Dalle considerazioni che precedono emerge come tra i presupposti oggettivi del concordato semplificato figuri l’insuccesso della procedura di composizione negoziata ossia proprio il fallimento delle trattative finalizzate al raggiungimento di un accordo negoziale con i creditori idoneo al superamento della situazione di squilibrio. Tale circostanza di fatto deve emergere dalla relazione finale dell’esperto che è chiamato altresì ad attestare che le trattative si siano svolte secondo correttezza e buona fede. Secondo la più recente giurisprudenza, quest’ultimo presupposto rientra nella valutazione giudiziale della ritualità della proposta (art. 25 sexies, comma 3, CCII) ed implica la necessità - nell'ambito della composizione negoziata - di una effettiva e completa interlocuzione con i creditori interessati dal piano di risanamento. Ciò presuppone che i creditori abbiano ricevuto complete e aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’imprenditore[9], nonché sulle misure per il risanamento proposte, e che abbiano potuto esprimersi su di esse.
Per considerare sussistente la condizione di accesso al concordato semplificato non è sufficiente per l’imprenditore il deposito dell’istanza di nomina dell’esperto e dunque il mero accesso alla composizione negoziata. È necessario invece che l’esperto abbia ravvisato inizialmente concrete prospettive di risanamento, che la composizione negoziata sia stata effettivamente avviata e che ciononostante le possibili soluzioni si siano rivelate concretamente impraticabili. A questo fine sembra necessario che le trattative si siano svolte con la sottoposizione ai creditori di una (o più) proposte con le forme di tali soluzioni, ipotesi cui soltanto l’art. 23, comma 1, CCII ricollega la conclusione delle trattative con l’esito (positivo) del superamento della situazione di squilibrio[10].
Secondo un orientamento della giurisprudenza di merito, il concordato semplificato è una procedura di carattere residuale, in quanto percorribile non solo ove risulti impraticabile una delle soluzioni prospettate dall’art. 23, comma 1, CCII, ma anche ove non possano trovare concreta attuazione le (altre) soluzioni prospettate dall’art. 23, comma 2, CCII[i11].
Le osservazioni che precedono vanno adesso meglio inquadrate nell’alveo dell’indagine sulla coerenza funzionale delle misure protettive e cautelari rispetto alla procedura di concordato semplificato. Queste, infatti, di norma presuppongono l’esistenza di trattative in corso con i creditori di cui si propongono di agevolare il buon esito e rispondono ad una comune finalità: prevenire il pericolo che vengano poste in essere attività distruttive o depauperative del patrimonio dell’impresa per il tempo necessario alla conclusione dell’accordo o al buon esito del percorso di ristrutturazione intrapreso. Il carattere modulare delle misure protettive, cioè l’adattabilità in relazione all’utilità protettiva delle trattative in corso, emerge in più punti della disciplina, già a partire dalle norme definitorie citate, ma soprattutto nelle disposizioni in merito a: i) la durata, la proroga, la revoca e la modifica delle misure (art. 8; art. 18, comma 4; art. 19, commi 5 e 6; art. 54 commi 1 e 2, art. 55, commi 4 e 5, CCII); ii) il contenuto delle misure (art. 19, commi 1 e 4; art. 54 comma 2, CCII); iii) le misure protettive e cautelari negli accordi di ristrutturazione (art. 54, comma 3, CCII). La funzionalità delle misure a consentire l’avvio e la prosecuzione delle trattative con i creditori in una prospettiva non sbilanciata per il debitore è oggetto di costante sottolineatura anche da parte della giurisprudenza[12]. Qui, tuttavia, il carattere della negozialità è del tutto assente perché il coinvolgimento dei creditori si è esaurito senza esito in una fase precedente. Resta quindi da chiedersi se rispetto a tali misure residuino idealmente dei possibili spazi di funzionalità all’interno della procedura in questione. La risposta a questo quesito deve essere cercata nell’intricato groviglio di disposizioni che ne compongono lo statuto normativo.
La regolamentazione delle misure protettive e cautelari risente infatti di una evoluzione normativa che nel tempo ne ha allargato la portata oggettiva e soggettiva, ne ha puntualizzato i passaggi procedimentali, la durata e le condizioni di operatività. La cornice normativa generale si ricava oggi dagli artt. 18-19 CCII per le misure richiedibili nell’ambito del procedimento di composizione negoziata della crisi e dagli artt. 8, 54-55 CCII per le misure applicabili agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza. A queste ultime sarà dedicata la nostra attenzione, con una particolare focalizzazione sulla disciplina sostanziale, con richiami alle norme procedimentali solo se funzionali ad un’efficace prospettazione delle argomentazioni.
Le misure protettive hanno di norma un contenuto predeterminato dalla legge che si sostanzia nel i) divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore e sui diritti con i quali viene esercitata l’attività d’impresa[13], divieto a carico dei creditori per titolo o causa anteriore alla data di pubblicazione della domanda nel Registro delle imprese; nel ii) divieto di acquisire diritti di prelazione se non concordati con l’imprenditore; iii) nella neutralizzazione dei tempi per il decorso di prescrizioni e decadenze; iv) nel divieto di pronunciare la sentenza che dichiara l’apertura della liquidazione giudiziale o l’accertamento dello stato d’insolvenza (misure protettive c.d. tipiche). Si tratta di misure che, oltre ad una finalità protettiva del patrimonio, mirano a evitare l’acquisto da parte dei creditori di posizioni di vantaggio a ridosso dell’apertura della procedura[14]. Le misure riguardano genericamente tutti i creditori, anche quelli prededucibili, con eccezione dei diritti di credito vantati dai lavoratori che potranno far valere i loro crediti senza limitazioni avvalendosi del privilegio generale di cui all’art. 2751 bis, c.c. ed attraverso azioni esecutive o cautelari[15].
Solo quando l’istanza viene presentata nell’ambito delle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza già pendenti è possibile chiedere al Tribunale, con istanza apposita, ulteriori misure temporanee (art. 54, comma 2, CCII) funzionali ad evitare un pregiudizio al buon esito delle trattative assunte per la regolazione della crisi e dell’insolvenza (misure protettive c.d. atipiche)[16]. Tali misure devono essere connotate da un solido nesso di strumentalità con il proficuo sviluppo delle trattative in corso con i creditori. A titolo di esempio, una misura protettiva atipica potrebbe essere l’impedire la modifica unilaterale o la risoluzione di un contratto essenziale alla prosecuzione all’attività d’impresa in un procedimento di concordato preventivo in continuità aziendale, ovvero il divieto di proporre o proseguire azioni monitorie e per ingiunzione di pagamento[17].
Le misure protettive tipiche possono essere chieste anche prima del deposito della domanda di accesso allo strumento di regolazione della crisi (art. 2, comma 1, lett. P, CCII), già in sede di composizione negoziata (art. 18/19 CCII) ed hanno un’efficacia provvisoria a partire da quando il debitore dichiara di volersene avvalere (art. 17, comma 1; art. 54, comma 2 CCII) perché soggetta a conferma da parte del giudice nel rispetto del procedimento previsto agli artt. 19 e 55 (c.d. semi-automatic stay). La durata va dai 30 ai 120 gg. nella composizione negoziata, rinnovabile e prorogabile per un periodo massimo di 240 giorni (art. 19, comma 4, CCII), ovvero fino a 120 gg. negli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, durata anche in questo caso rinnovabile e prorogabile ma per un periodo complessivo che non può superare i 12 mesi, considerando anche l’eventuale misura disposta già in sede di composizione negoziata (art. 8 CCII)[18]. L’efficacia delle misure protettive permane anche quando il debitore, prima della scadenza del termine, chieda la conversione dello strumento di regolazione della crisi, e termina in ogni caso con l’omologazione dello strumento di regolazione della crisi o con l’apertura della liquidazione giudiziale.
Se le misure protettive generano una compressione dei diritti e delle prerogative dei creditori, quelle cautelari determinano una limitazione per il debitore della libertà di disporre del patrimonio aziendale e/o dei valori dell’impresa. Anche queste possono essere disposte solo su istanza di parte, dove “parte” è qui tuttavia da intendersi come sinonimo di chi abbia proposto ricorso ex art. 19, comma 1, CCII (il debitore) o ex art. 40 CCII (il debitore, i creditori, il PM, l’organo di controllo o vigilanza). A differenza delle misure protettive, quelle cautelari: i) presuppongono l’avvenuta apertura di un procedimento di composizione negoziata della crisi o la pendenza di un procedimento di apertura di uno strumento di regolazione della crisi (deposito del ricorso ex art. 18, comma 1, o ex art. 40 CCII) e l’accoglimento della relativa domanda da parte del giudice monocratico, previo contradditorio con le parti; ii) devono essere idonee “ad assicurare provvisoriamente l’attuazione delle sentenze di omologazione di strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e di apertura delle procedure di insolvenza” (art. 54, comma 1, CCII); iii) hanno un contenuto conservativo o anticipatorio non definito a priori dalla legge, se non in via meramente esemplificativa (“inclusa la nomina di un custode dell’azienda o del patrimonio”, recita l’art. 54, comma 1, CCII). Non sussistono dubbi sul piano interpretativo in merito alla riconducibilità alle misure cautelari ammissibili del sequestro giudiziario, di documenti o dell’azienda, o del sequestro conservativo e di provvedimenti volti ad impedire al debitore pagamenti che potrebbero, una volta aperta la liquidazione giudiziale, risultare inefficaci ai sensi degli artt. 163-166 CCII[19].
Si tratta di misure rispondenti ad interessi potenzialmente contrapposti (del debitore da un lato, dei creditori dall’altro), il cui carattere temporaneo e la cui comune funzione “protettiva” del patrimonio aziendale hanno tuttavia giustificato la previsione di un procedimento unico per la trattazione delle istanze di cautela[20] che rimette al giudice, in sede di conferma o di disposizione, il giudizio circa il loro contemperamento.
È opinione largamente condivisa che nella procedura di concordato semplificato, nei più ristretti margini temporali previsti fra la domanda di omologazione e il decreto di omologazione, si ravvisi la stessa esigenza avvertita nell’ambito di altri strumenti di regolazione della crisi di evitare che i creditori possano conseguire - attraverso iniziative individuali - utilità che, a garanzia della par condicio creditorum, non potrebbero ottenere mediante adempimento volontario della prestazione da parte del debitore. La cristallizzazione della massa attiva a servizio del fabbisogno concordatario è anche qui condizione indispensabile per assicurare gli effetti del piano oggetto di omologa, che potrebbe divenire non più attuabile una volta che il debitore sia forzosamente privato di utilità destinate alla massa dei creditori per iniziativa di uno di essi[21]. E ciò tanto più se si considera la natura liquidatoria del concordato semplificato per cessione dei beni. Tale natura imporrebbe al giudice - in sede di disposizione, conferma, revoca o proroga delle misure - di operare un giudizio dal contenuto più circoscritto e cioè se le misure richieste siano funzionali a evitare un pregiudizio unicamente rispetto all’esito atteso dallo strumento regolativo della crisi e cioè alla migliore liquidazione possibile. Resterebbe fuori dal perimetro di valutazione giudiziale il profilo del pregiudizio alle trattative con i creditori che, come osservato, risultano già chiuse senza esito positivo, nonché la valutazione prognostica della attualità delle misure rispetto allo scopo di addivenire al risanamento dell’impresa.
Il “buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell’insolvenza” e l’assicurazione provvisoria degli “effetti degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e delle procedure di insolvenza” (art. 2, comma 1 lett. p e q, CCII) sono d’altro canto indici normativi che sembrerebbero imprimere rispettivamente alle misure protettive e cautelari una direzione generale sul piano funzionale coerente con la struttura e la finalità anche della procedura di concordato semplificato, pur in assenza di un coinvolgimento sul piano negoziale dei creditori in termini di partecipazione a delle trattative.
La sostanziale adesione a questa impostazione costituisce la premessa implicita dello sforzo interpretativo operato dalla giurisprudenza di merito, con riferimento ai possibili spazi di operatività dell’analogia legis quale strumento per l’applicazione al concordato semplificato delle misure protettive e cautelari previste per il concordato preventivo.