti non siano tali da pregiudicare gli interessi dei creditori.
15 . Relative Priority Rule RPR, limiti della verifica della proposta approvata da tutte le classi dei creditori nel concordato in continuità. Mancata approvazione da parte di una o più classi, richiesta d’omologa del debitore e verifica del tribunale
La mancata approvazione da parte di una o più classi non preclude al debitore la possibilità di ottenere l’omologazione del concordato. Il debitore può richiedere l’omologa anche se le classi dei creditori hanno espresso in parte voto contrario sulla proposta. L’art. 120, comma 2, prevede infatti che il debitore possa richiedere al tribunale l’omologa della proposta se una o più classi sono dissenzienti ma non stabilisce un limite minimo di approvazione da parte delle classi dei creditori, né richiede che la proposta sia stata approvata dalla maggioranza. Va osservato che quando l’avvenuta approvazione da parte della maggioranza viene richiesta, lo stesso art. 112, comma 2, lett. d), prima parte, lo prevede espressamente. 
Questi elementi testuali fanno ritenere che il debitore possa richiedere ed ottenere l’omologa del concordato anche contro la volontà contraria espressa non solo da una o più ma anche da parte della maggioranza delle classi dei creditori. 
Al tribunale viene assegnato il compito di valutare l’avvenuto rispetto delle condizioni di cui all’art. 120 comma 2.  All’esito di tale verifica il Tribunale omologa il concordato, qualora ritenga che la proposta di concordato, pur non approvata da tutte le classi dei creditori, rispetti, nel contenuto e nelle modalità di trattamento dei creditori, i requisiti specificamente richiesti dall’art. 112, comma 2, tanto in relazione al contenuto lett. a), b), c), quanto in relazione alla circostanza che all’approvazione a maggioranza abbia concorso una classe formata da titolari di diritti di prelazione o che almeno una classe particolarmente svantaggiata, perché ad essa la proposta assegnava un trattamento comparativamente meno favorevole rispetto a quello cui avrebbe avuto diritto, abbia, ciò nonostante, approvato la proposta, lett. d).
L’art. 88, nel regolare la transazione fiscale nel concordato, esordisce con l’espressione fermo restando quanto previsto per il concordato in continuità aziendale dall’art. 112, comma 2, al fine di escludere la possibilità che il trattamento riservato al fisco con la transazione fiscale possa derogare ai principi dell’art. 112, secondo comma: questo in relazione alla destinazione del valore eccedente quello di liquidazione, rispetto al quale anche il fisco non può subire un trattamento deteriore rispetto a quello riservato agli altri creditori, secondo le richiamate regole dell’art. 112, secondo comma.
Una volta accertata da parte del commissario la mancata approvazione da parte di una o più classi, il debitore può comunque presentare istanza di omologa. In tal modo il giudice delegato, cui spetta riferire al tribunale l’esito delle votazioni per i conseguenti provvedimenti, potrà fissare udienza in camera di consiglio per la comparizione delle parti e del commissario giudiziale e provvedere ai sensi dell’art. 48, per aprire il giudizio di omologa, come nel caso in cui il concordato sia stato approvato dai creditori o da tutte le classi dei creditori.
Il secondo comma dell'art. 112 prevede, infatti, che se una o più classi sono dissenzienti, il Tribunale su richiesta del debitore, omologa se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni:
a) il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione;
b) il valore eccedente quello di liquidazione è distribuito in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore, fermo restando quanto previsto dall’articolo 84, comma 7;
c) nessun creditore riceve più dell’importo del proprio credito;
d) la proposta è approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza, la proposta è approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione.
Con la richiesta del debitore di omologa della proposta e del piano non approvato dalle classi dei creditori, spetta al tribunale di effettuare significativi controlli che altrimenti sarebbero preclusi quando la proposta ed il piano risultino accettati da parte dei creditori per effetto del voto favorevole di tutte le classi.
In realtà per i motivi esposti precedentemente, la mancata approvazione da parte di una o più classi apre anche alla ulteriore verifica del trattamento riservato ai soci secondo il procedimento previsto all’art. 120 quater, attraverso la comparazione del trattamento dei soci rispetto alla classe dei creditori dissenzienti, se alle classi di rango inferiore a quella dissenziente venisse destinato il valore complessivamente riservato ai soci. Come si è già detto, si tratta di un controllo eventuale, nel caso in cui la proposta di concordato non sia stata approvata dalla totalità delle classi dei creditori
La prima condizione, prevista dall’art. 112, comma 2, che il valore di liquidazione sia distribuito nel rispetto delle cause legittime di prelazione e la terza condizione, che nessun creditore riceva più dell'importo del proprio credito, riguardano il contenuto della proposta, in relazione alle modalità di distribuzione del valore di liquidazione ed in relazione ai limiti del potere di distribuzione delle risorse ai creditori, anche oltre l’ammontare del credito, ai creditori. 
Tali condizioni, con il consenso di tutti i creditori, vale a dire con l’approvazione di tutte le classi, sono derogabili dal debitore. Ma in mancanza di tale consenso dei creditori, il tribunale non può procedere all’omologa richiesta dal debitore, se non previa verifica che il concordato rispetti le predette condizioni e cioè preveda la distribuzione del valore di liquidazione secondo la graduazione delle cause legittime di prelazione e che nessuna risorsa venga attribuita ai creditori in misura maggiore dell’ammontare del loro credito.
Gli spazi di autonomia del debitore e dei creditori nella distribuzione del valore di liquidazione sono quindi confinati all’ipotesi della approvazione totalitaria da parte di tutte le classi della proposta. Altrimenti, come vedremo, a differenza che per il valore eccedente quello di liquidazione, la verifica del tribunale per l’omologazione richiesta dal debitore non ammette deroghe alla regola della distribuzione del valore di liquidazione secondo la graduazione delle cause legittime di prelazione.
16 . L’approvazione a maggioranza delle classi, di cui una di creditori prelatizi ammessi al voto. Approvazione solo da parte di una classe che, approvando la proposta, ha accettato il trattamento deteriore previsto nella proposta, conseguente omologa
Diverso è il discorso per la seconda condizione (art. 112, comma 2, lett. b)), che prende in considerazione la distribuzione del valore eccedente quello di liquidazione, in relazione al quale il tribunale è chiamato a verificare se, nella distribuzione di tale valore, le classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore.
La verifica del trattamento è limitata alle classi che, manifestando il dissenso, hanno mostrato di non accettare il trattamento loro riservato. La verifica non si estende alle classi assenzienti, le quali potrebbero aver subito il medesimo o analogo trattamento deteriore, ma quali assenzienti, hanno accettato tale trattamento deteriore, approvando il concordato.
È dunque questa una condizione che assume rilievo nel caso in cui le classi che non hanno approvato il concordato (classi dissenzienti), abbiano subito un trattamento comparativamente meno favorevole rispetto ad altre classi. Questa condizione non rileva o meglio non è applicabile, se la classe o le classi che hanno manifestato il dissenso non risultano aver subito un trattamento comparativamente meno favorevole ma abbiano ritenuto di manifestare il dissenso per motivi diversi, in quanto ad esempio non hanno apprezzato positivamente la proposta nel suo complesso di concordato.
A differenza di quella ora esaminata, che assicura alle classi dissenzienti il rispetto della relative priority rule, la quarta condizione (art. 112, comma 2, lett. d)), individua il presupposto dell’omologazione nell’approvazione a maggioranza delle classi oppure nell’approvazione da almeno una classe di creditori particolarmente interessati, in quanto destinatari di un trattamento meno favorevole di quello loro spettante secondo la graduazione delle cause legittime di prelazione.
La prima condizione prevista nella lett. d) del secondo comma dell’art. 112, richiede che il concordato sia stato approvato, si potrebbe dire, da una maggioranza rafforzata o qualificata per la presenza tra le classi assenzienti di una classe formata da creditori titolari di diritto di prelazione, interessati e quindi votanti nel concordato, in quanto da soddisfare oltre i 180 giorni previsti dall’art. 109, comma 5.
La seconda condizione prevista nella lett. d), richiede che, in mancanza dell’approvazione neanche a maggioranza della proposta di concordato, questa sia stata approvata almeno da una classe di creditori, i quali, se fosse stata osservata la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione, sarebbero stati almeno parzialmente soddisfatti.
L’approvazione anche da parte di una sola classe di una proposta e di un piano, che in relazione alla distribuzione del valore eccedente quello di liquidazione, abbia accettato un trattamento deteriore rispetto a quello ad essi spettante secondo la graduazione delle cause legittime di prelazione, assorbe e prevale sulla circostanza che complessivamente le classi dei creditori non abbiano in alcun modo, neanche a maggioranza, approvato la proposta.
Il presupposto dell’omologazione della proposta, con l’introduzione di questa del tutto innovativa condizione non risiede neanche in parte sulla volontà dei creditori. Non viene infatti richiesta un’adesione di questi alla proposta né totalitaria, né maggioritaria. 
È piuttosto sufficiente per l’omologa del concordato, che anche una sola classe e quindi anche una minoranza di creditori formata in una classe, abbia accettato, mediante approvazione della proposta, un livello di soddisfazione sul valore eccedente quello di liquidazione, inferiore rispetto a quello cui avrebbe avuto diritto secondo le regole della graduazione.
La circostanza che una classe nonostante il trattamento deteriore ad essa riservato, abbia approvato la proposta, sempre che sussistano le altre già esaminate condizioni di cui alle lett. a), b), c), dà luogo alla omologazione del concordato da parte del tribunale, pur non avendo né la totalità delle classi, né la maggioranza, approvato la proposta. 
Oltre che sull’avvenuto rispetto delle condizioni di contenuto di cui alla lett. a), b), c), l’omologazione del concordato si fonda in questi casi sulla circostanza, che, per i vantaggi che la continuità offre ai creditori e per il pregiudizio che evita allontanando la liquidazione giudiziale, la soluzione concordataria è preferita, nonostante preveda condizioni di trattamento deteriori rispetto a quelle cui i creditori avrebbero diritto.
La complessiva disciplina dell’omologazione del concordato con continuità aziendale pone in luce spazi di autonomia del debitore nel costruire il contenuto della proposta e del piano, a seconda che il concordato abbia ottenuto l’approvazione di tutte le classi o tale approvazione sia mancata.
È in quest’ultimo caso che, su istanza del debitore il tribunale procede alla verifica dell’avvenuto rispetto delle condizioni sopra illustrate, mentre una tale verifica non è prevista nel caso di avvenuta approvazione da parte di tutte le classi, in quanto il tribunale, dopo aver accertato che tutte le classi abbiano votato favorevolmente e che il piano non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza, e che eventuali finanziamenti siano necessari per l’attuazione del piano e non pregiudichino gli interessi dei creditori, omologa il concordato in continuità aziendale.
Ne deriva quindi che il debitore potrebbe sottoporre ai creditori una proposta ed un piano concordatario, i cui contenuti potrebbero non rispettare le condizioni, di cui al secondo comma dell’art. 112. 
La proposta potrebbe discostarsi nella distribuzione del valore di liquidazione e del valore eccedente quello di liquidazione dai criteri di cui all’art. 84, comma 6, e prevedere (anche se si tratta di una ipotesi piuttosto remota), una distribuzione superiore al valore del credito.
Questa conclusione è suggerita dalla circostanza che, secondo quanto previsto dal primo comma dell’art. 112, il Tribunale omologa il concordato con continuità aziendale, verificato che tutte le classi abbiano votato il concordato favorevolmente, senza che sia prevista una verifica da parte del tribunale del rispetto delle regole della graduazione nella distribuzione del valore di liquidazione o del valore eccedente quello di liquidazione.
La verifica del tribunale ha luogo nel caso di mancata approvazione del concordato da parte dei creditori ed è richiesta dal debitore al fine di ottenere dal tribunale l’omologa della proposta cui i creditori hanno negato l’approvazione. La verifica del tribunale, quindi, non può che avere ad oggetto quelle condizioni che avrebbero potuto essere derogate con l’approvazione totalitaria di tutte le classi ma che, in mancanza di approvazione totalitaria, spetta al tribunale esigerne il rispetto. Le norme di cui agli artt. 84, comma 6 e 85, comma 2, debbono infatti essere intese come dispositive e non imperative, in quanto derogabili dall’ volontà collettiva dei creditori che aderisce ed approva la proposta, espressa attraverso le modalità concorsuali di approvazione dai tutte le classi.
Nello stesso tempo va rilevato che gli spazi per il debitore di costruire una proposta di concordato, che si discosti dalle regole dei principi della corretta graduazione delle cause legittime di prelazione, per quanto concerne il valore di liquidazione e il valore eccedente quello di liquidazione appaiono contenuti. Il debitore correrebbe il rischio della mancata approvazione da parte di tutte le classi e la proposta di concordato non potrebbe sostenere la verifica del tribunale di cui al secondo comma dell’art. 112.  Inoltre, lo stesso debitore, consapevole che la mancata osservanza dei principi sulla graduazione impedirebbe comunque l’omologa del concordato, non avrebbe interesse a richiedere l’omologa al tribunale.

Note:

[1] 
R. Nicolò, Della responsabilità patrimoniale, art. 2740, in Commentario Scialoja e Branca, 1955, p. 2; D. Rubino, la responsabilità patrimoniale. Il Pegno, in F. Vassalli, Trattato di diritto civile italiano, Torino, 1956, 1949: M. Giorgianni, L’obbligazione (la parte generale delle obbligazioni), Milano, 1968, Inadempimento (diritto privato), in Enc. Dir. 1970, 12; A. Di Majo, Obbligazioni in generale, in Commentario Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1988, 146; Roppo, Responsabilità patrimoniale, in Enciclopedia del diritto, 1988; C. Miraglia, Responsabili patrimoniale, sin Enc. Giur. 1991; Macario, Principi generali e nuovi scenari della responsabilità patrimoniale, in Giust. Civ., 2015.
[2] 
B. Inzitari, Le new properties nelle società postindustriale, in Le obbligazioni nel diritto degli affari, Padova, 2006, p. 914.
[3] 
B. Inzitari, Il mandato, in Profili del diritto delle obbligazioni, Padova, 2009, p.541; P. Schlesinger, Il primato del credito, in Riv. dir. civ, 1990, p. 825, M. Casella, Il primato del debito (o del credito), in Giur. comm, 1991; p. 716; V. Confortini, Primato del credito, Napoli, 2020, 33 e segg.
[4] 
B. Inzitari, Natura delle cessioni nel contratto di factoring e procedure concorsuali, in Le obbligazioni nel diritto degli affari, Cedam, 2006, p. 795.
[5] 
Codice Napoletano, art. 1962, Chiunque si è obbligato personalmente, è tenuto ad adempiere alle sue obbligazioni su tutti i suoi beni mobili ed immobili, presenti e futuri; art. 1963 I beni del debitore sono la comune garentia dei suoi creditori; ed il prezzo si ripartisce fra essi per contributo, quando non vi siano cause legittime di prelazione fra creditori; art. 1964 le cause legittime di prelazione sono i privilegi e le ipoteche.
[6] 
F. Parente, Nuovo ordine dei privilegi e autonomia privata, Napoli, 1981; F. Del Vecchio, II privilegi nella legislazione civile, fallimentare e speciale, Milano 1994; G. Ragusa Maggiore, Il sistema dei privilegi nel fallimento, Milano, 1973.
[7] 
Ulteriormente ampliata per determinati settori quali quello delle imprese di navigazione marittima con il D.L. 28 aprile 1982, n. 185.
[8] 
P.G. Jaeger, Par condicio creditorum, in Giur. Comm., 1984, I, p. 102; V. Roppo, Par condicio creditorum, in Rescigno, Trattato di diritto privato, Torino, 2008, p. 529; V. Colesanti, Mito e realtà della par condicio creditorum, in Fallimento, 1984, p.32; M. Fabiani, La par condicio creditorum al tempo del codice della crisi, in Questione giustizia; La regola della par condicio creditorum all’esterno di una procedura di concorso, in Il Fall., 3/2020, p. 333.
[9] 
B. Inzitari, Besondere Probleme der Sicherungsabtretung in Italien, in Die Forderungsabtretung, insbesondere zur Kreditsicherung, in ausländischen Rechtsordnungen, Duncker & Humblot – Berlin, 1999, p. 393. 
[10] 
B. Inzitari, Neue Widersprüche der par condicio creditorum: die Novellierung des italienischen Zivilgesetzbuches über die Eintragung des Vorvertrages für den Erwerb von Immobilien, in ZEUP, n. 3/1998, p. 677.
[11] 
B. Inzitari, Leasing nel fallimento: soddisfazione integrale del concedente fuori dal concorso sostanziale e necessità dell’accertamento del credito nel concorso formale in Contratto e Impresa, 2012, Padova – CEDAM.
[12] 
B. Inzitari, Le cessioni del credito a scopo di garanzie: inefficacia ed inopponibilità ai creditori dell’incasso del cessionario nel fallimento nel concordato e nell’amministrazione controllata, in Le obbligazioni nel diritto degli affari, Padova, 2006, p. 759.
[13] 
Questa interpretazione fu analiticamente contrastata dalla dottrina, cfr. B. Inzitari, Il soddisfacimento dei creditori forniti di prelazione e risoluzione del concordato preventivo con cessione dei beni, in Giur. Comm., Giuffrè, 1990, I, p. 383; C. Balbi, I creditori con diritto di prelazione, in Riv. Dir. Proc., 1989, p. 418.
[14] 
B. Inzitari, Revocatoria fallimentare e principio redistribuito, in Le obbligazioni nel diritto degli affari, p. 753.
[15] 
D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito nella L. 14. Maggio 2005, n. 80.
[16] 
B. Inzitari, Tendenze riduzionistiche della revocatoria fallimentare nel progetto di riforma: effetti sulla concorrenza e sulla libertà di mercato, in Le obbligazioni nel diritto civile degli affari, p. 729.
[17] 
Si è trattato di una svolta significativa perché in passato ogni accordo del debitore con i creditori diretto ad evitare il fallimento, caso di successiva dichiarazione di fallimento comportava rilevanti rischi per tutte le parti che rimanevano esposte all’azione revocatoria ed alla imputazione di bancarotta.
[18] 
S. Leuzzi, Il volto nuovo del concordato preventivo in continuità aziendale, in Dirittodellacrisi.it, settembre 2022; S. Leuzzi, Appunti sul Concordato Preventivo ridisegnato, Dirittodellacrisi.it, maggio 2022; M. Fabiani, Un affresco sulle nuove milestones del concordato preventivo, Dirittodella crisi.it, 2022.
[19] 
In considerazione di queste profonde differenze, si può dire che le due diverse tipologie di concordato di liquidazione e in continuità possono oggi essere ancora ricompresi nell’ambito della generale categoria del concordato ma questo avviene allo stesso modo in cui la categoria generale del contratto di società, pur comprendendo i diversi tipi di società, si divarica poi nettamente nelle società di persone e di capitale, che, pur contrassegnate dalla stessa radice, si sviluppano secondo discipline e articolazioni funzionali profondamente diverse.
[20] 
Per effetto dei non riusciti tentativi di introdurre un unico procedimento nel CCII della crisi del 2019 e successivamente per effetto delle necessarie modifiche apportavate al CCII della crisi dal D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 in attuazione della direttiva 1023/2019, la disciplina dell’accesso al concordato, è distribuito negli articoli del procedimento unitario, art. 40 e segg. e negli artt. 120 bis e segg. nella sezione VI, introdotta con riferimento alle società.
[21] 
L. De Bernardin, La domanda d’accesso agli strumenti di regolazione della crisi, in Studi sull’avvio del codice della crisi, 2023, p. 48 e segg.
[22] 
A. Patti, Tutela dei diritti dei lavoratori, salvaguardia dell’impresa e CCII, Il Fall., 2022, p. 1337.
[23] 
Così Cass. 15.1.2020, n. 734.
[24] 
Cfr Cass. 15.1. 2020 cit, che con parole chiare aveva deciso che la compresenza in piano di attività liquidatorie che si accompagnino alla prosecuzione dell’attività aziendale è dunque espressamente contemplata dal legislatore, all’interno della norma …art. 186 bis, il che non lascia equivoci di sorta in merito al fatto che tale normativa governa la fattispecie ..concordato in continuità che prevede la dismissione dei beni, ritenendo quindi non giustificato giudicare il concordato sulla base della prevalenza.
[25] 
M. Campobasso, Il concordato liquidatorio semplificato: ma perché il concordato preventivo non trova pace?, NLCC, 2022, p. 116.
[26] 
Campobasso, op.cit., 118.
[27] 
G. D’Attorre, Sostenibilità e responsabilità sociale nella crisi d’impresa, Dirittodellacrisi.it, 2022. 
[28] 
Non può non osservarsi che l’impatto della nuova disciplina inserita nel CCII con il D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, art. 47, sul già disarmonico testo del procedimento unitario del CCII del 2019, ha accentuato le difficoltà per l’interprete di seguire il filo logico delle diverse norme, la cui lettura e coordinamento soffre i limiti dell’originario testo del CCII introdotto con il D.Lgs. 12 gennaio 1919.
[29] 
Cfr A. Nigro, La nuova disciplina degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società, in Ristrutturazioni aziendali 11 ottobre 2022.
[30] 
M. Arato, Il ruolo di soci e amministratori nei quadri di ristrutturazione preventiva, Dirittodellacrisi.it, 2022; M. Spadaro, Il concordato delle società, Dirittodellacrisi.it, 2022; L. A. Bottai, A. Pezzano, M. Ratti, M. Spadaro, Il concordato con attribuzioni ai soci: criticità e prospettive del nuovo art. 120 quater CCII, Dirittodellacrisi.it, 2022.
[31] 
A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi, Società, 2022, p. 945; M. Perrino, Relative priority rule e diritti dei soci nel concordato preventivo, 2023.
[32] 
A. Nigro, op. cit. passim.
[33] 
Abbiamo detto “solo eventualmente nella continuità indiretta, perché con la cessione dell’azienda, preceduta o meno dall’affitto, appare esclusa la possibilità che resti ai soci un valore risultante dalla ristrutturazione. Questo potrebbe avvenire (ma si tratta di un’ipotesi poco realistica), se alla scadenza dell’affitto l’azienda fosse restituita alla società, oppure se si ipotizzasse una previsione del piano che consente, oltre un certo livello di soddisfazione dei creditori, l’attribuzione di un eventuale earn out, alla società da parte del soggetto che porta avanti alla continuità indiretta.
[34] 
Se per ipotesi tutti i creditori risultassero integralmente soddisfatti, la circostanza che i soci possano trarre vantaggio dal consolidarsi di tale valore effettivo sulle partecipazioni di cui sono titolari, risulterebbe del tutto estranea agli interessi ed ai diritti già integralmente soddisfatti dei creditori, col risultato del venir meno di una qualsiasi contendibilità di tale valore che verrebbe integralmente e definitivamente acquisito dai soci.
[35] 
G. Nardecchia, Il voto nel concordato preventivo, Dirittodellacrisi.it, 2022.
[36] 
G. Bozza, Le maggioranze per l’approvazione della proposta concordataria, Dirittodellacrisi.it, 2022, Il sistema delle votazioni nei concordati tra presente e futuro, Dirittodellacrisi.it, 2022.
[37] 
In realtà, come si vedrà gli spazi di autonomia del debitore nel costruire la proposta potrebbero essere più ampi ma troverebbero un limite nel caso di mancata approvazione da parte di tutte le classi, in quanto il dissenso di una o più classi, se il debitore richiede l’omologazione del concordato, comporta la verifica da parte del Tribunale dell’avvenuta osservanza delle condizioni di cui all’art. 112, comma 2, dal cui esito dipende l’omologa del concordato.
[38] 
Nel D.Lgs. n. 180/2015, tale diritto è correttamente definito con riferimento alla figura dell’indennizzo e non del risarcimento del danno, in quanto non ha la funzione di reintegrare un danno contrattuale o extracontrattuale, né di porre rimedio alla violazione di un diritto assoluto o relativo, né tantomeno di rimediare ad una fattispecie di indebito bensì ha la funzione di riconoscere una somma a titolo di rettifica dei conteggi di stima precedentemente applicati e successivamente aggiornati. Il principio cui fare riferimento è dunque quello della rettifica del contratto, di cui all’art. 1430 c.c. (cfr. Inzitari, BRRD, Bail in, risoluzione della banca in dissesto, condivisione concorsuale delle perdite (D.Lgs. n. 180 del 2015), in Dir fall. 2015, I, p. 656. Nel caso della risoluzione bancaria le obbligazioni che derivano da tale rettifica non vengono fatte ricadere sul cessionario dell’azienda bancaria o comunque sul patrimonio oggetto della cessione perché tali patrimoni sono estranei ai procedimenti realizzati dall’autorità di risoluzione. Nel nostro caso appare appropriato addossare al debitore concordatario tali obbligazioni, nominalmente definite risarcitorie dall’art 53, comma 5 bis, ma in realtà anch’esse riconducibili ad un errore di calcolo della proposta e del piano del debitore concordatario, in relazione ai vantaggi o svantaggi comparativi tra la soluzione concordataria e liquidatoria, che comportano rettifica e quindi conseguenti aggiustamenti indennitari.
[39] 
S. Leuzzi, L’omologazione del concordato preventivo in continuità, in Dirittodellacrisi.it, 2023.
[40] 
G.P. Macagno, La distribuzione di valore tra regole di priorità assoluta e relativa. Il plusvalore da continuità, Dirittodellacrisi.it, 2022; T. Ballarino, Art. 160, 2 comma L. fall. (art. 85 c.ci.i.), surplus concordatario e soddisfazione dei creditori privilegiati nel concordato preventivo. NLCC, 2021, p. 71.

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