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Saggio

Il Giudice nella ristrutturazione*

Vittorio Zanichelli, già Consigliere della Corte di Cassazione

15 Novembre 2022

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
*Lo scritto è destinato, con eventuali variazioni, allo Speciale di Diritto della crisi, di prossima pubblicazione, dal titolo “Studi sull’avvio del Codice della crisi” a cura di Laura De Simone, Massimo Fabiani e Salvo Leuzzi.
L’Autore esamina il perimetro di valutazione del giudice negli snodi principali della composizione negoziata e delle procedure non liquidatorie al fine di valutare se e come questo sia mutato e, in particolare, quale sia e se sia univoco l’indirizzo adottato dal legislatore nel non sopito contrasto tra esigenze pubblicistiche e istanze privatistiche.
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1 . Premessa
Il discorso circa l’intervento del giudice nella ristrutturazione può essere inteso in vari modi a cominciare da quello più ovvio e consistente nell’individuare e commentare tutti i vari provvedimenti del giudice nell’ambito degli istituti e delle procedure di crisi, come abbiamo detto finora, o degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, come dovremo abituarci a definire i diversi istituti che il legislatore, forse con eccessiva larghezza, ha progressivamente messo a disposizione dei soggetti economici e dei professionisti, ora più che mai impegnati nel non agevole compito di scegliere quello maggiormente adatto alla concreta fattispecie.
Ovviamente l’opzione enciclopedica non è perseguibile in quanto richiederebbe spazi incompatibili con quello del presente lavoro.
Opterei dunque per un diverso approccio, limitando il discorso alla verifica circa il perimetro dei poteri valutativi del giudice negli snodi fondamentali della composizione negoziata e degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza nonché sulle eventuali differenze tra la disciplina della legge fallimentare ripetutamente modificata, che comunque ancora a lungo regolerà procedimenti già iniziati, e quella che, salvo prevedibili ulteriori aggiustamenti, deve essere applicata alla luce del Codice riformato dal decreto legislativo n. 83/2022[1] di recepimento della Direttiva (EU) 2019/1023, conosciuta come Direttiva Insolvency (e quindi, in seguito, anche “decreto di recepimento”).
E’ questo un aspetto di particolare rilievo che risente del risalente e irrisolto contrasto tra diverse visioni circa l’intensità da assegnarsi all’intervento giudiziale, a sua volta inevitabile conseguenza della composita natura, pubblicistica e privatistica, degli strumenti di composizione della crisi di impresa alterni alla liquidazione che vede il legislatore accentuare diversamente nel tempo un aspetto o l’altro, facendo così oscillare il pendolo in una perenne ricerca di un equilibrio condiviso.
2 . La composizione negoziata
Iniziando il percorso dall’istituto in cui l’intervento giudiziale è solo eventuale, almeno come connotazione di sistema, può essere interessante prendere le mosse dalla considerazione preliminare, che dà una coloritura generale all’atteggiamento del legislatore in materia di crisi di impresa, secondo cui pare potersi individuare una propensione a favore dell’intervento del giudice anche laddove non sarebbe strettamente necessario, quantomeno in relazione ai vincoli posti dalla legislazione sovranazionale e, in particolare e per quanto qui interessa, dalla citata Direttiva.
Una delle maggiori novità della disciplina codicistica è la fine delle misure protettive automatiche, dovendo un giudice obbligatoriamente disporle o almeno tempestivamente confermarle. Gli artt. 54 e 55 del Codice (testo cui si farà riferimento citando gli articoli quando non diversamente indicato) disciplinano i presupposti e le modalità per la concessione delle misure, per la loro conferma in caso di automatica applicazione, per la modifica o la revoca delle stesse, mentre l’art. 8 ne definisce la complessiva durata.
Lo schema viene replicato anche nella composizione negoziata con l’art. 18 (già art. 6 del D.L. n. 118/2021) laddove si prevede che la richiesta per la concessione di misure protettive possa essere contenuta nella stessa istanza di nomina dell’esperto o in un atto successivo e che, dal momento delle pubblicazione nel registro delle imprese dell’istanza stessa e dell’accettazione dell’esperto, si applichi automaticamente il divieto per i creditori di acquisire diritti di prelazione se non concordati con l'imprenditore e di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio o sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l'attività d'impresa; entro il giorno successivo, tuttavia, deve essere richiesta la tribunale la conferma delle misure, pena l’inefficacia delle stesse.
Se ci si domanda se questa fosse una soluzione obbligata la risposta dovrebbe essere negativa.
Dal considerando 32 della Direttiva Insolvency[2] emerge che è possibile che la sospensione temporanea delle azioni esecutive individuali sia concessa non solo da un’autorità giudiziaria o amministrativa ma possa verificarsi anche solo per legge e quindi in modo automatico e senza necessità di conferma. Per contro il D.L. n. 118/2021 prima e il decreto legislativo di recepimento della Direttiva che lo trasfonde nel Codice poi prevedono indefettibilmente l’immediato controllo del tribunale a conferma del provvisorio stay still. Pienamente conforme alla direttiva (cons. 35[3] e 36[4]) è invece il necessario intervento giudiziario per consentire la proroga, le modifiche e la cessazione del regime protetto.
Considerazioni analoghe mi pare possano essere fatte per quanto attiene al necessario collegamento previsto sia nel D.L n. 118/21 che in quello di recepimento tra concessione e durata delle misure e sospensione della possibilità di aprire la liquidazione dei beni in quanto mentre la Direttiva (cons. 38[5]) prevede la necessità che alla concessione delle misure consegua anche la sospensione della possibilità di aprire la liquidazione nulla fa ritenere che detta sospensione non potesse, in alternativa, essere disposta o conseguire per legge alla sola apertura della negoziazione prescindendo, dunque, dalla richiesta di misure protettive, come avviene per la sospensione degli obblighi di intervento sul capitale e di scioglimento (art. 20); detta previsione alternativa, d’altra parte, potrebbe essere considerata come logica in quanto se pure è possibile che una negoziazione prosegua utilmente anche in presenza di un’azione esecutiva, magari limitata a beni non funzionali all’esercizio dell’impresa, è invece assolutamente ostativa l’apertura della prima; in altri termini: se si ritiene che ci siano le condizioni per iniziare e proseguire la negoziazione (e per questo non è necessario un intervento giudiziale) dovrebbe essere conseguente l’automatica sospensione della possibilità di aprire la liquidazione giudiziale e controllata.
Sempre in tema di intervento giudiziale e a completamento del discorso si può segnalare una minore propensione della Direttiva per l’iniziativa d’ufficio, posto che si ritiene che la valutazione della rispondenza del piano al miglior interesse dei creditori dovrebbe essere effettuata solo se vi è contestazione sul punto, così come si ritiene che il giudice debba poter rifiutare di omologare piani di ristrutturazione che risultino privi di prospettive ragionevoli di impedire l'insolvenza del debitore o di garantire la sostenibilità economica dell'impresa ma che, tuttavia, gli Stati membri non dovrebbero essere tenuti a garantire che tale valutazione sia effettuata d'ufficio (cons. 50[6]).
Concludendo su questa sintetica carrellata di principi, è opportuno precisare che non si vuole ovviamente contestare né la legittimità né il merito delle scelte del legislatore ma solo evidenziare che tra più opzioni è stata scelta quella maggiormente volta all’eterotutela dei soggetti interessati e quindi all’intervento del tribunale e una tale scelta di fondo non può non avere ricadute laddove possano sorgere dubbi interpretativi sul perimetro di valutazione del giudice.
Per l’intervento giudiziale nella fase della composizione negoziata non si possono tentare utili raffronti tra la procedura di allerta, imposta e sostanzialmente dettata dalla legge delega 19 ottobre 2017, n. 155, e il D.L n. 118/2021, in quanto l’intervento giudiziale nella prima era sostanzialmente relegato alle misure protettive.
Facendo un raffronto tra l’impostazione del Codice, come integrato dal decreto di recepimento, e quella del D.L. n. 118/2021 emerge come, almeno per quanto concerne il perimetro di valutazione del giudice nei casi in cui è chiamato ad intervenire, [7] non vi siano differenze, mentre sono diminuite le occasioni in quanto non è più prevista la possibilità di adire il tribunale per ottenere per via giudiziale la modifica delle condizioni contrattuali quando l’invito dell’esperto a rinegoziarle in buona fede non viene accolto, ad eccezione dell’ipotesi in cui l’eccessiva onerosità sopravvenuta sia conseguenza della pandemia da COVID[8].
Per la verità questo perimetro è indicato solo in modo parziale nel comma 4 dell’art. 19 dedicato al decreto del tribunale ove si prevede, ma solo in via indiretta desumibile dal tenore del parere da richiedersi all’esperto, che il giudice confermi le misure previo accertamento della loro funzionalità ad assicurare il buon esito delle trattative. Detto perimetro viene meglio delineato nel comma 6 dello stesso articolo quando si disciplina l’eventuale proroga, modifica o revoca cui il tribunale può addivenire previa verifica che le misure già adottate soddisfano o no l'obiettivo di assicurare il buon esito delle trattative e appaiono o no sproporzionate rispetto al pregiudizio arrecato ai creditori istanti.
Questa richiamata è la valutazione che il tribunale è espressamente tenuto a fare circa il merito della domanda ma la giurisprudenza ha già chiarito che il giudice non rinuncia a indagare preliminarmente la sussistenza dei presupposti per l’apertura stessa o la continuazione della composizione negoziata attraverso un giudizio, sempre più rigoroso man mano che il percorso negoziale si dipana, circa la prospettiva della risoluzione della crisi[9]. E’ presto per dire se la giurisprudenza farà un percorso analogo a quello in tema di fattibilità economica e quindi il blocco del percorso negoziale possa avvenire solo se l’irrealizzabilità della risoluzione appaia manifesta (che dovrebbe però essere una situazione limite) oppure se il tribunale si arrogherà il potere di affrontare situazioni caratterizzate da margini di opinabilità, anche entrando così in conflitto con l’esperto che non avesse ritenuto di richiedere l’archiviazione e i creditori che, manifestando il consenso alla prosecuzione delle trattative, hanno dato credito alla prospettiva illustrata dal debitore.
L’art. 23 tratta delle autorizzazioni che possono essere richieste al tribunale in fase di trattative e che attengono o ai finanziamenti necessari per la prosecuzione dell’attività che possono essere concessi da terzi o dai soci, e che non necessariamente devono sopperire alle necessità strettamente connesse alla fase della negoziazione ma possono anche essere finalizzati a supportare l’attività prevista dopo la conclusione delle stessa[10], oppure alla cessione dell’azienda.
Tali atti non sono soggetti ad autorizzazione in quanto atti di straordinaria amministrazione poichè la circostanza che l’imprenditore mantenga l’amministrazione e la gestione dell’impresa esclude la necessità di un controllo preventivo sulla sua attività di gestione. La categoria rileva tuttavia ad altri fini in quanto se un atto così qualificabile, di cui l’imprenditore deve preventivamente rendere edotto l’esperto, si scontra con la valutazione di quest’ultimo che lo ritiene pregiudizievole per i creditori, viene ugualmente posto in essere è prevista l’iscrizione del dissenso nel registro delle imprese e ciò può comportare una richiesta al tribunale di revoca di eventuali misure protettive che siano state concesse (art. 19, c. 6).
Riprendendo il discorso sui finanziamenti e la cessione dell’azienda, è opportuno evidenziare che l’autorizzazione non rileva ai fini della validità dei contratti ma è necessaria per la prededucibilità del credito dei finanziatori, nel primo caso, e per la validità della clausola che esclude la responsabilità solidale dell’acquirente ex art. 2560, comma 2, nel secondo, fermi restando i diritti dei lavoratori.
Il criterio di valutazione per entrami i casi è la funzionalità degli atti rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori da intendersi non solo rispetto all’alternativa liquidatoria ma anche ad un piano che in difetto di finanziamenti preveda risultati, in termini di soddisfacimento dei creditori, meno brillanti.
Maggiormente articolati sono i criteri cui deve attenersi il giudice allorché viene richiesto di autorizzare la cessione dell’azienda con l’esenzione dal dettato dell’art. 2560 c.c. dal momento che gli si chiede di tenere conto delle istanze delle parti interessate al fine di tutelare gli interessi coinvolti.
Un primo aspetto da valutarsi da parte del tribunale è naturalmente rappresentato dalla congruità del prezzo proposto, in relazione al quale gli interessi del debitore e dei creditori potrebbero non coincidere; il debitore, da un lato, potrebbe infatti avere interesse a favorire un determinato possibile acquirente e, d’altra parte, alcuni creditori interessati a proseguire i rapporti commerciali potrebbero vedere di buon occhio la cessione ad altro imprenditore che fornisce solide garanzie di continuazione dell’attività anche al prezzo di ricevere un pagamento parziale dei crediti pregressi, mentre altri creditori potrebbero avere il solo fine di ottenere il maggior soddisfacimento possibile. Pare comunque potersi ritenere che, nell’impossibilità di conciliare le diverse aspettative, il tribunale non possa che privilegiare il miglior risultato possibile sotto il profilo strettamente economico, posto che l’interesse al soddisfacimento dei creditori è sempre quello primario nel sistema del Codice, come lo è, d’altra parte, nella legge fallimentare[11], in quanto se è vero che l’attuale disciplina pone formalmente sullo stesso piano l’interesse dei creditori e la continuità aziendale[12], è anche vero che laddove è previsto il voto o comunque una maggioranza una gerarchia è chiara.
Più difficile è individuare quali possono essere le valutazioni e gli interventi del tribunale al fine di garantire corrette modalità di pagamento dei creditori. E’ da chiedersi, infatti, come possa il tribunale contemperare con le esigenze dei creditori il venir meno della garanzia che per loro costituiva l’azienda ceduta. Nulla questio, o quasi, se il valore della cessione copre l’indebitamento, in quanto si tratta solo di vincolare la disponibilità della somma ricavata dalla cessione al pagamento dei creditori in base ad un piano di riparto predisposto dal debitore, posto che se insorgono contestazioni, e queste non mettono in discussione il pagamento dei crediti non contestati, è solo necessario attendere la decisione del giudice ordinario prima di svincolare le somme accantonate. Ma se l’importo ricavato dalla cessione è inferiore ai debiti e ferma restando la possibilità che il tribunale apponga un vincolo sul corrispettivo della cessione, tipo deposito vincolato all’ordine del giudice, è tutto da accertare come il giudice, chiamato a stabilire le cautele, possa interloquire sull’ordine di distribuzione del ricavato tra i creditori, dal momento che appare ovvio che eventuali contestazioni debbano essere decise dal giudice ordinario, mentre l’esperto esce di scena avendo la negoziazione raggiunto lo scopo. Mutuando dalla disciplina del concordato liquidatorio semplificato la possibilità di un ampliamento dei presupposti per la nomina di un ausiliario anche per attività proprie di tipici organi delle procedure di crisi (art. 25 septies, c. 3), può ritenersi possibile la nomina di un ausiliario-custode con l’incarico di custodire e amministrare il ricavato della cessione in relazione all’esito dell’eventuale contenzioso che potrebbe scaturire dalle proposte di riparto che il debitore deve necessariamente rivolgere ai creditori, sempreché il primo non opti per l’accesso ad uno degli esiti previsti dall’art. 23 o un creditore richieda l’apertura della liquidazione giudiziale.
3 . Il concordato semplificato liquidatorio
Quanto al concordato semplificato, l’impostazione normativa e la logica dell’istituto impongono di ritenere che ogni valutazione del tribunale che non sia di natura formale o di immediata evidenza sia rimessa al momento dell’omologazione.
Per poter effettuare un esame del perimetro della valutazione del giudice che il comma 3 dell’art. 25 sexies compendia nel lemma “ritualità della proposta” è però necessario accertare quali siano gli elementi di valutazione che il tribunale possiede quando compie tale operazione.
Il dettato normativo non è cristallino e lascia aperta la strada a ricostruzioni diverse dell’iter procedurale.
Una prima ricostruzione, basata sulla formulazione letterale della norma, pare imporre la valutazione di ritualità sulla base della sola domanda e dei documenti alla stessa allegati, in quanto sembra che l’acquisizione della relazione e del parere dell’esperto presuppongano l’avvenuto esame favorevole della ritualità, essendo i deversi adempimenti elencati in successione temporale[13].
Se così fosse, si spiegherebbe perché il legislatore ha utilizzato il termine “ritualità” e non “ammissibilità” della domanda in sintonia con quanto evidenziato nella Relazione in ordine alla mancanza di una fase di ammissione che si giustifica con la volontà di rimandare all’omologazione da tenersi in tempi brevi (tendenzialmente 45 giorni dopo la scadenza del termine dato all’ausiliario per il deposito del suo parere).[14]
Così delimitato l’esame del tribunale, i controlli dovrebbero concernere la tempestività del ricorso (da proporsi nel termine di giorni 60 dalla comunicazione al debitore da parte dell’esperto della relazione finale); la competenza (da individuarsi in base al luogo in cui l’impresa ha il proprio centro degli interessi principali[15]); la legittimazione (imprenditore commerciale o agricolo); la rispondenza del piano alle caratteristiche dell’istituto (inammissibilità di un concordato in continuità diretta)[16].
Superata lo scoglio della ritualità il giudice procede all’acquisizione della relazione finale dell’esperto e del suo parere, e solo allora, prima di procedere alla nomina dell’ausiliario, può valutare se da tali documenti emergono ragioni di inammissibilità perché dalla relazione finale potrebbe risultare che il debitore non ha condotto le trattative in buona fede e dal parere che il presumibile risultato della liquidazione è migliore di quelli prospettato dalla proposta di concordato[17].
La prima ipotesi, tuttavia, è improbabile in quanto può escludersi che il debitore presenti un ricorso già sapendo che lo stesso è destinato all’inammissibilità; è ben vero che pur in presenza di una relazione positiva dell’esperto il tribunale potrebbe concludere diversamente ma è ben difficile che ciò avvenga in questa fase quando è disponibile solo la relazione e i creditori non hanno ancora potuto portare elementi contrastanti con la stessa[18].
Quanto ad una possibile emersione dal parere dell’esperto di una previsione di un risultato migliore in caso di liquidazione giudiziale o controllata, è ben possibile che il tribunale ne prenda atto e che dichiari inammissibile la proposta ma pare più probabile che, nell’interesse dei creditori, attenda per decidere il parere del nominando ausiliario, soprattutto nei casi in cui la proposta preveda la cessione dell’azienda o di suoi rami in esercizio.
Acquisiti gli atti menzionati ed effettuate le valutazioni di cui sopra con esito positivo il tribunale emette il decreto di nomina dell’ausiliario fissando il termine entro il quale deve depositare il parere il cui contenuto non è individuato dalla norma e che quindi deve essere indicato nel decreto stesso.
Anche a questo punto si aprono due possibili scenari con ricadute sui poteri di intervento giudiziale.
Una prima sequenza possibile, aderente alla lettera dei commi 3 e 4 dell’art. 25 sexies, prevede che il tribunale, come sopra indicato, nomini l’ausiliario e “con il medesimo decreto” ordini “che la proposta, unitamente al parere dell’ausiliario e alla relazione finale e al parere dell’esperto, sia comunicata a cura del debitore ai creditori risultanti dall’elenco depositato ai sensi dell’articolo 39, comma 1, ove possibile a mezzo posta elettronica certificata o, in mancanza, a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, specificando dove possono essere reperiti i dati per la sua valutazione” e fissi l’udienza per l’omologazione. 
Questa ricostruzione comporta che il tribunale non abbia più spazi di valutazione di eventuali cause di inammissibilità e che ogni esame della proposta sia rimesso al giudizio di omologazione, e questo anche se dal parere emergesse una assoluta e evidente infattibilità del piano[19] o un’evidente mancanza di convenienza della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria, ma in sintonia con la tesi che vuole ogni esame che non sia di mera ritualità (intesa nel senso sopra patrocinato) rimesso all’omologazione.
Sono però abbastanza evidenti le criticità che ne conseguirebbero in quanto la comunicazione del decreto del giudice, e di tutti gli allegati (relazione finale, parere dell’esperto e parere dell’ausiliario è demandata al debitore senza che sia chiaro come di questi e dello stesso decreto detto debitore abbia comunicazione e comunque sul presupposto che l’ausiliario rispetti il termine assegnatogli con il rischio, in caso di ritardo, di far saltare gli ulteriori termini a cascata (termine, da fissarsi dal tribunale al debitore per la notifica del decreto in modo da consentire un adeguato spatium deliberandi ai creditori, termine per la costituzione di eventuali opponenti, data dell’udienza).
Se tali criticità fossero ritenute rilevanti, la soluzione alternativa potrebbe essere quella dell’emissione di due decreti: uno di nomina dell’esperto e un secondo decreto di fissazione dell’udienza da emettersi all’esito del deposito della relazione dell’esperto, consentendo così al tribunale di evitare di procedere ulteriormente in caso di sussistenza di chiari elementi di inammissibilità, quale un’evidente impossibilità di pagamento di tutti i creditori, valutazione da ritenersi invece prematura alla luce del solo parere dell’esperto, posto che, diversamente, non si comprenderebbe la necessità di affidare la redazione di un parere anche all’ausiliario.
Certamente la prospettazione dell’opportunità di emissione di due separati decreti parrebbe urtare contro la lettera della norma che al c. 4 dispone che “Con il medesimo decreto”, e quindi con quello di cui al c. 3 di nomina dell’ausiliario, il tribunale provveda a fissare l’udienza e a ordinare le necessarie comunicazioni, ma potrebbe anche intrepretarsi l’espressione nel senso che della previsione di un unico il decreto con cui si fissa l’udienza e si dispone sulla comunicazione ai creditori della relazione e del parere dell’esperto e dei quello dell’ausiliario, senza alcun riferimento al decreto di cui al c. 3.
In fase di omologazione la verifica del collegio è certamente a tutto tondo in quanto concerne “la regolarità del contraddittorio e del procedimento, nonché il rispetto dell'ordine delle cause di prelazione e la fattibilità del piano di liquidazione” e la circostanza che “la proposta non arreca pregiudizio ai creditori rispetto all'alternativa della liquidazione giudiziale e comunque assicura un'utilità a ciascun creditore”. Per vero, come è stato osservato[20], la circostanza che la norma delimiti l’oggetto dell’omologazione indicando selettivamente le possibili motivazioni delle opposizioni e le valutazioni d’ufficio, comporta che altri ambiti di indagine sono preclusi ma è anche vero che quelli indicati sostanzialmente esauriscono le possibili cause di rigetto dell’omologazione.
Resta solo da rammentare che queste verifiche sono fatte d’ufficio senza attendere, come consentirebbe la Direttiva, una sollecitazione dei creditori mediante l’opposizione cui sono legittimati[21].
Circa l’intervento del tribunale nella fase esecutiva, il legislatore sembra fare un’apertura di credito nei confronti del liquidatore con particolare riferimento all’accettazione di una proposta di acquisto dell’azienda che dovrebbe essere rimessa del tutto all’organo deputato in quanto l’autorizzazione è prevista solo se la ricerca dell’acquirente alternativo e la conclusione del contratto competono all’ausiliario in quanto da compiersi prima dell’omologazione. E’ ben vero che il primo comma dell’art. 25 septies richiama l’art. 114 e quindi anche la previsione secondo cui il tribunale può determinare “le altre modalità della liquidazione” nonché quella sulla necessità di applicare, nei limiti della compatibilità, le disposizioni sulle vendite nella liquidazione giudiziale ma è anche vero che la specifica disposizione per l’ipotesi dell’inserimento nel piano di liquidazione di una offerta di acquisto dell’azienda o di uno o più rami o di specifici beni, si limita a disporre che il liquidatore possa dare esecuzione all’offerta di vendita, stipulando quindi il contratto, “verificata l’assenza di soluzioni migliori sul mercato” e quindi lasciandogli ampio margine circa le modalità dell’accertamento richiestogli[22].
4 . Gli accordi di ristrutturazione dei debiti
L’istituto degli accordi di ristrutturazione dei debiti (in seguito anche ADR) ha ricevuto in anni recenti particolari attenzioni da parte del legislatore che non solo, già con la prima formulazione del Codice, ne ha incrementato in modo rilevante la duttilità mediante l’ampliamento delle possibilità di coinvolgimento dei creditori da parte del debitore, ma ha anche dimostrato di avere non poche aspettative sul suo successo tanto da anticiparne l’introduzione nella disciplina della crisi di impresa con il D.L. n. 118/2021[23]. L’istituto non è stato praticamente toccato dal decreto di recepimento della Direttiva Insolvency, se non per quanto attiene alla necessaria nomina del commissario giudiziale fin dall’eventuale richiesta di termini per la presentazione degli accordi e prescindendo dall’avvenuto deposito di una domanda di apertura della liquidazione giudiziale. È chiaro l’intento del legislatore di incrementare il controllo giudiziale sull’operato del debitore anche nella prospettiva degli accordi, soprattutto con riferimento ad ogni possibile “circostanza o condotta del debitore tali da pregiudicare una soluzione efficace della crisi”. Una novità rispetto alla disciplina fallimentare è data dalla previsione secondo cui nel provvedimento di nomina deve anche essere affidato al commissario giudiziale il compito di riferire “immediatamente al tribunale su ogni atto di frode ai creditori non dichiarato nella domanda” (art. 44). La disposizione è conseguenza della qualifica di vera e propria domanda, e non solo di mera richiesta di concessione di termini, dell’atto depositato ex art. 40 con cui si chiede l’accesso ad una procedura di regolazione della crisi ed è foriera di conseguenze potenzialmente pesanti per il debitore il quale si vede costretto ad una disclosure che potrebbe essere poi invocata in una causa di danno in una situazione in cui non sa ancora, in ipotesi, se otterrà le necessarie adesioni alle sue proposte. Se dunque la “confessione” viene resa il tribunale è immediatamente chiamato a valutare se effettivamente la condotta esplicitata costituisca atto di frode ai creditori in quanto, in caso lo fosse, deve procedere alla revoca del termine concesso, sanzione che, pur non impedendo al debitore di ripresentare una domanda di omologazione completa di piano e accordi, lo espone al rischio che nel frattempo venga dichiarata aperta la liquidazione giudiziale.
Anche in relazione agli ADR, come per il concordato semplificato, l’esame del tribunale si svolge sostanzialmente in occasione dell’omologazione, posto che l’eventuale fase prenotativa e quella dell’emissione del provvedimento che fissa l’udienza per l’omologazione non presentano problemi particolarmente nuovi, a parte quanto già discusso. Come anticipato, tuttavia, il compito del tribunale sarà facilitato dalla presenza, anche in questa fase, del commissario giudiziale che può monitorare più incisivamente la condotta del debitore e quindi la corretta gestione dell’impresa e le sue prospettive.
Quanto al perimetro dell’indagine del tribunale, non può non balzare all’occhio che nulla si dice né nel Codice, né nel decreto di recepimento circa eventuali specifici controlli in funzione dell’omologazione. L’art. 48 sul punto, infatti, si limita prevedere che assunti i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d'ufficio, anche delegando uno dei componenti del collegio, e sentito il commissario giudiziale, il tribunale omologa con sentenza gli accordi.
Tutto ciò dovrebbe significare che il tribunale possa limitarsi, oltre agli ovvi controlli sulla competenza e la legittimazione del debitore ricorrente, a verificare il raggiungimento delle previste aliquote di aderenti. Resta da valutare se debba compiere d’ufficio anche il controllo sulla fattibilità del piano e sulla condivisibilità dell’attestazione del professionista indipendente circa l’idoneità dello stesso ad assicurare il pagamento, integrale e nei termini, dei creditori non aderenti. A tale quesito pare doversi dare risposta negativa se si pongono a confronto da un lato l’assenza di qualunque dato letterale a conforto di specifiche indagini nell’art. 48 citato o negli artt. 57, 58, 59, 60 e 61e, dall’altro, quanto di diverso è contenuto nell’art. 183 bis L. fall. ma soprattutto nella disciplina dell’omologazione del concordato preventivo, anche alla luce del decreto di recepimento, per cui dovrebbe concludersi che l’esame del tribunale su detti punti in tanto possa focalizzarsi in quanto vi sia una specifica opposizione di un creditore, tenuto anche conto che la Direttiva non impone un controllo d’ufficio.
Per quanto nella variante degli accordi ad efficacia estesa vi siano creditori pregiudicati, parrebbe che la conclusione non possa essere diversa. È ben vero che vengono elencate le condizioni cui è subordinata la possibilità dell’estensione ma resta la questione se la carenza delle stesse sia rilevabile d’ufficio o solo dietro opposizione dei creditori pregiudicati, come mi pare sia nella logica dell’istituto.
5 . I piani di ristrutturazione soggetti ad omologazione
Una delle maggiori e forse inattese novità del decreto legislativo n. 83/2022 è data dall’introduzione nel panorama legislativo della crisi di impresa (art. 64 bis), tra gli strumenti di regolazione della crisi, del nuovo istituto del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (in seguito anche PRO), salutato certo con interesse ma anche con qualche dubbio sull’opportunità di aggiungere un’ulteriore procedura all’elenco, non certo scarno, di quelle già esistenti, benché la normativa unionale non lo imponesse[24].
Tralasciando tutte le altre occasioni di intervento identiche a quelle che si possono verificare nella procedura di concordato preventivo la cui disciplina è in buona parte richiamata, è opportuno soffermarci sul decreto di apertura e sull’omologazione.
Il perimetro della verifica in occasione dell’esame del ricorso è delineato espressamente dall’art. 64 bis, c. 4, lett. a) e attiene alla (testualmente) “mera ritualità” della proposta e alla correttezza dei criteri di formazione delle classi, dove ritualità, tenuto conto anche della non casuale aggettivazione, richiama unicamente le indagini su competenza, legittimazione, forma della domanda e rispondenza della stessa al prototipo dell’istituto, mentre la ulteriore verifica non può che concernere il rispetto del criterio dell’omogeneità di posizione giuridica e interessi economici delle classi[25] ma non certo l’esame del merito sul trattamento proposto, visto che il valore generato dal piano può essere distribuito anche in deroga agli articoli 2740 e 2741 del codice civile e alle disposizioni che regolano la graduazione delle cause legittime di prelazione, e comunque pare incongruo che possa essere rilevata come causa di inammissibilità ciò che non osterebbe invece all’omologazione.
Da segnalarsi, infatti, per quanto attiene all’omologazione, che il legislatore si limita a prevedere al comma 8 che “Il tribunale omologa il piano di ristrutturazione nel caso di approvazione da parte di tutte le classi. Se con l’opposizione un creditore dissenziente eccepisce il difetto di convenienza della proposta, il tribunale omologa il piano di ristrutturazione concordato quando dalla proposta il credito risulta soddisfatto in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale”.
Da tale indicazione pare potersi trarre la conclusione che solo la convenienza può essere sottoposta al giudizio del tribunale[26] e unicamente se vi è stata tempestiva e specifica opposizione che rappresenta la linea Maginot dietro la quale può arroccarsi un creditore dissenziente.
È chiaro che il problema che si pone è quello relativo all’eventuale esame della fattibilità del piano, visto che la stessa deve essere oggetto dell’attestazione. In difetto di un preciso richiamo normativo ad una necessaria valutazione del tema, ma soprattutto alla luce dell’espressa esclusione dell’applicazione dell’art. 112 che disciplinando l’omologazione del concordato preventivo, detta anche i casi e i criteri di valutazione della fattibilità, escluderei non solo un potere d’ufficio in capo al tribunale ma anche in caso di specifica opposizione sul punto, ancora alla luce della diversa disciplina del concordato preventivo che, come si dirà, non prevede particolari controlli in caso di unanimità delle classi, impone invece controlli molteplici e d’ufficio, compreso quello sulla fattibilità del piano, in ipotesi di sola approvazione a maggioranza[27].
Sarebbe dunque questa l’unica procedura in cui è sostanzialmente assente l’eterotutela da parte del tribunale (salva l’opposizione sulla convenienza), essendo ogni valutazione rimessa ai creditori una volta che la proposta sia approvata da tutte le classi e non prevedendosi neppure l’ipotesi di un’approvazione a maggioranza bilanciata dal controllo del tribunale.
6 . Il concordato preventivo
La disciplina del concordato preventivo è stata notevolmente modificata per quanto concerne il possibile contenuto della proposta e i criteri per l’approvazione della stessa e ciò ha ovviamente influenza sugli elementi che devono essere oggetto di valutazione da parte del giudice[28].
Quanto alla fase dell’ammissione, il Codice dispone all’art. 47 due criteri di indagine utilizzando formule diverse a seconda che si tratti di concordato liquidatorio o di concordato in continuità.
Nel primo caso il giudice accerta l’ammissibilità della proposta e la fattibilità del piano, intesa come non manifesta inattitudine del medesimo a raggiungere gli obiettivi prefissati; questi consistono, come si desume dal dettato dell’art. 84, anch’esso rinnovato, nel soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale, in un aumento di almeno il 10% dell’attivo disponibile e nel soddisfacimento dei chirografari e dei privilegiati degradati non inferiore al 20%. Se questi obbiettivi sono manifestamente irraggiungibili il concordato non deve essere aperto.
Nel secondo caso il tribunale accerta la ritualità della proposta, con la precisazione che la domanda è comunque inammissibile se il piano è manifestamente inidoneo alla soddisfazione dei creditori, come proposta dal debitore, e alla conservazione dei valori aziendali. Tale ultimo elemento pare essere relativo all’idoneità dell’azienda ad operare utilmente nel mercato e quindi ad assicurarne la sopravvivenza dopo la chiusura della procedura con la conseguenza che solo la manifesta inidoneità a raggiungere tale obbiettivo potrebbe indurre il tribunale a troncare sul nascere il tentativo.
Come si può notare, il legislatore invita alla cautela nel decidere sull’ammissibilità in una fase in cui non hanno avuto ancora spazio tutte le voci degli interessati, sulla falsariga, peraltro della giurisprudenza della Cassazione che ammette la possibilità di troncare sul nascere l’iniziativa concordataria solo nel caso in cui sia assolutamente evidente la insanabile carenza dei presupposti per l’omologazione[29].
L’art. 112 sull’omologazione presenta diverse novità.
In primo luogo, seguendo l’impostazione prevista per l’ammissione, muta il perimetro di valutazione del giudice a seconda che si tratti di un concordato in continuità o liquidatorio ma ulteriormente anche, nel primo caso, a seconda che la proposta sia stata approvata all’unanimità delle classi o a maggioranza delle stesse.
Comune a tutte le ipotesi è l’indagine circa: a) la regolarità della procedura; b) l'esito della votazione; c) l'ammissibilità della proposta; d) la corretta formazione delle classi; e) la parità di trattamento dei creditori all’interno di ciascuna classe.
Può ritenersi trattarsi di un esame sostanzialmente formale, soprattutto per quanto concerne il concordato in continuità, in quanto l’unico oggetto di indagine che potrebbe comportare una qualche valutazione non strettamente giuridica (l’ammissibilità della proposta) è in realtà limitato in quanto la fattibilità è oggetto di altra disposizione e il trattamento dei creditori e anch’esso oggetto di specifica disposizione.
Quanto alla fattibilità, per il concordato in continuità l’esame è volto ad accertare, come in sede di ammissione, se “il piano non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza” (oltre a che eventuali nuovi finanziamenti siano necessari per l’attuazione del piano e non pregiudichino ingiustamente gli interessi dei creditori); la circostanza che il legislatore si sia fatto carico di chiarire quali siano i criteri di valutazione della fattibilità ed abbia utilizzato una formula in negativo fa ritenere che vi sia una sorta di presunzione di esistenza di ragionevoli prospettive e che solo la prova contraria possa comportare il rigetto della domanda di omologazione[30].
Considerazioni analoghe possono farsi per il concordato non in continuità in quanto l’indagine attiene all’accertamento sulla fattibilità, espressamente intesa, tuttavia, come “non manifesta inattitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati”, espressione anche questa in negativo che parrebbe comportare che in difetto di prova della manifesta inettitudine la fattibilità deve ritenersi sussistente[31].
Quelli indicati sono gli unici controlli che il tribunale deve compiere in caso di concordato in continuità e quindi pare potersi affermare che il debitore può proporre ai creditori trattamenti diversi rispetto a quelli dovuti in base all’absolute priority rule (poi anche APR, in base alla quale un creditore di rango inferiore non può essere soddisfatto se prima non ha ricevuto integrale soddisfazione il creditore di rango superiore) ma anche alla relative priority rule (poi anche RPR, in base alla quale è sufficiente che i crediti di una classe siano pagati in ugual misura rispetto alle classi di pari grado e in misura maggiore rispetto alla classe di rango inferiore)[32] e che nessun controllo sul punto competa al tribunale se la proposta è approvata all’unanimità delle classi. Ne consegue, riprendendo il discorso del perimetro del giudizio del tribunale in fase di ammissione, che nessun controllo deve essere fatto sul contenuto della proposta alle diverse classi, posto che non si può bloccare in quella sede la domanda per ragioni che potrebbero non rilevare in sede di omologazione.
La correttezza di tale interpretazione può desumersi dalla diversa serie di controlli che il tribunale deve fare in caso di dissenso di una o più classi, su richiesta del debitore oppure col suo consenso in caso di proposte concorrenti, al fine di pervenire comunque all’omologazione.
In particolare, e solo in caso di dissenso, è previsto che devono sussistere tutte le seguenti condizioni:
- che il valore di liquidazione e quello eccedente siano distribuiti nel rispetto delle regole già evidenziate trattando delle ipotesi di applicazione della APR e della RPR.
- che nessun creditore riceva più dell’importo del proprio credito;
- che la proposta sia approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza, la proposta sia approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione.
La conclusione che si è ritenuto di potere trarre da quanto evidenziato avvicina il concordato preventivo approvato da tutte le classi al piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione ed è un’assoluta novità per la legislazione nazionale, segnando l’affermazione del principio che la tutela dei creditori dissenzienti nell’ambito delle classi favorevoli è affidata al solo limite invalicabile del trattamento non inferiore a quella che avrebbero ottenuto in caso di liquidazione. 
Può essere curioso che la violazione di alcuni precetti, quale quello sul rispetto delle cause di prelazione, sia motivo di inammissibilità, e quindi rilevabile d’ufficio, secundum eventum e dunque a seconda che la proposta sia o no approvata all’unanimità, ma non può che prendersi atto che il legislatore, dopo aver degradato l’interesse dei creditori al miglior trattamento rispetto all’alternativa liquidatoria all’interesse ad un trattamento solo non deteriore, ha compiuto un nuovo passo verso l’equiparazione dell’interesse pubblico alla continuazione dell’attività di impresa a quello privato la soddisfacimento del credito lasciando alla valutazione della maggioranza[33], se presente in tutte le classi, esprimersi anche sul rispetto delle regole di priorità nel soddisfacimento.
L’introduzione della rilevanza del valore di liquidazione ha comportato la specificazione delle ipotesi in cui il tribunale deve disporre la stima del complesso aziendale nel concordato in continuità: opposizione concernente la violazione della convenienza oppure il mancato rispetto delle condizioni di ristrutturazione trasversale in caso di approvazione in carenza di unanimità delle classi.
7 . Conclusioni
In tema di contenuto e quindi limiti del controllo del giudice nell’ambito degli istituti della crisi di impresa e del suo rapporto con le valutazioni che spettano ai creditori il Codice ha subito nelle varie scritture diverse modifiche evolvendosi rispetta alla legge delega n. 115 del 2017, anche perché ha attraversato eventi che hanno avuto un impatto globale sull’economia, dimostrando ancora una volta come sia difficile dettare regole abbastanza duttili da adattarsi ai mutamenti del quadro economico senza rincorrerlo[34].
Volendo fare una sintetica valutazione della cifra del Codice quanto al controllo giudiziale non sotto il profilo quantitativo ma qualitativo pare potersi affermare che la modifica maggiormente rilevante è quella che vede spostare il fulcro del controllo dalla valutazione della fattibilità a quello della convenienza.
Per quanto concerne il concordato preventivo in continuità, che è comunque la procedura che per la sua rilevanza oggettiva e l’attenzione che le dedica il legislatore rappresenta il perno degli strumenti di risoluzione della crisi, pare indubbio l’intento di voler evitare che le sorti del tentativo del debitore dipendano da una valutazione prognostica fatta dal tribunale laddove questa non sia ancorata ad elementi assolutamente inequivoci, lasciando invece ai creditori, nei caso in cui la fattispecie può prestarsi a diverse interpretazioni, la scelta se condividere la prospettiva proposta oppure, sostanzialmente, optare per l’alternativa liquidatoria.
Decisa invece è la scelta di blindare la possibilità per il creditore uti singulus di chiedere la valutazione di convenienza, seppure intesa come assenza di soluzioni più favorevoli, anche in considerazione della circostanza che le modalità di calcolo delle maggioranze possono portare, in concreto, a rendere decisivo il voto della minoranza dei crediti[35].
Resta da vedere se al cambio di passo che si richiede in termini di maggior cultura imprenditoriale, che dovrebbe portare ad avere procedure maggiormente efficienti anche perché tempestivamente azionate, si accompagnerà una maggiore presenza e incidenza del ceto creditorio, presupposto necessario per un reale e fruttuoso confronto tra le parti interessate alla miglior soluzione della crisi in un conteso procedurale partecipato, vigilato e non diretto.

Note:

[1] 
D.L.17 giugno 2022 n. 83, in G.U del 1 luglio 2022, n. 152.
[2] 
“Un debitore dovrebbe poter beneficiare di una sospensione temporanea delle azioni esecutive individuali, sia essa concessa da un'autorità giudiziaria o amministrativa oppure per legge allo scopo di agevolare le trattative sul piano di ristrutturazione, così da poter continuare a operare o almeno mantenere il valore della sua massa fallimentare durante le trattative. Ove previsto dal diritto nazionale, la sospensione dovrebbe essere possibile anche a beneficio dei terzi garanti, fra cui fideiussori e prestatori di garanzie reali. Tuttavia, gli Stati membri dovrebbero poter disporre che le autorità giudiziarie o amministrative abbiano la facoltà di rifiutare la concessione di una sospensione delle azioni esecutive individuali qualora tale sospensione non sia necessaria o non soddisfi l'obiettivo di agevolare le trattative. Tra i motivi di rifiuto potrebbero figurare la mancanza di sostegno da parte della maggioranza richiesta dei creditori o, se previsto dal diritto nazionale, l'effettiva incapacità del debitore di pagare i debiti in scadenza”.
[3] 
“Al fine di garantire il giusto equilibrio tra i diritti del debitore e quelli dei creditori, una sospensione delle azioni esecutive individuali dovrebbe applicarsi per un periodo massimo di quattro mesi. Le ristrutturazioni complesse, tuttavia, potrebbero richiedere più tempo. Gli Stati membri dovrebbero poter determinare che in tali casi l'autorità giudiziaria o amministrativa possa concedere una proroga del periodo iniziale di sospensione. (omissis)”.
[4] 
“Per garantire che i creditori non subiscano inutili pregiudizi, gli Stati membri dovrebbero provvedere affinché l'autorità giudiziaria o amministrativa possa revocare una sospensione delle azioni esecutive individuali se essa non soddisfa più l'obiettivo di agevolare le trattative, ad esempio se risulta evidente che la maggioranza richiesta dei creditori non appoggia la continuazione delle trattative. Se gli Stati membri prevedono tale possibilità, la sospensione dell'esecuzione dovrebbe inoltre essere revocata se i creditori ne sono ingiustamente pregiudicati. (omissis)”.
[5] 
“La sospensione delle azioni esecutive individuali dovrebbe comportare altresì la sospensione dell'obbligo di un debitore di presentare istanza di apertura di una procedura di insolvenza che potrebbe concludersi con la liquidazione del debitore, o dell'apertura di detta procedura su richiesta del creditore. (omissis)”.
[6] 
“Se da un lato un'autorità giudiziaria o amministrativa dovrebbe esaminare il superamento della verifica del migliore soddisfacimento dei creditori solo se il piano di ristrutturazione è contestato per tale motivo, onde evitare che sia effettuata in tutti i casi una valutazione, gli Stati membri dovrebbero poter anche disporre che si possano esaminare d'ufficio altre condizioni per l'omologazione. Gli Stati membri dovrebbero poter aggiungere altre condizioni da rispettare ai fini dell'omologazione del piano di ristrutturazione, ad esempio se i detentori di strumenti di capitale sono adeguatamente tutelati o meno. L'autorità giudiziaria o amministrativa dovrebbe poter rifiutare di omologare piani di ristrutturazione che risultino privi di prospettive ragionevoli di impedire l'insolvenza del debitore o di garantire la sostenibilità economica dell'impresa. Tuttavia, gli Stati membri non dovrebbero essere tenuti a garantire che tale valutazione sia effettuata d'ufficio”.
[7] 
Sul tema L. Panzani, La composizione negoziata della crisi: il ruolo del giudice, in Dirittodellacrisi.it, 4 febbraio 2022, 8 e ss.
[8] 
La disposizione è esclusa dall’abrogazione pressoché integrale del D.L. n. 118/2022 (sostanzialmente trasfuso nel Codice) in virtù dell’art. 46 del D.Lgs. n. 83/2022.
[9] 
Per citare, ex multis, le più recenti: Trib. Catania, 19 giugno 2022; Trib. Bergamo, 25 maggio 2022; Trb. Avellino, 16 maggio 2022; Trib. Salerno, 10 maggio 2022. Tutte reperibili in Dirittodellacrisi.it.
[10] 
L. De Simone, Le autorizzazioni giudiziali, in Dirittodellacrisi.it, 9 dicembre 2021, 5.
[11] 
Ritiene che debbano essere seguite modalità deformalizzate ma volte comunque alla ricerca prezzo di mercato anche tramite un ausiliario L. De Simone, op. cit., 8.
[12] 
L’art. 84 finalizza il concordato preventivo a “il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale mediante la continuità aziendale” e chiarisce che “La continuità aziendale tutela l’interesse dei creditori e preserva, nella misura possibile, i posti di lavoro”.
[13] 
“Il tribunale, valutata la ritualità della proposta, acquisiti la relazione finale di cui al comma 1 e il parere dell’esperto …(omissis)”. Nello stesso senso G. Bozza, Il concordato semplificato introdotto dal d.l. n. 118 del 2021, convertito, con modifiche dalla l. n. 147 del 2021, in Dirittodellacrisi.it, 9 novembre 2021, 23.
[14] 
Ritengono, invece, che i termini “ritualità” e “ammissibilità” non indichino valutazioni diversificate A. Rossi, L’apertura del concordato semplificato, in Dirittodellacrisi.it, 18 marzo 2022, 16 ss., G. D’Attorre, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio in Il Fall., 2021, 1614.
[15] 
Formulazione che, come quella utilizzata in altre norme di “tribunale competente ai sensi dell’art. 27”, lascia il dubbio dell’applicabilità anche dell’art. 28 che sterilizzata, ai fini della competenza, gli spostamenti infrannuali.
[16] 
Esclude ogni valutazione sull’ammissibilità in questa fase da parte del tribunale G. Bozza, op. cit., 21.
[17] 
Esclude invece la possibilità di valutare la relazione dell’esperto ai fini dell’ammissibilità della domanda, sia pure con accenti critici nei confronti di tale preclusione, G. Bozza, op. cit., 25. Ritengono che il contenuto della relazione possa valutarsi anche nella fase iniziale G. D’Attorre, op. cit., 1615, G. Fichera, Sul nuovo concordato semplificato: ovvero tutto il potere ai giudici, in Dirittodellacrisi.it 11 novembre 2021, 21.
[18] 
Sui criteri di valutazione della correttezza e buona fede che dovrebbero caratterizzare la condotta del debitore, ampiamente, A. Rossi, op. cit., 13 ss.
[19] 
Contra G. D’Attorre, op. cit., 1615.
[20] 
G. Bozza, op. cit., 35.
[21] 
Vedi nota 6. Critico sull’esclusione del voto G. Bozza, op. cit., 38.
[22] 
Conforme sulla discrezionalità lasciata al liquidatore nell’individuazione delle modalità per compiere la verifica dell’assenza di migliori condizioni sul mercato G. Bozza, op. cit., 42.
[23] 
Sull’istituto in generale N. Abriani, Gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, in Dirittodellacrisi.it 13. maggio 2021; B. Inzitari, Gli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari e la convenzione di moratoria: deroga al principio di relatività del contratto ed effetti sui creditori estranei, in Contr. e impr., 2015, 1183; G. Fauceglia, L’accordo di ristrutturazione dell’indebitamento bancario tra specialità negoziale e procedure concorsuali, in Dir. fall. e soc. comm., 2016, 723; L. Panzani, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del Covid, in Dirittodellacrisi.it, 25 agosto 2021; G.B. Nardecchia, Il novellato art. 182-septies l. fall., in Il Fall., 1634. Si vis anche V. Zanichelli, La nuova disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti, Molfetta, 2019.
[24] 
Sull’istituto in generale G. Bozza, Il Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, in Dirittodellacrisi.it, 7 giugno 2022, 23; V. Zanichelli, Commento a prima lettura del decreto legislativo 17 giugno 2022 n. 83 pubblicato in G.U. il 1 luglio 2022, in Dirittodellacrisi.it, 1 luglio 2022. 
[25] 
Così anche G. Bozza, op. cit., 2.
[26] 
Conformemente agli artt. 9 e 10 della Direttiva Insolvency.
[27] 
Ad analoghe conclusioni giungono anche G. Bozza, op. cit., 36 e S. Ambrosini, Il codice della crisi dopo il d. lgs. n. 83/2022: brevi appunti su nuovi istituti, nozione di crisi, gestione dell’impresa e concordato preventivo (con una notazione di fondo), 5, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it., 17 luglio 2022.
[28] 
Sul tema S. Leuzzi, Appunti sul Concordato Preventivo ridisegnato, in Dirittodellacrisi.it, 5 maggio 2022.
[29] 
Sull’evoluzione della giurisprudenza circa l’esame della fattibilità A. Paluchowski, Giudizio di fattibilità e “ragionevole probabilità di impedire l’insolvenza”. Ruolo del giudice e poteri dei creditori, in Dirittodellacrisi.it, 14 febbraio 2022.
[30] 
“Fra la positiva verifica di fattibilità economica e la verifica negativa dell’evidente inattuabilità del piano si colloca la massima parte dei casi reali, quelli in cui non vi sono certezze, ma possibilità. Per questi casi, il giudice deve omologare la proposta secondo la Direttiva ma non doveva farlo secondo l’impianto originario del CCII” così L. Stanghellini, “Il Codice della crisi dopo il d.lgs. 83/2022: la tormentata attuazione della direttiva europea in materia di "quadri di ristrutturazione preventiva", in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 21 luglio 2022.
[31] 
Osserva S. Leuzzi, op. cit., 2, che “Legittima e attestabile diviene, sotto questo aspetto, la mera chance, che pur soggetta ad un folto numero di variabili, alimenta un piano che non appare prima facie irrealizzabile”.
[32] 
Sulla tematica della absolute priority rule e della relative priority rule e, in genere, sui criteri di distribuzione del valore G.P. Macagno La distribuzione di valore tra regole di priorità assoluta e relativa. Il plusvalore da continuità, in Dirittodellacrisi.it, 6 aprile 2022, nonché G. Lener Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla “distribuzione” del patrimonio (tra regole di priorità assoluta e regole di priorità relativa in Dirittodellacrisi.it, 25 febbraio 2022.
[33] 
Peraltro, anche a quella limitata ai due terzi dei votanti in caso di partecipazione al voto di almeno la metà degli aventi diritto. Sul tema della maggioranza G. Bozza, Il Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, cit. 11.
[34] 
Pare sufficiente ricordare le vicissitudini, non ancora concluse, della normativa sull’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, modificata ripetutamente e in un breve lasso di tempo per adattarsi alle caratteristiche e alle necessità di specifiche realtà imprenditoriali.
[35] 
Sulla questione G. Bozza, Le maggioranze per l’approvazione della proposta concordataria, in Dirittodellacrisi.it 3 agosto 2022, 26 ss.

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Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

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