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La stima dell’attivo nel concordato semplificato ex art. 18 D.L. n. 118/2021

Federico Clemente, Dottore Commercialista in Bergamo

7 Gennaio 2022

La legge 147/21 in tema di composizione negoziata della crisi d’impresa introduce un nuovo istituto concordatario, il concordato semplificato.
Trattasi di una procedura liquidatoria, che chiama quindi ad una analisi ed alla conseguente valutazione degli attivi e dei passivi d’impresa.
In questo percorso, si pongono all’attenzione alcuni temi, quali il ruolo e il perimetro di intervento dell’esperto e dell’ausiliario, la possibilità di soddisfare non integralmente i creditori con prelazione, l’incidenza dei risvolti di natura fiscale.
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1 . Introduzione
Nel caso in cui le trattative per la composizione negoziata della crisi d’impresa si siano svolte secondo correttezza e buona fede, ma non abbiano avuto buon esito, l’imprenditore può presentare una proposta di concordato per cessione dei beni ai sensi dell’art. 18 L. 147/21 (rubricato “concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio”).
In questo ambito, un’attenzione particolare si pone in ordine alla stima del patrimonio del debitore.
Tale stima si colloca in prima battuta all’interno dello stesso articolo 18 della legge 147; due sono i commi di interesse:
1) il terzo comma, in base al quale il tribunale, al fine di valutare la proposta di concordato preventivo, acquisisce “il parere dell’esperto con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte”;
2) il quinto comma, in base al quale il tribunale omologa il concordato quando “rileva che la proposta non arreca pregiudizio ai creditori rispetto all’alternativa della liquidazione fallimentare, e comunque assicura un’utilità a ciascun creditore”.
Dunque, due sono i momenti che chiamano ad una valutazione liquidatoria del patrimonio.
Il primo in sede di proposta, il secondo in sede di omologa.
E, viene da osservare fin d’ora, i due piani di analisi non sono completamente sovrapponibili.
2 . Il terzo comma dell’art. 18 L. 147/21 e il ruolo dell’esperto
Muoviamo dal primo piano di analisi, quello di cui al terzo comma, demandato espressamente all’esperto.
La base di appoggio di tale vaglio è la proposta di concordato.
Proposta che, come accennato, deve necessariamente essere liquidatoria e, come tale, prevedere la monetizzazione di tutti gli attivi.
Il primo soggetto che dovrà dunque svolgere un’analisi dell’attivo in chiave liquidatoria sarà l’imprenditore.
E già qui sovvengono alcuni temi:
- l’imprenditore è tenuto ad una cosiddetta “disclosure”, ossia alla evidenziazione di propri atti censurabili, al fine di evitare la possibile sanzione di fallimento? Stante il richiamo dell’articolo 173 nell’articolo 18 in commento, la risposta pare dover essere affermativa;
- l’imprenditore è tenuto ad una comparazione con il fallimento? Alla luce degli sviluppi dottrinali in tema di concordato liquidatorio, si ritiene che non sia strettamente necessario;
- è possibile presentare una proposta “chiusa”, ossia con offerte predeterminate; si rinvia all’articolo 19, secondo comma, sempre della L. 147/21 che non richiama al riguardo la necessità di procedure competitive, ma “l’assenza di soluzioni migliori sul mercato”, che il liquidatore nominato ai sensi del medesimo articolo 19 sarà tenuto a verificare.
Le analisi dell’esperto, a stretto rigore di norma, devono essere calibrate sulla proposta del debitore.
Se valgono i richiami di poc’anzi, quindi, l’esperto:
- non deve svolgere una comparazione con il fallimento;
- non deve vagliare se la proposta è la migliore formulabile dal debitore;
Peraltro si ritiene anche che l’esperto non debba esprimersi sulla disclosure, e quindi sulle possibili iniziative risarcitorie eventualmente conseguenti a determinate operazioni, né sulle cause di crisi (che peraltro ormai in qualche misura avrà già analizzato nella relazione finale del tentativo di composizione).
Ai fini del proprio parere, tuttavia, l’esperto non potrà esentarsi:
A) dall’esame dell’attivo e del passivo dell’impresa posto a base della proposta. Si ritiene che l’esperto non debba esprimersi sugli attivi e passivi degli eventuali soci illimitatamente responsabili, tenuto conto che gli stessi, salvo patto contrario, non fanno parte della proposta concordataria (alla luce del richiamo nell’art. 18 L. 147/21 all’art. 184 della legge fallimentare); 
B) dalla valutazione di tale attivo e passivo.

A) sotto il primo profilo, l’esame rimanda alla veridicità dei dati di cui alla normativa concordataria. 
Infatti, per esprimere un parere fondato sui “presumibili risultati della liquidazione”, l’esperto non può che avere ragionevole convincimento della piena rappresentatività delle risultanze della contabilità. Ad essa, si dovranno aggiungere le più opportune valutazioni in tema di composizione del passivo (tra posizioni prelatizie e posizioni chirografarie) e dei fondi spese e oneri futuri.
Il tutto, a questo punto, presuppone l’inventario degli attivi.
Di fatto, dunque, l’esperto è in prima battuta chiamato a tutte quelle attività che devono essere svolte anche dall’attestatore al fine della “veridicità dei dati”, ossia a titolo esemplificativo: circolarizzazione, verifiche di proprietà dei beni, richiesta di certificazione all’Agenzia delle Entrate ed Enti previdenziali, centrale rischi, carichi pendenti eccetera, ove non già presenti per norma della stessa legge 147 tra gli atti del tentativo di composizione, cui si aggiunge ovviamente l’analisi dei contratti pendenti, dei contenziosi, della dismissione del personale, di sanzioni e interessi eccetera.
Trattasi all’evidenza di un’attività che va svolta tempestivamente, e quindi già durante il tentativo di composizione della crisi, anche ai fini di una sua corretta valutazione.
D’altro canto, il canovaccio della legge porta a dire che in ogni caso l’esperto debba vagliare la veridicità dei dati nel corso del proprio operato, a prescindere dall’epilogo concordatario.
I molteplici pareri al cui rilascio l’esperto è chiamato non possono infatti prescindere a mio avviso da una situazione in qualche misura certificata.
Si richiama ad adiuvandum il punto 4. 3 del Protocollo di conduzione della composizione, laddove vengono introdotte possibili “carenze o incongruenze della situazione contabile di partenza” ravvisabili dall’esperto. Non si può che convenire che il giudizio dello stesso debba essere necessariamente fondato su tecniche di verifica ormai di patrimonio comune.
Risolutivo poi pare essere l’art. 4 della legge 147/21, laddove espressamente indica che l’esperto può avvalersi “di un revisore legale”, con ciò fornendo un chiaro indirizzo circa l’approccio che deve avere l’esperto circa l’analisi dei dati contabili.
Certo, si potrebbero porre dei problemi di incompatibilità tra la possibile riservatezza del tentativo di composizione e la necessità di analisi tempestiva della veridicità dei dati, laddove oltretutto non vi siano misure protettive o siano cessate.
Un altro tema di ordine giuridico e pratico cattura l’attenzione.
Se gli effetti per i creditori si producono dalla data di pubblicazione del ricorso, ciò significa che quella è la data della cristallizzazione e quindi di ogni valutazione.
Tuttavia il piano, che viene necessariamente sviluppato prima del deposito della domanda, non può essere aggiornato alla data di deposito o meglio di pubblicazione della domanda.
Si impone un riallineamento dei dati da parte della società dopo il deposito della domanda di concordato. Il parere dell’esperto, dunque, potrà essere rilasciato dopo tale riallineamento, ovvero dovrà a propria volta essere aggiornato, allorchè il debitore avrà predisposto i dati della proposta con riferimento alla data di effetto.
Di seguito, potranno intervenire le analisi dell’ausiliario.
La prospettazione comporta, ragionevolmente, una non trascurabile dilatazione dei tempi tra il deposito della domanda e l’eventuale omologa del concordato.

B) l’attivo va poi “valutato”, in quanto l’esperto deve attestare i “presumibili risultati della liquidazione”, il che impone un vaglio critico e motivato degli attivi e dei passivi.
Quanto agli attivi, l’esperto dovrà necessariamente avvalersi di perizie di terzi per la valutazione dei beni, comprese le rimanenze. Perizie e valutazioni che, in qualche misura, ci si aspetta di trovare già agli atti del tentativo di composizione o comunque a supporto della domanda di concordato.
In questo ambito è nota e condivisibile la posizione della giurisprudenza in ordine alla inaccettabilità che l’attestatore si adegui acriticamente alle risultanze delle perizie di terzi. 
Ciò comporta che l’esperto dovrà fare propri e motivare i risultati delle perizie, o discostarsene. D’altro canto, non necessariamente la proposta di concordato e il parere dell’esperto devono collimare, per quanto sia auspicabile una unitarietà di valutazioni, frutto di un percorso di confronto tra imprenditore ed esperto nella fase di costruzione della proposta
Ci si permette qualche spunto operativo:
- beni immobili: potranno essere vagliati i valori OMI e di listini ufficiali locali, disposte ricerche sui siti delle aste immobiliari e comunque sui siti immobiliari di compravendita più rilevanti, avuto riguardo ad immobili simili nella stessa zona, estratti atti di compravendita in zona tramite tecnico autorizzato;
- beni mobili registrati: anche in questo caso possono aiutare listini comparativi e siti specializzati;
- impianti e macchinari: di conforto potranno essere quantomeno i prezzi a nuovo per impianti similari, e la quotazione dell’usato da parte delle stesse case produttrici.
Motivo di attenzione sarà l’esame della marcatura CE e del manuale d’uso e manutenzione, a norma degli artt. 12 e 72 del D. Lgs. 81/2008, con possibili responsabilità penali e nullità del contratto di vendita.
Quanto alle rimanenze, oltre ai valori di perizia, sarà da valutare la loro commerciabilità in rapporto alle certificazioni, alle scadenze, e per i prodotti finiti all’assenza di garanzie, alle esclusive e via di seguito.
Anche in questo caso, un controllo dei prezzi di acquisto recenti da parte della società, o di eventuali listini/quotazioni correnti sarà opportuno, con proiezione dell’andamento dei prezzi futuri, anche tramite associazioni di categoria.
Quanto ai crediti, valgono le consuete tecniche mutuate dalla attività di revisione, quali:
- circolarizzazione;
- visure camerali e bilanci clienti più rilevanti;
- andamento pregresso degli incassi;
- esame di eventuali vertenze giudiziali o comunque problematiche tecnico giuridiche in essere/latenti come, ad esempio, alle complesse tematiche degli appalti pubblici, con ritenute a garanzia, riserve, penali e via dicendo. 
Di specifica attenzione, per le correlate conseguenze, il fatto che i contratti in essere alla data di domanda di concordato proseguono in corso di procedura, nonostante la proposta liquidatoria, con conseguenze rilevanti in caso di interruzione. Non è richiamato oltretutto l’art. 169-bis della legge fallimentare, che consente lo scioglimento dei contratti.
L’interruzione dei contratti in corso di concordato potrebbe dare luogo ad oneri risarcitori, di cui va vagliata anche la eventuale natura prededucibile, da considerare attentamente nei fondi rischi ed oneri.
Quanto al passivo, sovvengono tra le più importanti le seguenti tematiche.
Innanzitutto, le poste di debito dovranno essere distinte tra prededucibili (nei limiti della legge 147), privilegiate e chirografarie.
Pur con un certo grado di prudenza, dovranno essere valutati:
- la formazione delle masse mobiliare e immobiliare, con una ripartizione anche solo stimata delle spese generali e di quelle specifiche, per verificare le effettive prospettive di riparto;
- per i fornitori, la ricorrenza di titoli di prelazione (artigiani piuttosto che cooperative, pegno, diritti di ritenzione), anche con riferimento all’Iva;
- per gli agenti, le varie indennità di cessazione (non necessariamente in prelazione);
- per le banche, la correttezza e l’opponibilità delle garanzie (in particolare, su titoli).
Vi sono poi gli oneri di procedura e i fondi rischi.
Tra questi, si rammentano:
- consulenze per il piano concordatario;
- oneri di assitenza legale ordinaria (es. recupero crediti, contestazioni contrattuali ecc.);
- consulenze tecniche
- assistenza professionale commercialista e consulente del lavoro;
- costi gare competitive, ove previste;
- assicurazioni;
- utenze;
- indennità preavviso dipendenti;
- Imu e manutezioni immobili ecc..
Infine, dovrà essere approfondito il contenuto giuridico di eventuali garanzie prestate, in uno con la solidità dei soggetti garanti.
3 . Gli aspetti fiscali
Tema delicato attiene è quello dei risvolti di natura fiscale, sia per quanto concerne le imposte dirette che l’Iva.
Nel concordato preventivo liquidatorio ordinario, valgono le seguenti specificità fiscali:
- l’intassabilità delle sopravvenienze attive da stralcio, ex art. 88 D.P.R. 917/86;
- l’irrilevanza fiscale delle minusvalenze e delle plusvalenze che emergono alla vendita dei beni, ivi comprese le rimanenze, ex art. 86 D.P.R. 917/86;
- la possibilità per il creditore di emettere note di variazione Iva ex articolo 26 d.p.r. 633/72, e la loro irrilevanza in seno al debitore.
La legge 147/21, in tema di concordato semplificato, non dispone alcun richiamo della normativa fiscale mentre, si rammenta, con riguardo alla composizione negoziata richiama l’art. 88 D.P.R. 917/86 e, nel decreto legge, prevedeva l’applicazione dell’art 26 D.P.R. 633/72 (previsione espunta in sede di conversione).
Le norme del D.P.R 917/86 si rendono applicabili per la procedura di “concordato preventivo”.
Ci si deve chiedere quindi se il concordato semplificato sia qualificabile come concordato preventivo. La Legge 147/21 non lo qualifica espressamente come tale; peraltro la relazione illustrativa allo schema di decreto legge lo definisce come una “tipologia di concordato preventivo”. Laddove si ritenesse che il concordato semplificato costituisca un concordato preventivo, ne dovrebbe derivare l’applicabilità degli artt. 86 e 88 del D.p.R. 917/86. Diversamente, il piano dovrebbe prevedere gli eventuali impatti delle plusvalenze derivanti dalla cessione di beni e delle sopravvenienze che si generano con l’esdebitazione.
Quanto alle note di variazione Iva, in base alla norma le stesse sono possibili in ipotesi di “procedure concorsuali”. Ci si deve dunque chiedere, in questo caso, se il concordato semplificato sia una procedura concorsuale. In caso di risposta negativa, i creditori sarebbero inibiti dall’emettere nota di variazione, con evidenti riflessi sulla convenienza della procedura. In caso positivo, sarebbe da valutare se tali note di variazione possano essere considerate neutrali per il debitore, o generino in capo ad esso un debito iva.
In generale si osserva come il concordato semplificato sia certamente una procedura autonoma, e la terminologia utilizzata non sia chiara; a qualche dubbio di applicabilità di tali norme fiscali nasce, tanto più in quanto non richiamate espressamente dalla legge 147/21. 
I riflessi sulle “prospettive future” sarebbero, all’evidenza, deflagranti, anche per il confronto con il fallimento[1].
4 . Il degrado dei creditori prelatizi
Un altro tema che merita un richiamo è quello correlato al degrado.
La norma non dice nulla circa la possibilità di non pagare i prelatizi per intero.
Si osserva come l’omologazione del tribunale poggia in termini numerici (solo) sulla valutazione alternativa della liquidazione fallimentare (alla ulteriore condizione di assicurare un’utilità a ciascun creditore); da qui, si potrebbe trarre il convincimento che lo stralcio dei creditori prelatizi sia possibile.
Ci si chiede peraltro chi attesti l’incapienza degli attivi.
A una prima lettura, nessuno; e a maggior ragione, si perde per strada la necessità di asseverare la relazione di attestazione, come invece previsto dall’art. 160, secondo comma l.f..
L’incapienza degli attivi potrebbe essere attratta dall’esame condotto dall’esperto circa i risultati della liquidazione.
Tuttavia l’esperto, secondo le considerazioni già esposte, non è tenuto alla comparazione con il fallimento, ma solo ad una valutazione della prospettiva liquidatoria, ossia se dato l’attivo e il passivo dell’impresa sia ragionevole il piano di pagamento di cui alla proposta.
E per il degrado bisogna comunque guardare alla prospettiva del fallimento.
Sia perché lo insegna l’articolo 160, secondo comma l.f., che comunque ha tracciato la strada del degrado.
Sia perché, se il tribunale deve rilevare l’assenza di pregiudizio rispetto all’alternativa della liquidazione fallimentare, non può che superare le valutazioni liquidatorie classiche, dovendo allargare la visuale alle azioni revocatorie ed alle azioni risarcitorie, nonché ai beni e debiti personali degli eventuali soci illimitatamente responsabili.
La relazione dell’ausiliario, alla luce della comparazione con il fallimento, potrebbe divenire lo strumento su cui eventualmente fondare lo stralcio dei creditori prelatizi.
Peraltro l’imprenditore, laddove la proposta concordataria preveda lo stralcio dei prelatizi, dovrà necessariamente nella stessa proposta effettuare l’esame del valore dei beni, o meglio degli attivi, su cui si esercitano le prelazioni.
Ove si tratti di privilegio speciale mobiliare o immobiliare, valutando il bene da esso gravato.
Ove si tratti di privilegio generale, valutando tutto l’attivo mobiliare. E, anche in questo caso, dovrà inserire le azioni revocatorie e risarcitorie esercitabili in ipotesi di fallimento e i costi della procedura, oltre che un quadro della posizione personale dei soci illimitatamente responsabili.
Si pone tuttavia un altro tema.
Se il concordato deve offrire ai creditori almeno lo stesso importo percentuale che nel fallimento, e il valore liquidatorio degli attivi comporta il pagamento parziale dei prelatizi, significa che per riconoscere un qualche pagamento ai chirografari ab origine ed ai prelatizi degradati debba essere previsto un apporto di finanza esterna, salvo classi a zero che abbiano altre utilit
L’articolo 18 ci ricorda poi, ad abundantiam, il necessario rispetto delle cause di prelazione.
Il che significa, secondo l’orientamento della Cassazione, che:
- la finanza non dovrà entrare nella sfera patrimoniale del debitore;
- in caso di formazione di classi, sarà anche solo opportuno (nel silenzio della norma) dare ai prelatizi degradati percentuali maggiori o uguali di quelle riservate chirografari iter
Certo, se vale il percorso delineato, resta del tutto stravolto, o meglio superato, l’articolato iter di cui all’articolo 182-ter per il degrado del passivo erariale e contributivo.
In assenza di norme, vengono meno la necessità delle classi, la presentazione della proposta, il parere della competente direzione regionale, oltre chiaramente che l’attestazione.
Anche il tema dell’assenza di voto o del voto negativo si perde per strada, restando solo la via dell’opposizione.
5 . Il quinto comma art. 18 L. 147/21 e l’intervento dell’ausiliario
Come accennato, il secondo ambito di legge in cui si collocano le valutazioni liquidatorie e quello della fase di omologazione del concordato, a norma del quinto comma dell’articolo 18 della L. 147/21.
Il tribunale in tale prospettiva verifica:
- la regolarità del contraddittorio e del procedimento;
- il rispetto dell’ordine delle cause di prelazione;
- la fattibilità del piano di liquidazione;
- l’assenza di pregiudizio per i creditori rispetto all’alternativa della liquidazione fallimentare;
- la presenza di un’utilità per ciascun creditore.
Ricordiamo che il tribunale, dopo il deposito del ricorso, ai sensi del terzo comma dell’articolo 18 nomina un ausiliario ai sensi dell’articolo 68 del codice di procedura civile. 
L’ausiliario deve rilasciare un parere sulla proposta ai sensi del quarto comma dell’articolo 18, parere peraltro i cui contenuti non sono predeterminati
All’evidenza, tuttavia, il parere verterà sui contenuti tecnici del giudizio cui è chiamato il tribunale, e quindi rispetto dell’ordine delle prelazioni, fattibilità del piano, assenza di pregiudizio e presenza di utilità.
Si ritiene che necessariamente l’ausiliario debba avvalersi dei documenti aziendali e delle carte di lavoro dell’esperto; è impensabile che tutto l’iter di analisi debba essere svolto ex novo, sullo stile di un attestatore. Non solo perché le funzioni di attestazione in qualche misura sono già state svolte dall’esperto, ma anche in quanto la finalità dell’ausiliario (come da terminologia e rinvio al codice di procedura civile) è quella di verifica della bontà della proposta, sulla base dell’iter seguito per la sua costruzione (operato dell’esperto e documenti compresi).
Ci si domanda cosa possa succedere laddove, a giudizio dell’ausiliario, vi siano incompletezze, ad esempio per assenza di perizie o di circolarizzazione.
A stretto rigore, si potrebbe prospettare il diniego di omologazione per carenza e non regolarità del procedimento. Da escludersi che l’ausiliario debba porre in essere le attività mancanti.
Si può prefigurare una soluzione di compromesso, ossia la remissione del tema dell’ausiliario al tribunale, ed un termine da quest’ultimo concesso all’imprenditore e/o all’esperto per un completamento dei documenti.
In ogni caso, ci si può aspettare una sinergia tra esperto ed ausiliario nel senso che l’esperto dovrà già redigere un parere articolato e fondato su una serie puntuale di analisi, e su questo parere si andrà ad incardinare la successiva attività dell’ausiliario, previa verifica delle carte di lavoro.
In chiave di vaglio da compiere da parte dell’ausiliario, ci si focalizza sull’assenza di pregiudizio e sull’utilità per ciascun creditore.
Come segnalato, il tribunale deve rilevare che “la proposta non arreca pregiudizio ai creditori rispetto all’alternativa della liquidazione fallimentare”.
La norma è chiara: bisogna vagliare l’alternativa del fallimento, per una comparazione in termini di assenza di pregiudizio.
La comparazione deve essere in termini di soddisfacimento, ossia i creditori non devono prendere meno che nella prospettiva di un fallimento (no classe a zero che prenderebbe 5% in fallimento).
La valutazione numerica, all’evidenza, è demandata l’ausiliario.
L’ausiliario muoverà della proposta (riallineata) e dovrà in primo luogo:
- verificare la valutazione dell’attivo del passivo;
- vagliare le stime degli oneri futuri, parametrandole all’ipotesi di fallimento (e quindi, ad esempio, i costi del curatore anziché quelli dell’ausiliario, i costi di nuove perizie, i costi delle procedure competitive, oneri legali eccetera).
Svolte queste attività, si apre il tema della valutazione delle azioni revocatorie e risarcitorie (oltre che della posizione dei soci illimitatamente responsabili).
L’analisi delle azioni revocatorie va affrontata tenendo presente alcuni capisaldi:
1) la data di riferimento per la retrodatazione degli atti sarà quella del deposito della domanda di concordato, e quindi si ricomprende il periodo del tentativo di composizione della crisi;
2) nel periodo interessato dalla composizione opera l’esenzione prevista dall’articolo 12, secondo comma, L. 147/21 a norma del quale gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere dall’imprenditore nel periodo successivo all’accettazione dell’incarico da parte dell’esperto non sono soggetti all’azione revocatoria “purché coerenti con l’andamento e lo stato delle trattative e con le prospettive di risanamento esistenti al momento in cui sono stati compiuti”;
3) oltre alla esenzione di cui alla legge 147/21, operano tutte le esenzioni di cui alla legge fallimentare, e quindi in particolare sono esenti:
- i pagamenti in termini d’uso (aspetto valutativo differente da quello di cui all’articolo 12 della legge 147);
- i pagamenti per corrispettivi di lavoro dipendente e collaborazioni;
- le rimesse su conto corrente che non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria.
Opera altresì il limite di cui all’articolo 70 l.f., secondo cui nei rapporti continuativi o reiterati l’importo restitutorio non può superare il delta tra l’esposizione massima raggiunta dalle pretese del creditore nel periodo sospetto e l’ammontare residuo delle stesse alla data del fallimento;
4) dal punto di vista sostanziale, potranno essere esclusi i pagamenti a quei creditori prelatizi per i quali il piano concordatario prevede il pagamento integrale, e che quindi potrebbero poi partecipare al concorso ed ottenere nuovamente, salvo verifica, quanto restituito per effetto della revoca;
5) la sussistenza dello stato di insolvenza, almeno per il periodo post accettazione dell’esperto, potrebbe essere certificata (o indirettamente esclusa) dallo stesso esperto, ai sensi del punto 2.4 del protocollo di conduzione della composizione negoziata, laddove l’esperto, in presenza di uno stato di insolvenza, può avviare la composizione negoziata purchè “reputi che vi siano concrete prospettive di risanamento”. 
Resterebbe in ogni caso l’aspetto della relativa conoscenza, posto che le valutazioni dell’esperto al riguardo non sono oggetto di pubblicazione o specifica comunicazione ai creditori, e fors’anche non necessariamente da formalizzare.
In ogni caso, bisogna valutare da quando sussisteva l’insolvenza, e se fosse conoscibile per i terzi (anche dopo la nomina dell’esperto).
Poi dovranno essere esclusi tutti gli atti che comunque beneficerebbero delle esenzioni o delle limitazioni di cui alla legge fallimentare.
Alla fine di questo percorso, che è quello ordinario ad esempio di una attestazione di concordato in continuità, scattano le limitazioni di cui all’articolo 12.
La valutazione di cui all’art. 12 non è di anomalia, ma di coerenza “con l’andamento e lo stato delle trattative” e con “le prospettive di risanamento”.
Con un caso concreto: il fornitore cambia i termini di pagamento, accorciandoli.
Perde, ragionevolmente, l’esenzione di cui all’articolo 67 della legge fallimentare circa i termini d’uso.
Ma questo pagamento potrebbe essere coerente con le trattative (il fornitore è in linea di principio disposto a ristrutturare i crediti ante nomina dell’esperto, ma in cambio chiede fin da subito di essere pagato prima; la norma non parla di trattative concluse e accordi formalizzati) e comunque la fornitura potrebbe essere utile a mantenere una prospettiva di risanamento.
E, quindi, il pagamento potrebbe essere irrevocabile.
Diversamente se il fornitore, pur sapendo della nomina dell’esperto ed essendo stato contattato per le trattative, già antecedentemente ad un primo incontro chiedesse un accorciamento dei termini oppure se incassasse dei debiti ante nomina esperto e poi non proseguisse la fornitura, con ogni probabilità resterebbe assoggettato al rischio di revocatoria in un successivo fallimento. Peraltro, sempre nei termini di cui all’articolo 70, per le forniture continuative e reiterate.
Anche quanto ai debiti finanziari, valgano alcuni esempi:
- il pagamento delle rate di mutuo chirografario o anche ipotecario: specie in ipotesi di concessione delle norme protettive, bisogna chiedersi quale vantaggio possa derivare dal pagare un mutuo durante la fase della ristrutturazione;
- il rientro dall’esposizione di conto corrente, per effetto di pagamenti ricevuti o di accrediti di precedenti anticipazioni sbf: anche in questo caso, non è agevole ravvedere la coerenza con le prospettive di risanamento, se non eventualmente in termini di ripristino della disponibilità;
- il pagamento delle rate di un contratto di leasing: in questo caso, è più percepibile la coerenza con un programma di risanamento. Tanto più che il mancato pagamento delle rate post nomina esperto potrebbe portare alla risoluzione del contratto. 
Quanto alle azioni risarcitorie, il pensiero volge in primo luogo verso la possibile azione di responsabilità nei confronti degli organi sociali.
Escludendo questioni patologiche, potranno contenere il possibile perimetro di una azione revocatoria:
- lo stesso ricorso alla composizione negoziata, soprattutto laddove l’esperto in prima battuta non abbia escluso la possibilità di un risanamento;
- la sussistenza di precedenti tentativi di ristrutturazione;
- l’aver proseguito la gestione societaria per conservare i valori del nucleo aziendale in funzionamento, evitando le conseguenze dell’inadempimento dei contratti in essere, e sondando prospettive di riassetto che potessero dare continuità alle potenzialità gestionali;
- l’analisi dei bilanci pregressi, laddove emerga una residua vitalità aziendale, ad esempio in termini di margine operativo.
In ogni caso, potrà essere utile valutare la capienza dei patrimoni e le coperture assicurative dei possibili soggetti potenzialmente chiamati ad un riconoscimento, in una concreta comparazione tra costi e benefici di una eventuale azione risarcitoria.
Da ultimo, vi è l’aspetto di un’utilità per ciascun creditore.
Come ben chiarito in dottrina [2], “l’utilità perde gli stilemi del vantaggio economico, sia pur latamente inteso”. Utilità non significa denaro, ma vantaggio, beneficio.
E allora, tra i benefici possiamo trovare:
- la prospettiva di poter evitare azioni revocatorie;
- la possibilità di emettere nota di variazione per sola Iva o comunque la detraibilità fiscale degli imponibili, e ciò anche se possibili anche nel fallimento;
- un pagamento anticipato rispetto ai tempi del fallimento;
- l’eventuale completamento di un contratto prima della cessazione dell’attività d’impresa (ben potendo il concordato prevedere il completamento di alcune attività produttive, prima di aprire alla mera fase liquidatoria in senso stretto);
- nuovi contratti in ipotesi di cessione d’azienda.
Il che, apre spazio anche a classi di creditori che ipotesi potrebbero non ricevere alcun importo, e che potranno trovare altre utilità e in relazione ad esse venire soddisfatti.
Combinando le riflessioni, e portandole all’estremo, potremmo avere anche un concordato:
- con lo stralcio dei prelatizi;
- con tutti i chirografari a zero;
- senza alcun apporto di finanza esterna.
6 . Conclusioni
Quello delineato dalla legge 147/21 è certo un percorso tutto da esplorare, da costruire, e che come le svolte innovative crea qualche scompiglio e, probabilmente, necessiterà di qualche ritocco normativo e di un cammino giurisprudenziale.
Una strada che chiama tutti, imprenditori, creditori, professionisti e giudici, a tempestività, rapidità di decisione, linearità di atteggiamento, spirito costruttivo.
Una nuova sfida, da raccogliere e costruire insieme.

Note:

[1] 
Ci si permette richiamare Buffelli e Clemente, “Concordato semplificato – Note di variazione iva – Ricadute di rilevo in ambito fabbisogno”, in www.dirittodellacrisi.it, 15 dicembre 2021.
[2] 
Leuzzi, Analisi differenziale fra concordati: concordato semplificato vs ordinario, in wwwdirittodellacrisi.it, 9 novembre 2021.

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