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Commento

Il concordato liquidatorio semplificato e le sue insidie: la pronuncia del tribunale di Como del 27 ottobre 2022. Riflessioni sull’approccio del creditore bancario*

Tommaso Senni, Avvocato in Milano e docente a contratto all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

5 Gennaio 2023

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.

Visualizza: Trib. Como, 27 ottobre 2022, Pres. Parlati, Est. Previte

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Riproduzione riservata
1 . Premessa
In data 27 ottobre 2022, il tribunale di Como si è pronunciato a favore dell’omologa del piano di concordato liquidatorio semplificato depositato da una società editoriale, a seguito dell’infruttuoso espletamento della composizione negoziata della crisi[1]. La società debitrice, in sostanza, si era trovata costretta a prendere atto dell’impossibilità di percorrere le ipotesi di risanamento delineate durante la composizione negoziata ed aveva, così, formulato un piano di concordato liquidatorio semplificato, ottenendo l’avallo dell’esperto nominato nella prima fase e, da ultimo, l’omologa del tribunale competente per territorio (pur considerate le plurime opposizioni avanzate dai creditori). A quanto consta, si tratta della prima decisione di omologa di un concordato liquidatorio semplificato.
La pronuncia rappresenta l’occasione per fare il punto su una procedura su cui, finora, i commentatori si sono soffermati in misura meno incisiva (rispetto ad altre procedure previste dalle recenti riforme del diritto concorsuale, come il concordato preventivo): ci riferiamo al concordato liquidatorio semplificato, che, come noto, era stato introdotto (unitamente alla composizione negoziata della crisi) già dal D.Lgs. 24 agosto 2021, n. 118, convertito in L. 21 ottobre 2021, n. 147. Successivamente, il concordato liquidatorio semplificato sarebbe confluito negli articoli 25 sexies e 25 septies del CCII del Codice della Crisi e dell’Insolvenza d’Impresa. 
Prima di addentrarci nell’analisi dei temi sollevati dal decreto, è opportuno fornire un breve inquadramento dell’istituto, specie con riguardo alle differenze tra lo stesso e il concordo preventivo. Come confermato dalla pronuncia comasca, sono innegabili “le differenze del concordato semplificatorio rispetto al concordato preventivo di cui agli artt. 161 ss. L.f. (ora art. 44 C.C.I.), che fanno del primo un istituto sui generis e non paragonabile con il secondo in rapporto di species a genus. L’elemento qualificante del concordato semplificatorio è dato dalla mancanza di approvazione da parte del ceto creditorio, non essendovi l’adunanza dei creditori o istituto simile. Manca inoltre la previsione dell’attestazione di veridicità dei dati e della fattibilità, nonché la previsione delle soglie che invece condizionano l’ammissibilità della proposta di concordato quando di natura liquidatoria”. 
Proprio la diversità radicale del concordato liquidatorio semplificato (rispetto al concordato preventivo) aveva indotto i primi commentatori a parlare di “rivoluzione del concordato liquidatorio semplificato”[2].
Come noto, lo strumento in esame è utilizzabile solo in caso di conclusione «senza esito positivo» della composizione negoziata, ove emerga che «le soluzioni presentate non sono praticabili», purché le trattative si siano svolte con correttezza e buona fede. La domanda di concordato semplificato deve essere depositata entro sessanta giorni dalla trasmissione della relazione finale dell’esperto alla Camera di Commercio competente, ai fini della pubblicazione al Registro Imprese. La proposta di concordato semplificato consiste, essenzialmente, nella cessione dei beni che compongono il patrimonio del debitore[3] (come da apposito piano di liquidazione) e dalla distribuzione dei relativi proventi a favore dei creditori (per inciso, è puramente facoltativa la ripartizione dei creditori in classi – opzione di cui, nel caso sottoposto al tribunale di Como, il debitore non si è avvalso). L’esperto nominato in seno alla composizione negoziata (antecedente logico necessario del concordato semplificato) rilascia un proprio parere sui «presumibili risultati della liquidazione» e sulle garanzie offerte. Il tribunale, a sua volta, valuta la «ritualità», il parere dell’esperto e le garanzie offerte, nomina un ausiliario, perché fornisca un proprio parere, in aggiunta a quello dell’esperto, e ne dà comunicazione ai creditori. Viene quindi convocata l’udienza per l’omologa (con il rispetto di un termine dilatorio minimo di quarantacinque giorni), in cui vengono assunti i mezzi istruttori ritenuti opportuni (anche d’ufficio) e verificata la regolarità del contraddittorio e del procedimento nel suo complesso, nonché il rispetto dell’ordine dei privilegi, la fattibilità del piano di liquidazione, l’assenza di pregiudizi rispetto alla liquidazione giudiziale e la presenza di un’utilità a favore di ciascun creditore. Proprio riguardo all’assenza di pregiudizi (rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale)[4], il tribunale di Como precisa che tale verifica deve compiersi con riguardo a due distinti profili: “(i) se vi siano state voci dell’attivo e del passivo che possano avere differente espressione nel concordato semplificato proposto e nell’alternativa della liquidazione giudiziale (già fallimentare) e (ii) l’esame della ripartizione tra i creditori dell’attivo realizzato, con il confronto tra l’utilità che il creditore potrebbe conseguire nella liquidazione giudiziale e nell’ipotesi di concordato semplificato”. 
Completate tali verifiche (che possono involgere anche l’indagine su eventuali soluzioni migliori sul mercato)[5], il tribunale omologa il piano e nomina (con lo stesso decreto di omologa) un liquidatore.
2 . Le insidie e le anomalie del concordato liquidatorio semplificato
Ciò premesso, una delle caratteristiche essenziali (se non quella principale) del concordato semplificato rimane l’assenza del diritto di voto in capo ai creditori. Prima facie, tale carenza appare controbilanciata da due aspetti: da un lato, è prevista la facoltà, per i creditori, di proporre opposizione all’omologa (previa costituzione nel giudizio di omologa, nel termine perentorio di dieci giorni prima dell’udienza all’uopo convocata) e il diritto di proporre reclamo entro trenta giorni avanti alla corte d’appello (avverso la decisione di quest’ultima, il creditore può promuovere ricorso per Cassazione); dall’altro lato, è prevista (sia pur in via implicita) la generica facoltà del creditore di interloquire con l’esperto, con l’ausiliario e con il liquidatore, oltre che il diritto di prendere visione delle relazioni periodiche semestrali predisposte dal liquidatore e richiedere (ove ne ricorrano i presupposti, i.e., un inadempimento non di non scarsa importanza rispetto agli obblighi assunti con la proposta concordataria) la risoluzione del concordato[6]. In altre parole, alla soppressione del diritto di voto suppliscono rimedi di natura procedimentale, per lo più esercitabili in ottica ex post (cioè a ridosso dell’omologa). 
Va ricordato, peraltro, come è stato messo in luce da alcuni commentatori[7], che il “concordato senza voto” è in linea con l’articolo 11, comma 1 lett. b (ii), capoverso finale[8] e con il comma 2, ultimo capoverso[9] della direttiva insolvency. Anche volgendo lo sguardo al panorama normativo italiano, l’eliminazione del voto non rappresenta una novità: si pensi, ad esempio, alla liquidazione controllata ed al piano del consumatore per le imprese c.d. “sotto soglia” nella procedura di sovraindebitamento. La presenza di concordati c.d. “coattivi”, cioè privi di una fase formale di votazione, si rinviene anche in altre precedenti esperienze, quali la liquidazione coatta amministrativa (art. 214 L. fall.), l’amministrazione straordinaria (art. 78 L. fall.) e la liquidazione coatta bancaria e assicurativa[10].
La mancanza del diritto di voto, in ogni caso, rende il concordato semplificato uno strumento per molti versi anomalo, appropriato in caso di strategie volte ad eludere, di fatto, i diritti e le tutele generalmente riconosciute ai creditori. Proprio perché esente dall’obbligo di raccogliere il consenso dei creditori, il concordato semplificato è soggetto al rischio di utilizzi strumentali e potenzialmente distorti da parte del debitore, oltre che di un potenziale squilibrio tra le esigenze del debitore e aspettative dei creditori.
Come messo in luce da autorevoli commentatori[11], la normativa sul concordato semplificato ammette, sia pur implicitamente, non solo la soddisfazione minimale, ma anche la soddisfazione a zero per i creditori (quand’anche prelatizi degradati), purché vengano rispettati i già citati requisiti procedurali.
 Nulla esclude, peraltro, che il debitore chieda l’accesso alla composizione negoziata della crisi proprio con l’obiettivo (inespresso) di avvalersi, poi, del concordato semplificato (dunque, solo per perseguire l’interesse ad imporre, di fatto, ai creditori un piano puramente liquidatorio, in assenza dei vincoli derivanti dalla raccolta del consenso dei destinatari). Non è escluso, infatti, che la composizione negoziata si interrompa per iniziativa del debitore stesso (che potrebbe addurre l’impossibilità di perseguire le ipotesi di risanamento delineate ab initio), virando improvvisamente sul concordato semplificato e facendo emergere, così, la propria reale intenzione (quella di eludere l’obbligo di trovare un accordo negoziale con i propri creditori) e, dunque, l’assenza di un reale progetto imprenditoriale volto al ripristino della continuità e al riequilibrio della posizione finanziaria dell’azienda.
D’altra parte, le citate norme procedurali non sembrano escludere (né limitare) il rischio di tali approcci opportunistici (nel senso del ricorso strumentale alla composizione negoziata e poi al concordato semplificato). Né i requisiti che il debitore deve soddisfare, né le verifiche che il tribunale è chiamato a compiere (anche sulla base dei pareri resi dall’esperto e dall’ausiliario) sembrano in grado di “catturare” tali usi distorti della composizione negoziata: come si è detto, la proposta di concordato semplificato deve far emergere che «le soluzioni presentate [nel corso della composizione negoziata, ndr] non sono praticabili» e che le trattative si sono svolte con correttezza e buona fede. Il piano concordatario è soggetto ad omologa da parte del tribunale, valutata la «ritualità» della procedura, i pareri dell’esperto (sui «presumibili risultati della liquidazione» e sulle garanzie offerte) e dell’ausiliario, le risultanze istruttorie, la regolarità del contraddittorio, il rispetto dell’ordine dei privilegi, la fattibilità del piano di liquidazione, l’assenza di pregiudizi rispetto alla liquidazione giudizialee la presenza di un’utilità a favore di ciascun creditore (nonché, se del caso, l’assenza di soluzioni migliori sul mercato): nessuno di tali elementi sembra in grado di far emergere, di per sé solo, l’approccio opportunistico dell’imprenditore. La composizione negoziata, per ipotesi, potrebbe essere espletata nel pieno rispetto formale del principio di buona fede e correttezza, con il coinvolgimento dei creditori nelle trattative e l’illustrazione di un piano industriale e finanziario che, tuttavia, l’imprenditore non intende realmente attuare. Il parere dell’esperto, volto a certificare che le soluzioni presentate non sono percorribili, potrebbe essere (adeguatamente) argomentato e motivato da ragioni di carattere industriale apparentemente realistiche, verosimili e ragionevoli. Ai creditori, per converso, non resterebbero che i rimedi di cui si è detto: l’opposizione all’omologa, magari motivata dall’arbitrario accantonamento di soluzioni che avrebbero potuto essere coltivate (e che, quindi, erano “percorribili”), ma sono state, appunto, irragionevolmente e strumentalmente abbandonate[12] (si assume, infatti, che il debitore fosse animato, fin dall’avvio della composizione negoziata, da ben altri intendimenti, i.e., l’aggiramento dei diritti dei creditori, attraverso l’imposizione di un piano liquidatorio che non necessita di essere votato o accettato dai suoi destinatari). Si tratta, tuttavia, verosimilmente, di una probatio diabolica, in cui le chances di successo del creditore opponente appaiono scarse (non essendo agevole offrire la prova del carattere fraudolento, strumentale o distorto, nella sostanza, degli strumenti procedurali previsti dalla normativa, se non sotto il profilo dei princìpi generali di buona fede, correttezza e trasparenza e nella forma di un abuso processuale: aspetti che non sembrano poter ricadere nella delibazione del giudice in sede di omologa, se non incidentalmente, attraverso una interpretazione estensiva del principio di “buona fede e correttezza”, che, però, si riferisce solo alla trattativa in composizione negoziata e non necessariamente al “disegno” del debitore nel suo complesso).
Per inciso, alcuni Autori[13] hanno prefigurato, in via interpretativa, anche la possibilità di ricorrere allo strumento della tutela risarcitoria, nei termini prevista dall’articolo 16, ultimo capoverso della direttiva insolvency[14]. Il legislatore, infatti, offre a ciascun creditore la possibilità di opporsi all’omologa (con la conseguenza che anche il titolare di un credito di importo marginale può bloccare l’omologazione concordataria), il che, secondo i sostenitori della teoria indennitaria, dovrebbe giustificare uno strumento di tutela suppletiva, quale appunto quello di natura risarcitoria. La tesi, tuttavia, non sembra cogliere nel segno, se non altro perché la citata norma della direttiva insolvency presuppone, comunque, che si siano verificate perdite monetarie (aspetto che non si può dar per scontato) e che “l’impugnazione sia stata accolta”.
La potenziale sproporzione tra i vantaggi offerti al debitore dal concordato semplificato e le controindicazioni (per i creditori) ha indotto anche il tribunale di Como, nel decreto in commento, a soffermarsi sul punto, nel tentativo di individuare un correttivo o una ratio interpretativa, che permetta di edulcorare almeno le situazioni di eccessivo o più iniquo squilibrio. Il tribunale ha affermato, così, che gli “indubbi vantaggi comparativi con la disciplina del concordato preventivo appaiono tuttavia maggiormente comprensibili se (i) declinati guardando alla fase precedente della presentazione della domanda, ovvero alla fase della composizione negoziata, nella quale del resto la negoziazione è già proceduralmente avvenuta dinanzi all’esperto, rivelandosi improduttiva ed (ii) avendo riguardo alla prospettiva di cooperazione della negoziazione ed al più accentuato aspetto privatistico della disciplina proposta rispetto a quella del concordato preventivo, maggiormente volta a far emergere la crisi in uno stadio anticipato ed affrontarla e risolverla, ove possibile, in coerente applicazione dei princìpi propri della direttiva insolvency e, a cascata, del Codice della Crisi e dell’insolvenza”.
A parere di chi scrive, tali considerazioni non appaiono dirimenti, né sufficienti a fugare ogni dubbio sulle insidie del concordato semplificato, nei termini di una possibile elusione dei diritti dei creditori, in nome di una pretesa “anticipazione” della tutela dei terzi. Tale squilibrio appare tanto più evidente se si considera che il concordato semplificato è affrancato dalle garanzie di competitività previste nel concordato preventivo (come disciplinate sia dalla legge fallimentare, sia dal Codice della Crisi, in materia di vendita di azienda). La normativa (sia quella contenuta nel D.L. n. 118/2021, sia quella confluita nel Codice della Crisi) non prevede, infatti, alcun obbligo, a carico del debitore, di assicurare la liquidazione dei beni mediante procedura competitiva di vendita (l’art. 25 septies CCII si limita a dichiarare applicabili gli articoli 2919-2929 c.c., che, però, nulla prevedono sulle modalità di vendita dei beni). All’opposto, il concordato preventivo soggiace al principio generale della competitività, nell’ottica di assicurare ai creditori il massimo realizzo, pur tenendo conto di alcune possibili eccezioni (ci si riferisce all’articolo 94, comma 6 CCII, in base al quale “il tribunale, in caso di urgenza, sentito il commissario giudiziale, può autorizzare gli atti previsti al comma 5 senza far luogo a pubblicità e alle procedure competitive, quando può essere compromesso irreparabilmente l’interesse dei creditori al miglior soddisfacimento. Del provvedimento e del compimento dell’atto deve essere comunque data adeguata pubblicità e comunicazione ai creditori”). Fatte salve tali eccezioni (che restano, comunque, limitate, considerato il requisito della “irreparabile compromissione dell’interesse dei creditori al miglior soddisfacimento”), vige il generale principio della competitività delle procedure di vendita (a presidio dell’interesse del ceto creditorio nel suo complesso), aspetto, invece, del tutto assente nel concordato semplificato.
Ne consegue, inevitabilmente, che, nel concordato semplificato, il debitore rimane del tutto libero di disporre dei beni che compongono il proprio patrimonio, anche attraverso trattative individuali e bilaterali, sulla base di valori liberamente negoziati con la relativa controparte (con il limite della par condicio creditorum[15] e con l’unica controindicazione di possibili responsabilità personali, per atti distrattivi, qualora venisse avviata, in seguito, una procedura di liquidazione giudiziale). 
Anche in un’operazione di investimento da parte di un soggetto terzo (ad esempio, l’acquirente dell’azienda o di un ramo d’azienda - ipotesi prevista nel caso sottoposto al tribunale di Como), il debitore resta libero di definire bilateralmente i termini e le condizioni con l’investitore (potendosi prevedere anche un contratto preliminare di acquisto d’azienda sospensivamente condizionato all’omologa del tribunale, o altre forme di prelazione potenzialmente in conflitto con il principio della competitività delle procedure di vendita).
3 . Le opposizioni rigettate dal tribunale di Como
Il tribunale di Como, nella pronuncia in commento, pur “senza celare le perplessità sull’eccessiva premialità dell’istituto rispetto alle alternative al fallimento preesistenti al d.l. 118/2021”, sembra ritenere superabili tutte le anomalie del concordato semplificato, risolvendo tutti i nodi interpretativi in senso favorevole al debitore. 
Può essere utile, per ricostruire la logica interpretativa del decreto, ripercorrere brevemente le opposizioni dei creditori ed esaminare il relativo riscontro del giudicante (alcune delle opposizioni nascevano proprio dalle perplessità illustrate nel paragrafo 2). Come si vedrà, alcuni degli elementi argomentativi utilizzati del tribunale (pur fornendo spunti utili per definire il più corretto approccio da parte del creditore) non appaiono del tutto convincenti.
3.1 . La contestazione sulla violazione del principio di buona fede e correttezza nelle trattative
Anzitutto, uno dei creditori, istituto di credito ipotecario, aveva eccepito l’”improseguibilità” del giudizio di omologa per violazione del requisito di correttezza e buona fede delle trattative: l’istituto lamentava, infatti, di non essere stato nemmeno chiamato a partecipare alle discussioni sul piano di liquidazione. Secondo il tribunale, però, “il motivo non è pertinente, poiché, dalla relazione dell’esperto e dall’esame degli atti, appare con evidenza come la banca e gli altri creditori non siano stati resi partecipi delle trattative in difetto di un nucleo di accordo della società con i lavoratori […], presupposto necessario per il piano di riconversione industriale su cui si fondavano le trattative in sede di composizione negoziata. Non si ravvisano, pertanto, ragioni per divergere dall’attestazione di correttezza e buona fede nel compimento delle trattative resa dall’esperto”. 
Come detto, per poter accedere al concordato semplificato, è necessario che le trattative della composizione negoziata si siano svolte con correttezza e buona fede, che naturalmente difetteranno in re ipsa qualora siano stati perpetrati atti in frode ante-composizione o il debitore proponga un piano palesemente infattibile, anche la luce dell’esito del test di cui alla piattaforma telematica prevista dall’art. 3, comma 2 del D.L. 118/2021. Oltre a ciò, l’art. 25 sexies, comma 8 CCII estende al concordato semplificato l’articolo 106 (dettato in materia di concordato preventivo): tale norma prevede, come noto, l’obbligo del commissario giudiziale (nel concordato semplificato, il commissario è sostituito dall’ausiliario) di riferire al tribunale ogni “atto di frode” commesso dal debitore o qualsiasi atto “comunque diretto a frodare le ragioni dei creditori”, ai fini dei provvedimenti conseguenti (prima fra tutti, la revoca del concordato).
Non è escluso che possano essere riproposti, in questa sede, gli stessi canoni interpretativi sviluppati dalla giurisprudenza e dalla dottrina in attuazione dell’art. 173 della legge fallimentare, laddove un uso distorto, puramente strumentale o fraudolento della procedura concordataria può dar luogo all’immediata interruzione della stessa. Secondo alcuni primi commenti[16], ad esempio, potrebbe escludersi in radice la ‘buona fede’ del debitore che acceda alla composizione negoziata nella consapevolezza di dover ricorrere, poi, alla ‘transazione fiscale’ con l’Agenzia delle Entrate, non essendo altrimenti oggettivamente ipotizzabile il risanamento aziendale senza lo stralcio del credito erariale: come noto, in tali casi, il ricorso a detto strumento è obbligatorio e possibile solo all’interno delle procedure di accordo di ristrutturazione (art. 63 CCII) o concordato preventivo (art. 88 CCII), escluse, tuttavia, dal novero delle “soluzioni idonee al superamento della situazione” di crisi o di insolvenza indicate all’art. 23, primo comma, CCII (come possibili esiti della composizione negoziata)[17]. Di conseguenza, l’ingresso in composizione negoziata nella consapevolezza di dover accedere alla transazione fiscale, quale unica soluzione possibile (nel cui ambito è ragionevole ipotizzare lo stralcio del credito erariale), potrebbe essere eccepito dal creditore (e rilevato dal tribunale) sotto il profilo della carenza di buona fede.
Nel caso all’esame del tribunale di Como, la violazione del principio di buona fede veniva collegata alla esclusione di alcuni creditori dalle trattative. Tale esclusione sarebbe motivata dal mancato raggiungimento, a monte, di un accordo con i dipendenti (aspetto pregiudiziale per l’avvio di trattative con il ceto creditorio nel suo complesso). In realtà, non essendo nemmeno stata avviata una trattativa con i creditori (per lo meno, con i creditori diversi dai dipendenti), non è chiaro nemmeno come sia stato possibile confermare che “le soluzioni individuate non sono praticabili” (come richiesto dagli artt. 18 e 19 D.L. 118/2021 e dall’art. 25 sexies CCII): idealmente, la verifica della disponibilità dei dipendenti avrebbe potuto (e, forse, dovuto) essere compiuta prima dell’accesso alla composizione negoziata (per evitare che questa venisse avviata senza la minima verifica, seppur in via preliminare, delle condizioni pregiudiziali al decollo del progetto di risanamento). In tale contesto, semmai, avrebbe potuto porsi il tema di un abusivo accesso alla composizione negoziata (e, dunque, a maggior ragione, di un uso distorto del concordato semplificato), considerato che, come detto, ai creditori diversi dai dipendenti viene imposto un piano puramente liquidatorio in assenza di un qualsiasi coinvolgimento antecedente (perché ritenuto superfluo: anche ammettendo che lo fosse nella fase della composizione negoziata, ciò finisce, però, per assumere connotati iniqui nel concordato semplificato, che si afferma legittimo sul presupposto che la trattativa sia avvenuta nella precedente composizione negoziata). 
È appena il caso di ricordare, al riguardo, che, ai sensi dell’articolo 117 CCII (applicabile al concordato semplificato per effetto del richiamo contenuto nell’articolo 25 sexies, comma 8), “il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di accesso”.
3.2 . La contestazione sulla mancanza di trasparenza sulle modalità di vendita
Ulteriori doglianze venivano sollevate riguardo al principio di trasparenza sulle modalità di vendita (in termini non dissimili da quelli illustrati al paragrafo 2). Al riguardo, il tribunale afferma, però, che “la trasparenza delle modalità di vendita del compendio non deve costituire motivo di sospetto, tenuto conto dei richiami normativi e dell’adesione fornita in udienza dalla società; in ogni caso, la fase liquidatoria è demandata a liquidatore di nomina collegiale”. 
Sul punto, ci riportiamo alle perplessità già illustrate sopra e, in particolare, alla mancanza di garanzie sulla natura competitiva delle procedure di liquidazione e sul regime di trasparenza che dovrebbe presiedere alle operazioni di vendita dei beni. La normativa sul concordato semplificato non sembra contenere alcun presidio per il rispetto del principio di trasparenza. 
Riguardo ai “richiami normativi” menzionati dal tribunale, ci si riferisce all’articolo 25 sexies, comma 8 CCII, che estende al concordato semplificato, tra gli altri, l’articolo 118 CCII, contenente la disciplina dell’esecuzione del concordato preventivo. Tale norma, essenzialmente, prevede: (i) i doveri di vigilanza del commissario giudiziale (nel concordato semplificato, l’ausiliario), secondo le modalità stabilite nel provvedimento di omologazione; (ii) il dovere del commissario/ausiliario di riferire al giudice “ogni fatto dal quale possa derivare pregiudizio ai creditori”; (iii) il dovere del commissario/ausiliario di presentare, con cadenza semestrale, un rapporto riepilogativo, da trasmettere ai creditori; (iv) il dovere del commissario/ausiliario di depositare, una volta conclusa l’esecuzione del concordato, un rapporto riepilogativo finale; (v) il dovere del commissario/ausiliario, ove rilevi che il debitore non sta provvedendo al compimento degli atti necessari a dare esecuzione alla proposta o ne sta ritardando il compimento, di riferirne al tribunale. Il tribunale, sentito il debitore, può attribuire al commissario/ausiliario i poteri necessari a provvedere in luogo del debitore al compimento degli atti a questo richiesti; (vi) la possibilità di revocare (con apposito provvedimento del tribunale) l’organo amministrativo della società debitrice e di nominare un amministratore giudiziario (“in ogni caso fatti salvi i diritti di informazione e di voto dei soci di minoranza”)[18].
Le norme di cui sopra (così come la nomina di un liquidatore giudiziale, che opera sotto la vigilanza dell’ausiliario e del tribunale) non eliminano, però, del tutto le perplessità di cui sopra: al di fuori degli obblighi di reporting e della vigilanza dell’ausiliario, gli atti del liquidatore possono avere carattere del tutto discrezionale, in assenza di parametri normativi che li vincolino per quanto attiene alle modalità ed alla valorizzazione degli asset da liquidare. Non sono pervisti, peraltro, mezzi di gravame (facoltà di reclamo o simili) avverso gli atti del liquidatore. Non va sottaciuto, comunque, il fatto che i presidi procedurali di cui sopra si applicano esclusivamente nella fase post-omologa, mentre, nella fase precedente, non vi è alcun obbligo, per il debitore, di assicurare ai creditori la piena trasparenza sulle modalità di liquidazione del patrimonio.
Nel caso all’esame del tribunale di Como, oltretutto, si discuteva della cessione di uno dei principali asset patrimoniali (la testata giornalistica) ad un soggetto terzo (su cui pure l’esperto aveva sollevato perplessità)[19], potendosi configurare, potenzialmente, un concordato con continuità indiretta (nella misura in cui la testata giornalistica potesse costituire un ramo di attività dotato dei requisiti di autonomia funzionale rispetto all’azienda residua), in palese contrasto con la natura del concordato semplificato (per definizione, esclusivamente liquidatorio)[20]. Tali aspetti, tuttavia, non sono stati ritenuti dal tribunale come ostativi alla concessione dell’omologa.
3.3 . La contestazione sulla mancanza di garanzie sui tempi di esecuzione del piano e sulle modalità di soddisfacimento nella misura indicata dal piano
Sul punto, il tribunale si limita a prendere atto dell’“assenza di tali garanzie [cioè di garanzie sui tempi di esecuzione del piano e sulle modalità di soddisfacimento nella misura indicata dal piano, ndr] pure in ottica di liquidazione fallimentare”, da cui si potrebbe dedurre “l’assenza di maggiore pregiudizio in sede concordataria per il creditore, al massimo equivalente. Giova al riguardo aggiungere il dato empirico della migliore vendibilità di un compendio in sede concordataria anziché fallimentare”. 
Ad opinione di chi scrive, il già citato articolo 118 CCII (applicabile anche al concordato semplificato) sembra, in effetti, sufficiente a garantire che il soddisfacimento delle pretese creditorie sia allineato a quanto previsto dal piano[21]: in caso di disallineamento, è possibile attivare le tutele e i presìdi procedurali ivi previsti, sollecitando un rafforzamento della vigilanza da parte del commissario/ausiliario, che, comunque, ha il dovere di riferire prontamente al tribunale. Un ragionamento analogo potrebbe applicarsi al rispetto dei tempi di esecuzione del piano: l’articolo 118 CCII si riferisce, infatti, anche al dovere del commissario/ausiliario di riferire al tribunale di ogni ritardo o impedimento frapposto dal debitore nell’esecuzione del piano.

Note:

[1] 
Trib. Como, 27 ottobre 2022, Pres. Parlati, Est. Previte in Dirittodellacrisi.it.
[2] 
L.A. Bottai, La rivoluzione del concordato liquidatorio semplificato, consultabile su Dirittodellacrisi.it 9 agosto 2021. In dottrina si ritiene, in effetti prevalentemente, che il concordato semplificato non sia un sottotipo del concordato preventivo ma un istituto autonomo (cfr. anche S. Ambrosini, Il concordato semplificato: primi appunti, consultabile su www.ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, settembre 2021).
[3] 
Sulla compatibilità del concordato semplificato con lo schema della continuità indiretta, si rinvia al paragrafo 3.2 del presente contributo.
[4] 
Sul punto cfr. I. Donati, Crisi d’impresa e diritto di proprietà. Dalla responsabilità patrimoniale all’assenza di pregiudizio, in Riv. Soc., 2020, 164.
In particolare, è necessario verificare che i creditori non subiscano alcun pregiudizio rispetto all’alternativa della liquidazione fallimentare, comprensiva anche delle potenziali azioni recuperatorie e risarcitorie, fatto salvo il riconoscimento dell’alternativa legittimazione attiva del liquidatore. Così è già previsto dall’art. 115 CCII; cfr. anche Cass., Sez. Unite 8504/2021, in www.ilcodicedeiconcordati.it.
[5] 
Ai sensi dell’art. 25 septies, comma 2, CCII, tale verifica deve essere compiuta nel caso in cui il piano di liquidazione “comprenda un’offerta da parte di un soggetto individuato avente ad oggetto il trasferimento in suo favore dell’azienda o di uno o più rami d’azienda o di specifici beni”.
[6] 
Il rimedio della risoluzione (previsto dall’articolo 119 CCII, in tema di concordato preventivo) è applicabile al concordato semplificato per effetto del richiamo contenuto nell’articolo 25 sexies, comma 8.
[7] 
Cfr. Il concordato preventivo semplificato: un’innovazione solo per i debitori meritevoli, funzionale al migliore soddisfacimento dei creditori (ed a qualche salvataggio d’impresa), in Il Diritto della Crisi, 2021, consultabile su Dirittodellacrisi.it. Di avviso contrario Lamanna, Nuove misure sulla crisi d’impresa del D.L. 118/2021: Penelope disfa il Codice della crisi recitando il "de profundis" per il sistema dell'allerta, 25.8.2021, consultabile su www.ilfallimentarista.it, secondo il quale, all’opposto, la mancanza del diritto di voto “sembra violare in ogni caso l'art. 9, comma 2, della direttiva insolvency, a tenore del quale "Gli Stati membri provvedono affinché le parti interessate abbiano diritto di voto sull'adozione di un piano di ristrutturazione". Cfr., altresì, A.I. Baratta, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio. Brevi considerazioni introduttive, in Il Fallimentarista, 13 agosto 2021 e S. Morri, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, in Il Fallimentarista, 24 agosto 2021.
[8] 
La norma prevede che il concordato “Gli Stati membri provvedono affinché il piano di ristrutturazione che non è approvato da tutte le parti interessate di cui all'articolo 9, paragrafo 6, in ciascuna classe di voto, possa essere omologato dall'autorità giudiziaria o ammini­strativa, su proposta del debitore o con l'accordo del debitore, e possa diventare vincolante per le classi di voto dissenzienti se esso soddisfa almeno le condizioni seguenti: […] è stato approvato […] se previsto dal diritto nazionale, si possa ragionevolmente presumere che non riceva alcun pagamento né mantenga alcun interesse se fosse applicato il normale grado di priorità̀ di liquidazione a norma del diritto nazionale”.
[9] 
La norma prevede: “Gli Stati membri possono mantenere o introdurre disposizioni che derogano al primo comma, qualora queste siano necessarie per conseguire gli obiettivi del piano di ristrutturazione e se il piano di ristrutturazione non pregiudica ingiustamente i diritti o gli interessi delle parti interessate”.
[10] 
Per tema del parallelismo con altre procedure concorsuali, cfr. A. Farolfi, Le novità del D.L. 118/2021: considerazioni sparse “a prima lettura”, in Dirittodellacrisi.it, 6 settembre 2021 e L. Panzani, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del covid, in Dirittodellacrisi.it, 25 agosto 2021.
[11] 
Cfr. S. Lamanna, cit. L’autore afferma, in particolare, che il concordato liquidatorio semplificato (definito una “anarcoide forma di concordato”) “costituisce al contempo sia una forma di restaurazione (o meglio resurrezione) di uno strumento concorsuale "zombie", quale era ormai il concordato per cessione dei beni, sia una vera e propria fuga legalizzata del debitore dalla responsabilità patrimoniale, risolvendosi in una forma di concordato del tutto svincolato - come purtroppo non lascia ben intendere l'ipocrita ed edulcorato aggettivo "semplificato" -, da un preventivo vaglio di ammissibilità, dal requisito della messa a disposizione di risorse aggiuntive a favore dei creditori (richiedendosi solo che ad essi sia riservata una qualche "utilità"), dal requisito del pagamento di almeno il 20% dei chirografari, da qualunque requisito di "convenienza" rispetto all'alternativa della liquidazione fallimentare (requisito sostituito da quello - recessivo - della semplice mancanza di un "pregiudizio" per i creditori), dalla necessità che i creditori esprimano un voto di adesione o di dissenso (restando loro concessa solo la gravosa chance di svolgere opposizione all'omologa”. Inoltre, secondo A. Baratta, cit., “E’ necessario evidenziare i rischi che si possono nascondere dall’introduzione di siffatto strumento, in quanto possono ingenerare comportamenti poco virtuosi da parte di imprenditori “disinvolti”, nel caso in cui l’attività dell’esperto sia stata svolta in modo superficiale senza aver effettuato un attento esame della documentazione contabile e delle reali prospettive di risanamento dell’impresa; non essendo infatti contemplata l’attestazione viene a mancare quello che è stato definito nella relazione illustrativa al Codice della crisi e dell’insolvenza “uno strumento d’ausilio importante per il Tribunale che […] può fruire immediatamente di un’analisi particolarmente attendibile della situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società”.
[12] 
Al riguardo, si può far riferimento, sia pur a contrario, alla pronuncia del Tribunale di Bergamo del 21 settembre 2022, in Dirittodellacrisi.it, per cui “È inammissibile il ricorso al concordato semplificato, qualora in esito al relativo percorso, si palesi praticabile il ricorso all’accordo di ristrutturazione dei debiti (ADR), anche con transazione fiscale, essendo l’istituto ex art. 25 sexies CCII utilizzabile solo in via residuale ove risulti impraticabile la soluzione dell’ADR”. Da tale pronuncia si può trarre conferma del fatto che il concordato semplificato è inscindibilmente collegato alla totale assenza di alternative percorribili.
[13] 
Il concordato preventivo semplificato: un’innovazione solo per i debitori meritevoli, funzionale al migliore soddisfacimento dei creditori (ed a qualche salvataggio d’impresa), in Il Diritto della Crisi, 2021, consultabile su Dirittodellacrisi.it.
[14] 
La norma prevede quanto segue: “Gli Stati membri possono prevedere che, se un piano è omologato a norma del primo comma, lettera b), sia concesso un risarcimento a qualsiasi parte che abbia subìto perdite monetarie e la cui impugnazione sia stata accolta”.
[15] 
Sul punto, cfr. G. Bozza, Il concordato semplificato introdotto dal D.L. n. 118 del 2021, in Dirittodellacrisi.it, 5 ottobre 2021. Pare nutrire qualche dubbio L.A. Bottai, La composizione negoziata di cui al D.L. 118/2021: svolgimento e conclusione delle trattative, in Il Fallimentarista, 4 ottobre 2021, il quale richiama il principio del c.d. no worse off, già in vigore nella disciplina delle crisi bancarie e ribadito anche nella direttiva insolvency, ossia dell’assenza di pregiudizio per ciascun creditore.
[16] 
A. Mancini, La prospettiva del creditore nella composizione negoziata: linee operative per il suo advisor legale, consultabile su Dirittodellacrisi.it, 14 dicembre 2022.
[17] 
Nel contempo, alcuni Autori si sono espressi a favore della possibilità di falcidiare nel concordato semplificato anche il credito erariale, al pari degli altri crediti assistiti da privilegio: in tal senso. A. Ferri, La falcidia dell’Erario nel piano del Concordato Semplificato: chimera od opportunità, in: Il Fallimentarista.
[18] 
Al commissario/ausiliario viene attribuito il potere di compiere gli atti necessari a dare esecuzione alla proposta omologata, ivi inclusi, se la proposta prevede un aumento del capitale sociale della società debitrice o altre deliberazioni di competenza dell'assemblea dei soci, la convocazione dell'assemblea avente ad oggetto tali deliberazioni e l'esercizio del diritto di voto nelle stesse per le azioni o quote facenti capo al socio o ai soci di maggioranza. Al liquidatore, se nominato, possono essere attribuiti i compiti di amministratore giudiziario.
[19] 
Cfr. il punto 12, Sezione III del Decreto Dirigenziale del 28 settembre 2021, che impone all’esperto di verificare, tra l’altro, se il terzo interessato ad acquisire l’azienda si configuri come parte correlata al debitore (punto 12.4.).
[20] 
Sulla possibilità che il piano preveda un periodo di prosecuzione diretta della gestione aziendale, sempre in funzione della liquidazione dell’azienda, ha espresso dubbi la decisione del Trib. Siena, 9 settembre 2022, Pres. Serrao, Est. Dell’Unto in Dirittodellacrisi.it.
[21] 
Si rinvia al precedente paragrafo 3.2.

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