Con il codice della crisi non si pone, pertanto, più alcun problema distintivo né allocativo della finanza esterna e della finanza “nuova” generata dalla prosecuzione diretta o indiretta dell’attività di impresa (i.e. surplus o finanza endogena dinamica o free cash flow), essendo entrambe, come vedremo, assoggettabili al regime della priorità relativa: il favor per la continuità ha posto prepotentemente al centro della scena il tema delle regole di distribuzione del patrimonio dell’impresa in crisi, o meglio del (plus)valore della continuità, in primo luogo tra creditori (concorsuali)[80] e nel rapporto che tra loro intercorre anche con i soci, in relazione all’ipotetica restituzione dell’apporto di capitale di rischio[81].
Certo è che, oggi, le regole di distribuzione poggiano in maniera più stabile e codificata sulla medesima prognosi estimativa del ricavato dal realizzo del patrimonio in caso di liquidazione giudiziale (i.e. Relazione ex art. 84, comma 5, CCII), temporalmente ancorata alla data di presentazione di ogni quadro di ristrutturazione (con esclusione, quindi, della composizione negoziata della crisi[82]): solo ed esclusivamente all’interno di detta perimetrazione vigono i principi assoluti di priorità, enucleati dagli artt. 2740 e 2741 c.c., su cui concorrono i creditori prededuttivi e concorsuali nel rispetto della graduazione (verticale, ex art. 221 CCII) delle cause legittime di prelazione (art. 112, comma 2, lett a, CCII, cd. Absolute Priority Rule - “APR”).
Per quanto riguarda, “il valore eccedente” rispetto a detta empirica valorizzazione delle poste attive, invece, la distribuzione può avvenire in modo tale che “i crediti inseriti in una classe ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore” (art. 84, comma 6, CCII[83] e art. 112, comma 2, lett. b, CCII, cd. Relative Priority Rule – “RPR”).[84]
La cartina di tornasole della netta demarcazione tra il patrimonio “liquidatorio” a beneficio dell’APR e del patrimonio fruibile (seppur in via attenuata) a beneficio del RPR si annida nella deroga prevista dall’art. 84, comma 7, ove, eccezionalmente, la distribuzione del valore eccedente la liquidazione rientra di nuovo nei canoni dell’APR, a tutela dell’integrale soddisfacimento dei crediti esigibili ex art. 2751 bis n. 1 c.c. (fatta salva la moratoria semestrale di cui all’art. 86 CCII), quale conseguenza della modifica oppure dell’interruzione del rapporto di lavoro (ferma, comunque, restando la loro subordinazione, anche temporale, alle prededuzioni di cui agli artt. 6 e 98 CCII).
Nei concordati in continuità indiretta, invece, dovranno essere sottoscritti accordi individuali, in sede “protetta”, ai sensi degli artt. 410 e 411 c.p.c., al fine di perfezionare accolli liberatori per la procedura da parte del subentrante (affittuario, conferitario e/o cessionario dell’azienda).
La spiccata vocazione protettiva del suddetto ceto creditorio, sia con riferimento al credito che alla preservazione del posto di lavoro[85], è diretta conseguenza dell’indirizzo comunitario[86]: ciò, tuttavia, non esclude la predilezione legislativa per la redditività dell’attività di impresa[87], tanto che i livelli occupazionali possono essere mantenuti “nella misura possibile”, ex art. 84, comma 2, CCII, tenendo quindi conto dell’incidenza dei relativi costi (ivi inclusi quelli di cui all’art. 87, comma 1, lett. f, CCII, necessari ad assicurare il rispetto della normativa in materia di sicurezza del lavoro) nello sviluppo del piano economico finanziario, pur sempre finalizzato al miglior soddisfacimento dei creditori[88] e al loro interesse generale[89] (e dei lavoratori, ricavabile dall’art. 53, comma 5 bis, CCII).
Una volta appurato, pertanto, il valore del patrimonio in ipotesi di liquidazione giudiziale e costituita così la base attiva su cui poggia la priorità assoluta, la proposta di concordato dovrà specificamente indicare, ai sensi del secondo comma dell’art. 87 CCII, le ragioni di convenienza per i creditori, attestate nel successivo terzo comma, quanto meno in termini di non deteriorità rispetto all’alternativo epilogo liquidatorio, anche per i crediti previdenziali e tributari, ai sensi dell’art. 88, comma 2, CCII[90] (a tale specifico ultimo riguardo, vale la pena rammentare che una peculiare applicazione del principio distributivo del RPR era già codificata nel previgente art. 182-ter l.fall., tanto da essere addirittura recepita dagli enti interessati nella circolare n. 34/E del 29 dicembre 2020[91]).
Il surplus endogeno, generato così (anche esclusivamente)[92] con la continuità d’impresa (che, ovviamente impinge sulla convenienza), diviene passibile di una calibrata quanto “relativa” distribuzione, a beneficio dei creditori risultanti prognosticamente incapienti in relazione al patrimonio segregato ai sensi dell’art. 84, comma 5, CCII: ciò deve, in ogni caso, avvenire nel rispetto del sistema delle priorità della legge che ne impone una articolata suddivisione in classi con previsione di trattamenti differenziati e più favorevoli a seconda del grado dell’originaria posizione prelatizia, potendo persino prevedere attribuzioni ai soci[93] (art. 120 quater CCII)[94].
Di natura differente è l’eccedenza, pur sempre endogena, che si viene viceversa a formare in conseguenza d’un processo inerziale, quale può essere la vendita competitiva d’un cespite non funzionale[95]: stante l’identità del realizzo anche in caso di liquidazione giudiziale[96], lo stesso rimarrà governato dall’APR, senza che possa influire l’eccedenza del ricavato rispetto alle stime dell’attestatore[97].
Speculari considerazioni sono estensibili all’ipotesi di concordato in continuità indiretta, in relazione all’incasso dei canoni dell’azienda affittata[98].
Per quanto riguarda le risorse esterne, i relativi apporti dovranno essere indicati, ai sensi dell’art. 87, comma 1, lett. g), CCII, con esposizione delle ragioni per cui sono necessari per l’attuazione del piano.
In tali casi, nei concordati in continuità, fermo restando e pacificamente ammesso il pagamento diretto da parte di terzi, anche in deroga alla RPR e, temporalmente, alla APR (con inserimento, nel qual caso, del creditore in apposita classe), quando la finanza esterna transita all’interno del patrimonio del debitore concordatario (contribuendo ad incrementare e a fondersi con la finanza endogena, ovverosia i flussi di cassa futuri che in difetto di quell’apporto non esisterebbero[99]) non potrà comunque essere distribuita in deroga alla RPR[100] (mentre invece nel concordato liquidatorio è altresì possibile derogare anche agli artt. 2740 e 2741 c.c., limitatamente all’incremento all’attivo concordatario dato dalle risorse esterne per la percentuale di almeno il 10%).
A differenza anche di quanto avviene nel Piano di Ristrutturazione soggetto ad omologazione (per cui infra), nel concordato in continuità le regole distributive mantengono inalterata la loro configurazione, a prescindere dalla prospettiva in cui esse vengono visualizzate, sia sotto il profilo della disponibilità del diritto e dell’autonomia negoziale, sia spostando il baricentro della questione nell’ambito dell’eteronimia[101].
La formulazione di un’offerta ai creditori in aperta violazione delle regole distributive (sia dell’APR che del RPR), infatti, è preclusa poiché la deroga alla graduazione (interdetta, in modo assoluto, dall’art. 84, commi 5 e 7 e, in modo relativo, all’art. 84, comma 6, CCII) integra un presupposto di (il)legittimità, rilevabile d’ufficio che condurrebbe all’inammissibilità del concordato, sia in sede di apertura che di omologazione (ai sensi dell’art. 112, comma 1, CCII, anche in caso di unanimi adesioni da parte delle classi e pure in difetto di opposizioni sulla convenienza).
In presenza di dissenso di una o più classi, il Tribunale potrà procedere all’omologazione tramite ristrutturazione trasversale, solo alle condizioni di cui all’art. 112, comma 2, lett. a), b), c) e d) CCII, mentre, in caso di opposizione sulla convenienza da parte d’un creditore, alle condizioni di cui all’art. 112, comma 3, CCII.
Ciò significa che, innanzitutto, ogni creditore ha diritto a vedersi soddisfatto quanto meno in proporzione alla propria quota sul valore di liquidazione della sua pretesa e, in difetto di ciò, a prescindere dall’essere incluso in una classe assenziente, può individualmente opporsi all’omologazione, per contestare non solo l’illegittimità del trattamento ad esso riservato ma anche la convenienza, se all’interno di quel valore non sono state rispettate le regole della priorità assoluta: in tal caso, il Giudice dovrà procedere ai sensi dell’art. 112, comma 3, CCII, per valutare, appunto, che il credito risulti soddisfatto in misura non inferiore a quello di liquidazione.
Negli stessi termini il creditore potrà opporsi anche qualora, nel patrimonio valorizzato con la continuità, ovverosia l’eccedenza su cui si parametra la RPR: i) non venga rispettato il principio di priorità legale nelle prelazioni; ii) allo stesso non venga riservato un trattamento quanto meno equivalente ad un’omogenea pretesa creditoria, non tanto per contestare la convenienza (sussistente rispetto alla liquidazione giudiziale e non prevista per la RPR, ai sensi dell’art. 112, comma 3, CCII), ma per stimolare l’intervento giudiziale officioso, in merito alla correttezza della formazione delle classi (art. 112, comma 1, lett. d, CCII), la parità di trattamento in seno ad esse (art. 112, comma 1, lett. e, CCII) e il rispetto dell’originaria priorità legale nella distribuzione dell’eccedenza (art. 84, comma 6, CCII e art. 112, comma 2, lett. b, CCII).
Nell’ambito dei concordati di gruppo[102], il regime distributivo non è dissimile, trovando applicazione, in sede di omologa e in termini comparativi con la liquidazione, l’art. 112, comma 2, CCII, in forza del rinvio da parte dell’art. 285, comma 2, CCII, ragion per cui, per i concordati liquidatori varranno le regole di cui all’art. 84, comma 4, CCII, mentre per i concordati in continuità aziendale quelle di cui all’art. 84, commi 6 e 7 CCII.
Partendo pertanto dall’indelebile autonomia delle rispettive masse attive e passive delle società appartenenti al gruppo, nella proposta devono essere illustrate le ragioni di maggiore convenienza e miglior soddisfacimento per i creditori del piano unitario, rispetto a quello autonomo per ogni singola società o a quelli collegati e interferenti: in ogni caso, sono ammessi trasferimenti di risorse infragruppo[103], purché venga attestato che favoriscano la continuità e siano funzionali al miglior soddisfacimento dei creditori di tutte le imprese del gruppo, tenuto anche conto dei vantaggi compensativi.
Ne consegue che il plusvalore generato con detto travaso di risorse e con la continuazione da parte delle imprese del gruppo dell’attività (che, ai fini dell’attuazione della normativa di cui all’art. 84, comma 6, CCII, deve prevalere, in caso di disomogeneità del piano unitario, rispetto ai flussi complessivi derivanti dalla mera liquidazione di attivi di alcune imprese) potrà essere distribuito nel rispetto dei principi dell’APR e del RPR, con riferimento ad ogni singola massa[104].
Nel concordato con attribuzione delle attività ad un assuntore, a fronte dell’accollo cumulativo o liberatorio dei debiti dell’impresa per come risultanti all’esito del processo di ristrutturazione (così come in altri concordati atipici, quali quelli con garanzia o con emissione di strumenti partecipativi[105]), parrebbero valere, in linea puramente teorica, le regole dell’uno o dell’altro tipo di concordato, a seconda della struttura del piano di concordato[106], tenuto conto della interposizione soggettiva (e del “sostanziale” fenomeno successorio) d’un terzo[107]. In realtà il condizionale è d’obbligo visto che il codice della crisi, nella formulazione dell’art. 84, comma 2 e 112, comma 5, CCII, è piuttosto manicheo nell’affermare rispettivamente la loro specificità e l’applicazione, in sede di omologa, della medesima disciplina regolamentare prevista per i concordati liquidatori: detto accorpamento, pertanto, lascia propendere per un’estensione applicativa delle norme relative ai suddetti concordati (e non quella dei concordati in continuità), “in quanto applicabili”.[108]
Nel concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio[109], ai sensi dell’art. 25 sexies CCII, vige il principio dell’APR, non potendo essere arrecato alcun pregiudizio rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale, con la precisazione, tuttavia, che eventuali apporti esterni potranno essere distribuiti per i creditori prelatizi incapienti anche in deroga agli artt. 2740 e 2741 c.c., non vigendo neppure i limiti del concordato liquidatorio ex art. 84, comma 4, CCII[110].
La deroga alla graduazione è consentita nel Piano di Ristrutturazione soggetto ad omologazione, disciplinato dall’art. 64 bis CCII[111], nella distribuzione del valore generato dalla continuità, purché, vi sia in ogni caso l’unanimità delle adesioni, poiché, in difetto, si dovrà virare nel concordato preventivo, ai sensi dell’art. 64 quater CCII, rimodulando nuovamente l’offerta ai creditori nel rispetto della priorità, assoluta e relativa.
Negli accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento ai sensi dell’art. 56 CCII e in quelli di ristrutturazione[112] (anche ad efficacia estesa), disciplinati dagli artt. 59-64 CCII[113], non si pone alcun problema di carattere allocativo dell’eccedenza del piano.
Discorso a parte deve essere fatto nell’ipotesi in cui negli Accordi di ristrutturazione sia contenuta anche una proposta di transazione su crediti tributari e contributivi, con particolare riferimento alla loro omologazione[114].
In tal caso, a prescindere dall’adesione o meno da parte degli enti previdenziali e tributari[115], ai sensi dell’art. 63, comma 2 bis CCII, sarà possibile avvalersi del cd. cram down fiscale[116] e imporre così l’adesione coattiva dell’Erario[117] (quando questa risulti determinante ai fini del raggiungimento del quorum di maggioranze), esclusivamente laddove venga attestata la convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale relativamente ai crediti tributari[118].
In termini generali, analoghe considerazioni, in punto di convenienza e cram down, sono ovviamente estensibili, ai sensi dell’art. 88, comma 2, CCII, al concordato preventivo[119], mentre, specificamente per il concordato in continuità, viene richiesta l’attestazione anche in merito alla “sussistenza di un trattamento non deteriore”.
L’amministrazione finanziaria, pertanto, dispone di una “discrezionalità per così dire ‘vincolata’ al maggior soddisfacimento e alla convenienza tra i due termini di comparazione”[120], da cui deriva, a seconda del contenuto della proposta di transazione e dello stato del contribuente che la formula, non una libertà di scelta, ma l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di respingere tale proposta, quando essa non è conveniente, e di accettarla quando invece lo è[121].
A cascata, sul piano distributivo, il trattamento dei creditori erariali e previdenziali dovrà essere sempre governato dai principi di APR e RPR enucleati nell’art. 85, comma 6, CCII, laddove il piano contempli la prosecuzione dell’attività di impresa, mentre i piani meramente liquidatori saranno assoggettati esclusivamente al principio dell’APR (fermo restando, per il concordato liquidatorio, l’ulteriore incremento del 10% di finanza esterna e della soglia minima del 20%).